La condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, prevista dall’art. 216 della legge fallimentare, che esige una finalità di danno per i creditori, è in rapporto di specialità reciproca, potendo pertanto concorrere, con quella di infedeltà patrimoniale, prevista dall’art. 2634 c.c., che presuppone un conflitto di interessi da cui consegua un danno per la società ed esige una finalità di ingiusto profitto per l’agente o di vantaggio per i terzi.
(Cass. Sezione V Penale, 27 settembre – 7 novembre 2012, n. 43001)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana – Presidente –
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere –
Dott. FUMO Maurizio – Consigliere –
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –
Dott. SABEONE Gerar – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
1) OMISSIS;
1) OMISSIS;
avverso la sentenza n. 1804/2009 GIP TRIBUNALE di COSENZA, del 07/07/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE;
sentite le conclusioni del PG Dott. Francesco Salzano che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
Udito il difensore OMISSIS.
1. Con sentenza del 7 luglio 2011 il GIP presso il Tribunale di Cosenza ha dichiarato non doversi procedere perchè il fatto non sussiste nei confronti di OMISSIS in ordine al reato di cui all’art. 2634 c.c., per aver quale amministratore unico della s.r.l.
OMISSIS e socio con la sorella OMISSIS, esercitato attività di concorrenza sleale dirottando la clientela e i dipendenti di tale società verso la s.r.l. OMISSIS di cui era socio con la moglie OMISSIS.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la parte offesa costituita parte civile OMISSIS, a mezzo del proprio procuratore, evidenziando l’erronea applicazione della norma di legge nonchè la carenza e la illogicità della motivazione che avrebbero dovuto condurre, al contrario, a non prosciogliere l’imputato.
3. Risultano, altresì, pervenute sia una memoria nell’interesse dell’imputato OMISSIS che, al contrario, sostiene la correttezza dell’impugnato provvedimento che una memoria nell’interesse della ricorrente OMISSIS ad ulteriore illustrazione dei motivi di ricorso.
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. Giova premettere, in punto di diritto come la Corte Costituzionale abbia più volte affermato che le modifiche apportate alla disciplina della udienza preliminare non ne abbiano anche modificato la funzione assegnata ad essa, nel disegno del codice, nella quale “l’apprezzamento del giudice non si sviluppa secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento” (v.Corte Cost. Sent. 82/1993, Sent. 71/1996, Sent. 51/1997 e Ord. 185/2001): la funzione dell’udienza preliminare resta, quindi, pur sempre quella di verificare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di giudizio formulata dal P.M..
Come hanno, poi, sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (v.Cass. Sez. Un. 30 ottobre 2002 n. 39915), anche l’obbiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del Giudice, rispetto all’epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422 c.p.p. non attribuisce allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poichè la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato comma 3 dell’art. 425 c.p.p., “è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento”.
Non è ovviamente irrilevante se, all’udienza preliminare, emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato, ma il proscioglimento deve essere, dal Giudice dell’udienza preliminare, pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti (v.
Cass. Sez. 4, 6 ottobre 2009 n. 43483).
In conclusione, da un lato, il quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare deve essere ragionevolmente ritenuto immutabile e, d’altra parte, il Giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione (v. Cass. Sez. 2, 11 novembre 2008 n. 45046, Sez. 5, 15 maggio 2009 n. 22864 e, da ultimo, in una decisione che ha riguardato il medesimo Giudice di merito territoriale Sez. 6, 12 gennaio 2012 n. 10849).
3. Nella specie, questa volta in fatto, le condotte ascritte all’imputato consistono in uno sviamento della clientela e del personale dalla s.r.l. MISSIS alla s.r.l. OMISSIS in evidente conflitto d’interesse a cagione delle cariche rivestite nelle due società (“pilotare fraudolentemente i clienti di quest’ultima, coi relativi cospicui introiti, nonchè gli stessi dipendenti, verso la OMISSIS s.r.l., della quale era socio con la propria moglie OMISSIS e tanto al fine di procurare a quest’ultima Società il corrispondente ingiusto vantaggio” si legge nel capo d’imputazione dei delitto di cui all’art. 2634 c.c.).
Il ragionamento seguito dal Giudice a quo, per giungere al proscioglimento, è partito, a sua volta, dalla giurisprudenza enucleata in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione con riferimento ad atti di sviamento della clientela e del personale e ne ha, poi, trasfuso alcune rilevanti conclusioni in riferimento al reato d’infedeltà patrimoniale.
Tale ultima fattispecie criminosa richiede, quale elemento oggettivo il compimento, da parte di amministratori, direttori generali e liquidatori di una società, ovvero il concorso nel deliberare atti di disposizione dei beni sociali al fine di procurare un ingiusto profitto con danno patrimoniale per la società stessa.
Più in particolare, questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che la fattispecie incriminatrice, contenuta nel codice civile, è stata introdotta nell’ambito della più complessiva riforma dei reati societari, “allo scopo, da un lato, di ancorare la sanzionabilità delle infedeltà al principio di offensività e superare la criminalizzazione di scorrettezze formali caratterizzate da mero pericolo presunto e, da un altro, di ricollocare nel loro ambito naturale figure di reato non destinate in origine a tutelare il patrimonio sociale da condotte abusive ed uso improprio dei beni da parte degli amministratori, cosi prevenendone possibili applicazioni non conformi al principio di stretta legalità” (v. le citate Cass. Sez. 2, 3 dicembre 2009 n. 7587 e Sez. 2, 25 ottobre 2011 n. 4244).
La rimodulazione della materia degli illeciti societari, tuttavia, non esaurisce la tutela penale verso le aggressioni ai beni sociali da parte di soggetti qualificati, poichè resta ferma la rilevanza criminale di quelle condotte, che, non rientrando nella previsione della normativa speciale, risultano punibili secondo il diritto comune.
Presupposto della condotta infedele sanzionata ai sensi dell’art. 2634 c.c. è, per espressa previsione di legge, il conflitto di interessi fra amministratori, direttori generali o liquidatori e società, in altre parole, l’eccesso di potere per sviamento:
preesistendo il conflitto, è sanzionato l’atto di gestione (non rileva se avente ad oggetto beni mobili o immobili, diritti reali o di credito) che direttamente (per sè) o indirettamente (per altri) persegue l’interesse confliggente, con detrimento di quello della società.
Deve, però, affermarsi al riguardo, in sintonia con la giurisprudenza di legittimità formatasi sul tema (v. la citata, Cass. Sez. 5, 5 marzo 2008 n. 13110), che la condotta di bancarotta patrimoniale per distrazione, prevista dalla L. Fall., art. 216, che esige una finalità di danno per i creditori, sia in rapporto di specialità reciproca con quella di infedeltà patrimoniale, prevista dall’art. 2634 c.c., che presuppone un conflitto di interessi da cui consegua un danno per la società ed esige una finalità di ingiusto profitto per l’agente o di vantaggio per i terzi.
Sono del resto diversi gli interessi tutelati rispettivamente dalla L. Fall., art. 216, destinato a tutelare i creditori sociali, e dall’art. 2634 c.c., destinato a tutelare il patrimonio sociale; e questa diversità di oggetti giuridici spiega anche perchè la seconda fattispecie sia punibile a titolo di bancarotta solo quando abbia determinato il dissesto, che finisce per incidere sulle ragioni dei creditori (v. Cass. Sez. 5, 16 gennaio 2007 n. 6140 e Sez. 5, 5 marzo 2008 n. 13110).
Nella specie il GIP, premesso che le condotte contestate all’imputato sarebbero state di mera concorrenza sleale, integranti esclusivamente ipotesi di responsabilità civile è pervenuto ad una sentenza di improcedibilità nei confronti dell’imputato “perchè il fatto non sussiste”, sulla base della ritenuta insussistenza della possibilità di ampliare il significato della norma incriminatrice con comportamenti non integranti atti di disposizione dei beni sociali.
In tal modo però, oltre ad emettere un sentenza di improcedibilità non basata su una valutazione di insufficienza o contraddittorietà degli elementi a carico dell’imputato parametrata alla prognosi della inutilità del dibattimento, il giudicante ha illegittimamente valorizzato, una volta accertato tanto la verificazione del fatto di reato, sotto il profilo della sua materialità, quanto la sua attribuibilità all’imputato sotto quello del rapporto causale, nell’ambito della pur necessaria indagine in ordine all’elemento psicologico del reato, ipotetiche e incerte alternative, concernenti l’effettivo compimento di uno specifico atto deliberativo o di gestione del patrimonio sociale, finendo con l’operare scelte tra le molteplici soluzioni “aperte”, viceversa riservate in via esclusiva al libero convincimento del Giudice del dibattimento, in esito all’effettivo contraddittorio delle parti sulla prova.
Il tutto a non voler considerare, in punto di diritto ugualmente, come lo sviamento della clientela e la movimentazione del personale da una società all’altra potessero in astratto considerarsi atti di disposizione del patrimonio sociale, solo a voler considerare i rapporti obbligatori sottostanti ai contratti di lavoro con i dipendenti o a quelli di fornitura di merci e servizi in favore dei clienti.
Alla luce, infine, del dato normativo (“compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali”) non è neppure condivisibile la motivazione del Giudice a quo nella parte in cui evidenzia, in ogni caso, la mancata contestazione di uno specifico atto deliberativo o di gestione del patrimonio sociale posta, per l’appunto, la possibilità dell’inquadramento nella fattispecie anche del mero compimento di atti di disposizione in violazione dei principi di fedeltà patrimoniale.
4. Il ricorso va pertanto accolto e l’impugnata sentenza annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cosenza.

P.Q.M.

La Corte, annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame.

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