(Cass. Sezione VI Penale, 27 febbraio – 9 aprile 2013 n. 16244)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente –
Dott. CARCANO Domenico – Consigliere –
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –
Dott. PATERNÒ RADDUSA B. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
OMISSIS
avverso la sentenza n. 544/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del 27/03/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BENEDETTO PATERNÒ RADDUSA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. LETTIERI Nicola che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. che insiste nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
1. OMISSIS, per il tramite del difensore fiduciario, impugna la sentenza della Corte di Appello di Catania la quale, confermando in punto di responsabilità la decisione di primo grado reso dal Gup presso il Tribunale della medesima città per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ha condannato il ricorrente alla pena di giustizia, ridotta, nella misura comminata, dal Giudice dell’appello.
2. Lamenta il ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione avuto riguardo al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 99 c.p..
In particolare la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare le doglianze afferenti la chiesta applicazione della attenuante ex comma 5, limitando il giudizio alla quantità e qualità della droga oggetto di detenzione e pretermettendo l’analisi degli altri riferimenti normativi tipizzati dall’art. 73 quando peraltro il dato ponderale riscontrato non era comunque tale da giustificare la reiezione della richiesta. In ordine alla recidiva, poi, la richiesta di disapplicazione trovava ragione nella risalenza nel tempo dei precedenti, peraltro non specifici. E nella specie il riferimento alle modalità della condotta non va condivisa non costituendo sintomo significativo della proclività a delinquere del ricorrente.
3. Il ricorso è fondato solo limitatamente alla doglianza legata alla applicazione della recidiva, applicata nella specie dalla Corte distrettuale senza il necessario supporto motivazionale.
4. È infondato il primo rilievo mosso avverso la decisione contestata, quello afferente l’attenuante ex art. 73, comma 5. In fatto giova evidenziare che nella specie la quantità della sostanza fatto oggetto del reato contestato ammontava a 94,7 dosi medie giornaliere di principio attivo di cocaina. In diritto, poi, la motivazione contestata risulta fondata proprio sulla natura e sul dato ponderale della sostanza stupefacente.
In “parte qua”, la decisione non merita censura alcuna, risultando compiutamente motivata ed in linea al dato normativo applicato. La circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può infatti essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio. E nel caso a mano la Corte distrettuale, al pari del primo giudice, ha fatto buon governo di questo principio, costantemente dettato in sede di legittimità (cfr da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 6732 del 22/12/2011 Ud. (dep. 20/02/2012) Rv. 251942 ed ancora SS UU, sentenza nr 35737/10), in ragione della qualità e della certa consistenza ponderale della sostanza in interesse.
5. A soluzione opposta si perviene con riferimento alla valutazione resa in punto alla applicata recidiva. Giova ricordare, in linea con quanto recentemente affermato dalle SS UU di questa Corte (Sez. Sentenza n. 5859 del 27/10/2011 Ud., dep. 15/02/2012, Rv. 251690 qui pedissequamante riportata) che sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene, sia quando esclude la rilevanza della recidiva. Esclusi i casi di recidiva c.d. obbligatoria, di cui all’art. 99 c.p., comma 5, il giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga effettivamente idonea ad influire, di per sè, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede; ed è quindi, tenuto a verificare se il nuovo episodio criminoso sia “concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo (Corte cost., sent. n.192 del 2007). In altri termini, è precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Nel caso, la motivazione adottata dalla Corte distrettuale non si attiene in alcun modo ai sopra delineati principi. Si risolve piuttosto in una vuota formula di stile, priva di qualsivoglia aggancio alla specifica situazione concreta in disamina, resa – peraltro – pretermettendo integralmente il rilievo contrario nella specie evidenziato dalla difesa in punto alla distanza nel tempo dei precedenti. Occorre dunque annullare la sentenza impugnata sul punto, rinviando ad altra sezione della stessa Corte di appello, chiamata nella specie a motivare in punto alla possibile applicazione alla specie della contestata recidiva all’uopo seguendo le linee guida sopra rassegnate per come dettate dalle SS UU di questa Corte con la già citata sentenza 5859/11.
annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta recidiva; e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Catania; rigetta nel resto il ricorso.