(Cass. Sezione V Penale, 11 maggio – 8 ottobre 2012, n. 39503)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARASCA Gennaro – Presidente –
Dott. BEVERE Antonio – Consigliere –
Dott. OLDI Paolo – Consigliere –
Dott. BRUNO Paolo Antoni – Consigliere –
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno del 31 gennaio 2011;
Sentita la relazione del Consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
Udite le conclusioni del Procuratore Generale in sede, in persona del Sostituto Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Salerno confermava la sentenza del 17 maggio 2007 con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva dichiarato P.C. colpevole del delitto di cui all’art. 57 c.p. perchè quale direttore responsabile del quotidiano OMISSIS), omettendo di esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione venissero commessi reati, consentiva la pubblicazione dell’articolo apparso sullo stesso quotidiano il OMISSIS dal titolo Tangenti sulle patenti, tutti corrotti i funzionari con l’occhiello: Si vendevano gli esami anche per centomila lire, alcuni riuscivano a spuntare mezzo milione delle vecchie lire. In tal modo, era stata offesa la reputazione di OMISSIS, direttore della Motorizzazione Civile, ingenerando nei lettori il falso convincimento che tra i corrotti vi fosse anche lo stesso direttore, ove invece questi era stato accusato solo del reato di cui all’art. 323 c.p. (dal quale, peraltro, sarebbe stato poi assolto); e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia nonchè al risarcimento dei danni in favore della persona offesa costituitasi parte civile.
Avverso la pronuncia anzidetta, il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all’art. 129 c.p.p. ed in relazione all’art. 337 c.p.p. e all’art. 333 c.p.p., comma 2. Ripropone, in particolare, la questione di rito sollevata in sede di appello in ordine all’irritualità della querela siccome presentata non personalmente, ma da un avvocato all’uopo incaricato, peraltro privo di procura.
Il secondo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all’art. 51 c.p. ed in relazione all’art. 21 Cost., lamentando il mancato riconoscimento del diritto di cronaca.
Il terzo motivo lamenta identico vizio di legittimità con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 57 c.p..
Il quarto motivo denuncia illogicità di motivazione con riferimento ai parametri di valutazione di cui all’art. 133 c.p..
2. – In limine va rilevata l’infondatezza della questione di rito riguardante la ritualità della querela, a parte il pur evidente profilo d’inammissibilità che la connota, siccome meramente reiterativa di questione già dedotta in sede di gravame.
In proposito, la struttura giustificativa della pronuncia in esame è senz’altro corretta nel rilievo della piena regolarità della querela in questione, in quanto recante la sottoscrizione del danneggiato con autentica del legale officiato della difesa, che ha poi provveduto alla relativa presentazione. Al riguardo, è indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice che, ai fini della presentazione dell’atto querelatorio, non occorre apposita procura (cfr., in termini, Cass Sez. 6, 10.2.2009, n. 19805 rv. 243851).
3. – All’esame del merito dell’impugnativa giova premettere una pur sintetica puntualizzazione della fattispecie sostanziale in questione.
Orbene, OMISSIS, in qualità di direttore responsabile del quotidiano OMISSIS, è stato ritenuto – con doppia conforme – colpevole del reato di cui all’art. 57 c.p., per avere omesso il dovuto controllo sulla pubblicazione in oggetto, che sarebbe valso ad impedire la commissione del reato di diffamazione in danno di I.P., direttore della Motorizzazione Civile di quella stessa città.
Gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa sono stati ravvisati nell’edizione del 31 gennaio 2004 del detto quotidiano, recante, con grande risalto grafico, la notizia di un’indagine penale relativa ad ipotesi di corruzione in danno di funzionari di quell’ufficio, accusati di percepire danaro in cambio del rilascio di patenti di guida. In particolare, l’articolo recava il titolo Tangenti sulle patenti, tutti corrotti i funzionari.
Alla sbarra il direttore OMISSIS, a fianco, era pubblicata una foto a colori di banconote, con la scritta: Clamorosa iniziativa del titolare della OMISSIS, costituitosi parte civile. Si vendevano gli esami per L. 100,000, alcuni riuscivano a spuntare mezzo milione di vecchie Lire.
In siffatto contesto ricostruttivo, riconosciuta la diffamazione, i giudici di merito hanno conseguentemente affermato anche la sussistenza del reato colposo in capo al direttore.
L’assunto è sicuramente condivisibile e va, dunque, confermato. E’ certo, infatti, siccome incontestato, che il direttore OMISSIS, pur coinvolto nell’indagine penale riguardante l’ufficio da lui diretto, non è stato mai inquisito per corruzione, ma solo per abuso di ufficio, accusa dalla quale sarebbe stato poi prosciolto. La notizia giornalistica lo accostava, invece, agli altri funzionari, accusati di corruzione, in termini diretti ed immediati, così come annunciato, con tanto clamore, dallo stesso titolo, recante la locuzione alla sbarra il direttore OMISSIS. Espressione, in sè, oggettivamente equivoca, perchè poteva pur alludere ad una condizione di custodia cautelare o, comunque, nella più favorevole delle accezioni, al rinvio a giudizio dello stesso OMISSIS innanzi al Tribunale, con l’infamante addebito di corruzione; significazione, questa, anch’essa incontrovertibilmente inveritiera.
Nulla quaestio sul contenuto obiettivamente diffamatorio della falsa accusa anzidetta, il solo profilo problematico, oggetto del secondo motivo, attiene all’applicabilità del diritto di cronaca giornalistica, nella speciale configurazione della cronaca giudiziaria.
2. – Al riguardo, è principio di pacifica acquisizione giurisprudenziale che, ai fini del riconoscimento dell’efficacia esimente della cronaca giudiziaria, ai sensi dell’art. 51 c.p., occorre che la notizia propalata rispecchi fedelmente il contenuto del provvedimento giudiziario.
Dovendosi calibrare l’arresto anzidetto al particolare stato della vicenda processuale in questione, l’obbligo a carico del cronista giudiziario, rispetto alla delicata fase delle indagini preliminari, in cui ordinariamente manca un provvedimento formale (ove non sia stato emesso un titolo custodiale od un tipico atto investigativo), deve intendersi nel senso di fedele riproduzione del contenuto dell’addebito oggetto di attenzione investigativa. Affermazione da intendere, ovviamente, non già nel senso della verifica del contenuto della stessa accusa perchè, altrimenti, il lavoro del giornalista verrebbe a sovrapporsi a quello della polizia giudiziaria e della magistratura, quanto piuttosto della puntuale corrispondenza della narrazione al progetto accusatorio dell’attività d’indagine e degli accertamenti compiuti dalla magistratura al momento in cui la notizia viene diffusa (cfr., pure, Cass, sez. 3 civile. 9.3.2010, n. 5657, rv 611819). Tanto basta per ravvisare, nel caso di specie, la valenza diffamatoria della distorsione giornalistica che, addebitava all’ OMISSIS un’accusa affatto inesistente (cfr. Cass. sez. 5, 9.12.2010, n. 4558, rv. 249264, sulla capacità diffamatoria dell’attribuzione di condotta sostanzialmente diversa da quella oggetto di procedimento penale, persino se contenuta nel titolo dell’articolo).
Mancava, dunque, il requisito della verità oggettiva della notizia, che, per consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, costituisce uno dei presupposti ineludibili per il riconoscimento dell’esimente, non riconoscibile, peraltro, neanche in chiave putativa, non risultando in alcun modo che l’autore dell’articolo avesse adempiuto all’elementare dovere deontologico di verifica della fondatezza dell’informazione, svolgendo all’uopo un serio e diligente controllo (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 5.3.2010, n. 23695, rv.
247524), tanto più in ragione della delicatezza e gravità di quanto si apprestava a diffondere.
E per ciò che concerne gli altri due requisiti, pacifico ed incontroverso l’interesse pubblico alla propalazione della notizia (ed. pertinenza) – ordinariamente connesso all’esercizio della cronaca giudiziaria – nel caso di specie non risultava, invece, rispettato neanche l’altro presupposto della continenza, nella peculiare configurazione che anche questo limite trova nell’ambito della cronaca giudiziaria. Il requisito in parola non si risolve, infatti, nella mera correttezza formale dell’esposizione, assumendo pure un riflesso sostanziale, in rapporto alla globalità del resoconto giudiziario (cfr. Cass. sez. 3 civ, 31.3.2007, n. 8065, rv.
598568). In particolare, in tema di cronaca giudiziaria relativa alla delicata fase dell’indagine preliminare, è doveroso – proprio in ragione della fluidità ed incertezza ontologica del contenuto delle investigazioni – un racconto asettico, senza enfasi od indebite anticipazioni di colpevolezza, non essendo consentito al giornalista aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni, in spregio del dettato costituzionale di innocenza dell’imputato (ed a fortiori dell’indagato) sino a sentenza definitiva.
Se, infatti, il cronista non è certamente tenuto, per quanto si è detto, a verificare la fondatezza dell’accusa (dovendo, piuttosto, controllarne rigorosamente i termini di formulazione), parimenti non può indulgere ad alcuna preconcetta opzione di responsabilità, rendendo una ricostruzione in chiave colpevolista. Se, di certo, non gli si può impedire di avere, al riguardo, un’opinione da manifestare, non gli è però consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente: allo stato, null’altro che un mero progetto di accusa attorno ad ipotesi d’illecito e di penale responsabilità, tutte però da verificare.
E, nel caso di specie, sulla base del costrutto motivazionale della sentenza impugnata, il limite della continenza appariva ampiamente violato, in quanto l’articolo era tutto sbilanciato a sostegno della rappresentazione accusatoria, offrendo all’opinione pubblica l’immagine di un direttore corrotto, aduso, come i suoi sottoposti, a percepire tangenti in cambio del rilascio di titoli abilitativi alla guida.
4. – Il terzo motivo è privo di fondamento, posto che la responsabilità penale è stata correttamente affermata ai sensi dell’art. 57 c.p., che è responsabilità a titolo colposo, legata alla posizione di garanzia attribuita al direttore responsabile, che, nel caso di specie, non aveva adempiuto all’onere probatorio in ordine ad eventuale impossibilità di assolvere agli obblighi di controllo istituzionalmente inerenti al suo incarico.
6. – Il quarto motivo è, invece, inammissibile, riguardando questione prettamente di merito, in tema di regime sanzionatorio, che risulta assistita da motivazione congrua, al di là del non pertinente richiamo – verosimilmente dovuto a mero refuso da sovrapposizione di videoscrittura – al contesto di particolare sensibilità dell’opinione pubblica per eventuali attentati terroristici.
7. – Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.