Nel caso in cui, in seguito a sentenza di condanna di primo grado per il delitto di diserzione, si protragga l’assenza arbitraria tale fatto configura un nuovo reato di diserzione, in quanto detto delitto ha carattere permanente e nella fase della permanenza successiva all’atto interruttivo è ravvisabile un fatto nuovo storicamente diverso da quello precedente.

(Cass. Sezione I Penale, 23 maggio – 21 giugno 2012, n. 24664)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Umberto – Presidente –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

Dott. BONITO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CAPRIOGLIO Piera M. S. – rel. Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) OMISSIS;

avverso la sentenza n. 27/2010 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 14/06/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. INTELISANO Antonino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

1. Con sentenza del 14.6.2011 la Corte militare d’appello di Roma confermava la pronuncia di colpevolezza di OMISSIS per il reato di diserzione aggravata, riformando la sentenza del Tribunale Militare di Roma solo in punto pena, nel senso che veniva ridotto in giorni dieci (da mesi dieci) di reclusione militare, l’aumento di pena sulla sanzione già inflitta con sentenza 24.10.2008 dal Tribunale Militare di Roma pere analogo reato.

Il OMISSIS, già maresciallo capo dei carabinieri, dopo esser stato condannato con la sentenza 24.10.2008 suindicata per il reato di diserzione, era stato trasferito d’ufficio dal ROS, 3^ reparto di OMISSIS, alla stazione carabinieri di OMISSIS, ma non si era presentato in servizio nei cinque giorni successivi alla pronuncia della sentenza suindicata. Tale comportamento veniva ritenuto integrare un nuovo episodio di diserzione, atteso che l’intervenuta sentenza 24.10.2008, ancorchè non definitiva, aveva costituito interruzione giudiziale di un’assenza arbitraria fino al 15.3.2007. Veniva ritenuto che non potesse parlarsi di bis in idem, visto che la condotta successiva alla sentenza integrava un nuovo reato. Veniva ritenuta la recidiva infraquinquennale e venivano negate le circostanze attenuanti generiche, sul presupposto della pervicacia mostrata dall’imputato nel protrarre la propria ingiustificata assenza.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione il prevenuto, pel tramite del difensore, per dedurre:

2.1 erronea applicazione degli art. 43 e 81 c.p., art. 148 c.p.m.p.. Viene opposto che la condotta tenuta dall’imputato successivamente alla sentenza del 2008 non poteva costituire fatto nuovo, visto che detta pronuncia non era ancora definitiva e la sentenza gravata intervenne prima della irrevocabilità della sentenza del 2008, quando il OMISSIS aveva interposto appello avverso detta sentenza per contestarne la fondatezza. L’imputato aveva quindi ragione di ritenere che una sentenza non definitiva non lo vincolasse al punto da dover sottostare ad un facere, rendendo rilevante la sua mancata acquiescenza ad una decisione ingiusta.

Tanto più che gli era stata inflitta come pena accessoria la rimozione, che implicava la perdita di grado e la sua messa in congedo. Viene poi messa in dubbio la natura permanente del reato di cui all’art. 148 c.p.m.p. e si evidenzia che nel caso di specie si è trattato non già di un mancato rientro da un legittimo permesso ma del mero protrarsi di una assenza arbitraria.

2.2 Mancata assunzione di prova decisiva a discarico. La Corte avrebbe dovuto rinnovare il dibattimento quanto alla esclusione del giusto motivo dell’assenza, non essendo state valutate le ragioni addotte dal P., quanto alle ripetute minacce ed ai soprusi di cui era stato vittima l’imputato che andavano adeguatamente vagliati onde escludere il profilo soggettivo del reato.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo di ricorso fa richiamo ad una linea interpretativa che non trova seguito nella giurisprudenza di legittimità: è stato infatti ritenuto da questa Corte che la parte di assenza arbitraria successiva a condanna di primo grado per il delitto di diserzione costituisce nuovo reato di diserzione, anche se non ha la durata minima di cinque giorni prescritta dall’art. 148 c.p.m.p., in quanto detto delitto ha carattere permanente e nella fase della permanenza successiva all’atto interruttivo è ravvisabile un fatto storicamente diverso da quello precedente, come tale integrativo di un reato identico, ma nuovo (Sez. 1^, 16.5.1997 n. 3435). Il principio è stato riaffermato da Sez. 1^, 15.12.1998, n. 1110, che ha ribadito la natura permanente e non istantanea dei reati di assenza dal servizio, nel senso che deve ravvisarsi nella condanna sopravvenuta, anche se non ancora irrevocabile (cfr. al riguardo Sez. 2^ 11/6/10, Ferrara, rv. 248.301) in corso di assenza un’interruzione giudiziale della permanenza del reato e nella prosecuzione dell’assenza un nuovo reato di diserzione, distinto dal primo, ma a questo unificabile ai fini della continuazione. Corretta è stata quindi la decisione dei giudici a quibus nel ravvisare un fatto nuovo nella condotta tenuta dal ricorrente successivamente al trasferimento d’ufficio, motivato da condanna per diserzione, con conseguente infondatezza del primo motivo.

Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, atteso che come è stato rilevato dai giudici del merito non potevano svolgere alcun effetto scriminante gli asseriti episodi pregressi di gravi minacce e vessazioni subite dal ricorrente presso il reparto dei OMISSIS, non solo perchè del tutto sfornite di prova e quindi interpretabili come mere fantasticherie, ma perchè comunque risalenti nel tempo (a far data dal 2002) e dunque non incidente sulla realtà più recente, in cui tra l’altro all’interessato fu offerta l’opportunità di lasciare quell’ambiente ostile, in cui si sentiva vessato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente ai pagamento delle spese processuali.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.