IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente –
Dott. BEVERE Antonio – Consigliere –
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere –
Dott. SABEONE Gerardo – rel. Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO;
nei confronti di:
1) OMISSIS;
2) OMISSIS;
avverso la sentenza n. 2665/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del 10/01/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SABEONE Gerardo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Scardaccione Eduardo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito il difensore
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 10 gennaio 2012, ha riformato, dichiarando che il fatto non sussiste, la sentenza del Tribunale di Milano del 21 febbraio 2011 che aveva condannato OMISSIS per omesso controllo, quale direttore responsabile del quotidiano OMISSIS, per il delitto di diffamazione a mezzo stampa in danno di OMISSIS, commesso il OMISSIS con la pubblicazione di un articolo, non firmato, nel quale si affermava che il Presidente dei revisori dei conti della OMISSIS, cioè il suddetto OMISSIS, era indagato, contrariamente al vero in quanto l’indagine era per il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza di cui all’art. 2638 c.c., per il diverso reato di appropriazione indebita.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, agli effetti penali, su richiesta della parte civile ai sensi dell’art. 572 c.p.p., il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano ed agli effetti civili la stessa parte civile OMISSIS., con atti distinti ma di identico contenuto lamentando:
a) una motivazione contraddittoria e la illogicità della massima di esperienza utilizzata per giungere al proscioglimento dalla contestata diffamazione in merito all’indicazione nell’articolo in contestazione della sottoposizione del OMISSIS ad indagini per un delitto meno infamante agli occhi del lettore medio;
b) una erronea applicazione della legge penale e una motivazione illogica in merito alla sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, pur in presenza del superamento del limite della verità del fatto narrato.
3. Risulta, altresì, pervenuta una memoria difensiva nell’interesse dell’imputato OMISSIS che si oppone all’accoglimento degli avversi ricorsi.
1. I ricorsi sono meritevoli di accoglimento.
2. Si osserva in diritto, come il corretto esercizio del diritto di cronaca giornalistica comporti il rispetto di alcuni parametri, ormai solidamente individuati nella verità della notizia, nella rilevanza sociale della stessa e nella continenza espressiva (v. da ultimo, Cass. Sez. 5^, 4 novembre 2010 n. 44024).
E ancora, si è rilevato come sia configurabile la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo obbiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte (v. da ultimo, in tema di cronaca giudiziaria ma con principio valido anche per la cronaca normale, Cass. Sez. 5^, 5 marzo 2010, n. 23695, Sez. 5^, 9 aprile 2010 n. 27106 e Sez. 5^, 27 ottobre 2010 n. 3674).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l’applicazione della esimente del diritto di cronaca (sotto il profilo putativo) quando l’autore dello scritto diffamante o il direttore della pubblicazione non abbiano proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria; ne consegue che nell’ipotesi in cui una simile verifica sia impossibile (anche nel caso in cui la notizia possa essere ritenuta verosimile in relazione alle qualità personali dell’informatore) il giornalista che intenda comunque pubblicarla e il direttore che consenta tale pubblicazione accettano il rischio che essa non corrisponda a verità, (v. Cass. Sez. 5^, 18 febbraio 2010 n. 19046 e Sez. 5^, 17 dicembre 2010 n. 13708).
Secondo, poi, un condivisibile orientamento interpretativo, il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di manifestazione del pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell’ambito della vita associata.
E’ diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita politica, in sede centrale o periferica.
Ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la diffusione di notizie lesive del credito sociale dell’indagato, secondo il consolidato orientamento interpretativo, perde il suo carattere di antigiuridicità.
Va, comunque, precisato che la reputazione del soggetto coinvolto in indagini e accertamenti penali non è tutelata rispetto all’indicazione di fatti e alla espressione di giudizi critici, a condizione che questi siano in correlazione con l’andamento del procedimento.
Per il cittadino sottoposto al processo penale non è ipotizzabile, attraverso una strumentale gerarchia delle lesioni, una limitazione della tutela dei diritti della persona riconosciuti dalla Carta costituzionale, fatte salve le specifiche deroghe sopra indicate (v.
Sez. 5^, 17 dicembre 2010 n. 13702).
In tema di cronaca giudiziaria, infatti, la notizia è costituita dal provvedimento o comunque dalla condotta degli “attori” del procedimento.
Se il resoconto giornalistico è fedele al contenuto del provvedimento stesso, tanto è sufficiente, atteso che non può certo chiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni prese in sede giudiziaria; ma se non lo è, allora il giornalista deve assumersi la responsabilità di propagare una notizia (evidentemente) appresa aliunde e deve, anteriormente, eseguire i necessari controlli per stabilirne la veridicità (v. Cass. Sez. 5^, 12 maggio 2011, n. 24955).
3. Nella specie, questa volta in fatto, se, come appare indiscutibile alla luce delle stesse affermazioni della Corte territoriale, al G. non fu addebitata dagli Organi inquirenti la condotta contra legem di cui si fa parola dell’articolo (reato di appropriazione indebita), non è dubbio che la notizia debba essere considerata non corrispondente al vero.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice a quo non può ritenersi certamente rilevante, sotto tale profilo, che al predetto siano state eventualmente addebitate dalla Autorità Giudiziaria procedente altre e diverse condotte costituenti reato (ostacolo alle funzioni di vigilanza), stante l’oggetti va non veridicità della notizia.
Neppure appare logico e giuridico il discorso della Corte territoriale in merito alla mancanza di “plusvalenza lesiva della reputazione” (v. pagina 7 della motivazione) della parte offesa nell’avvenuta attribuzione di una diversa fattispecie, giungendo a soppesare la gravita dei fatti sulla base della quantità della pena e della procedibilità d’ufficio dei rispettivi reati.
Al di là della circostanza che pur sempre si verte nell’ipotesi di attribuzione, non vera, di un fatto costituente reato, quello che rileva è che “la reputazione” della parte offesa con riferimento poi alla sua condizione soggettiva e che costituisce, pur sempre, il bene giuridico protetto dal reato di diffamazione, rimarrebbe ugualmente vulnerata dall’attribuzione, in capo ad un soggetto che operi nel mondo bancario, del reato di appropriazione indebita piuttosto che dal reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza bancaria.
Ciò discende dal fatto che la reputazione consiste nel senso della dignità personale nell’opinione degli altri, o, per dirla più semplicemente, nella stima diffusa nell’ambiente sociale nel quale l’uomo vive ed opera (v. Cass. Sez. 5^ 22 settembre 2004 n. 47452) e non vi è dubbio, quindi, che ulteriori o diversi elementi diffamatori comportino una sicura diminuzione della parte lesa nella considerazione dei consociati.
4, Dall’accoglimento dei ricorsi deriva, in conclusione, l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo esame.
la Corte, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame.