Importazione di stupefacente: tentativo
(Cass. Sezione VI Penale, 4 giugno 2013, n. 33144)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio – Presidente –
Dott. SERPICO Francesco – Consigliere –
Dott. CORTESE Arturo – Consigliere –
Dott. IPPOLITO Francesc – rel. Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
contro l’ordinanza del tribunale di Roma emessa in data 13/03/2013;
– udita la relazione in camera di consiglio del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per il rigetto del ricorso;
– udito il difensore avv. OMISSIS che si è riportato ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Roma ha confermato la misura oistodiale carceraria emessa dal locale giudice per le indagini preliminari il 14.2.13 nei confronti di OMISSIS in relazione al delitto di concorso nell’importazione di ingente quantitativo di sostanza stupefacente, tuttavia riqualificando tale delitto nella forma del tentativo, ricorre l’indagato a mezzo del difensore, enunciando due motivi:
– erronea applicazione degli artt. 56 e 115 c.p. e difetto di motivazione, giacchè i dati di fatto emergenti dall’ordinanza del Tribunale (la non disponibilità della droga negli indagati; la mancata conoscenza del luogo di carico della droga; la mancata indicazione di chi e con quale mezzo avrebbe dovuto trasportare la droga; la mancata indicazione degli interlocutori finali; la mancata indicazione di chi avrebbe posto la somma a disposizione di OMISSIS e di come quando e a chi la stessa sarebbe stata trasferita) non sarebbero stati valutati nella loro inidoneità a costituire situazione sussumibile nell’art. 56 c.p. piuttosto che nell’art. 115 c.p.; – violazione degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p. e art. 299 c.p.p., comma 4 ter, in relazione al ritenuto pericolo di reiterazione del reato (secondo il ricorrente basato su elementi del tutto ipotetici) e all’adeguatezza della misura (per i precedenti modesti e non specifici e l’epoca remota del fatto della medesima natura per cui era stato tratto a giudizio in altro procedimento. Il Tribunale non avrebbe poi “fornito giusta considerazione” alle condizioni sanitarie documentate dalla difesa.
Motivi della decisione
1. Il Tribunale ha escluso il reato consumato e ha ritenuto sussistente un grave quadro indiziarlo di tentativo di importazione di sostanza stupefacente, aderendo espressamente all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il reato è consumato allorchè vi siano elementi tali da ritenere che vi sia stata l’autonoma disponibilità all’estero dello stupefacente ancora da trasportare.
Sul punto è bene ricordare che questa Corte, proprio con riferimento al delitto di importazione di sostanza stupefacente, ha stabilito che per la consumazione del delitto non è sufficiente la mera conclusione dell’accordo finalizzato all’importazione dello stupefacente, ma è necessaria l’acquisizione dell’autonoma detenzione della droga da parte dell’importatore, la quale si realizza anche attraverso l’assunzione da parte di quest’ultimo della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale (Cass. Sez. 6, n. 27998 del 11/07/2011, Pezzica, Rv. 250560; Sez. 1, n. 1498 del 07/03/1996, Carista, Rv. 204927).
2. Il semplice accordo fra i soggetti interessati all’effettuazione dell’operazione può eventualmente valere – ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 56 cod. pen. – solo a rendere configurabile il tentativo punibile, che può ravvisarsi anche in un’attività preparatoria, qualora essa sia idonea e diretta in modo non equivoco alla consumazione del delitto.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, l’idoneità degli atti deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinare la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei all’agente (Cass. Sez. 6, n. 27323 del 20/05/2008, Rv. 240736; Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009, Rv. 245720; Sez. 2, n. 41649 del 05/11/2010 Rv. 248829; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, Rv. 254106.
3. Per quanto concerne il secondo essenziale elemento della fattispecie prevista dall’art. 56 cod. pen., secondo autorevole dottrina, che il Collegio condivide, gli atti idonei possono considerarsi “diretti in modo non equivoco a commettere un delitto”, quando, per il grado di sviluppo raggiunto, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto.
A tale indirizzo risulta ispirata anche la sentenza di questa Corte (Cass. Sez. 4, n. 35643 del 13.6.2012, Prevete), espressamente citata dall’ordinanza impugnata. In tale precedente la Corte di cassazione affermò la sussistenza del tentativo di importazione in una vicenda in cui, dagli elementi probatori, risultava una trattativa, pressochè perfezionata, tra venditori sudamericani e compratori italiani, essendo già stato fissato quantità e prezzo della sostanza stupefacente.
4. Il caso in esame non appare analogo al precedente giurisprudenziale sopra indicato, in cui prova della trattativa in atto, con prezzo e quantità determinati, concretava l’idoneità e l’univocità degli atti sì da configurare il tentativo punibile.
Nell’ordinanza impugnata si legge che “sono state captate conversazioni ambientali tra i soli acquirenti italiani, da cui si desume … che era stato quantomeno programmato un investimento di elevata entità (circa 700.000,00 Euro) e che tale denaro era destinato, almeno nelle intenzioni degli indagati calabresi, all’acquisto di un’ingente partita di sostanza stupefacente”.
Ritiene il Collegio che nell’indicato passaggio argomentativo si delinea una intenzione programmatica dei OMISSIS, con versamento di 700.000 Euro al OMISSIS, senza la descrizione o l’indicazione di alcun elemento da cui dedurre la probabilità che tra costoro, acquirenti (tra i quali la stessa ordinanza ricomprende i OMISSIS), e i venditori latinoamericani fosse già intervenuto un accordo o quanto meno che si stesse svolgendo una trattativa, cosicchè non è possibile, allo stato, verificare se è stata, almeno in parte, realizzata dagli indagati un’attività tale che l’intenzione criminosa si sia tradotta in una lesione, o almeno in una messa in pericolo obiettivamente accettabile, del bene protetto dalla norma.
Il cospicuo investimento operato dai OMISSIS e dal OMISSIS, i programmi e le intenzioni degli indagati calabresi e la condotta contestata al OMISSIS, per come risultano descritti nel provvedimento oggi esaminati rimangono attività preparatorie di cui non si è in grado di apprezzare nè l’idoneità nè l’univocità in mancanza di concreti elementi per ritenere probabile l’instaurazione di una trattativa con i venditori che avevano la disponibilità della droga.
5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Roma, che procederà nuovo esame sulla base dei principi di diritto sopra enunciati.
la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.