(Cass. Sezione IV Penale, 4 giugno – 11 agosto 2014, n. 35488)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente –
Dott. ZAMPETTI Umberto – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere –
Dott. CASSANO Margherita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
nei confronti di:
OMISSIS;
avverso l’ordinanza n. 15993/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di ROMA, del 28/10/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Margherita Cassano;
lette le conclusioni del PG Dott. Salzano Francesco, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
1. Il 28 ottobre 2013 il Magistrato di sorveglianza di Roma accoglieva il reclamo proposto da M.G., detenuto sottoposto al regime previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 41 bis e successive modifiche, avverso le modalità di svolgimento dei colloqui visivi con i figli minori degli anni dodici stabilite nel provvedimento ministeriale, che, in caso di assenza di vetro divisorio, li limitava a dieci minuti e non consentiva la presenza di altri familiari. Per l’effetto disponeva l’immediata disapplicazione delle circolari ministeriali, nella parte in cui prevedono l’allontanamento dei familiari maggiorenni per la durata dei colloqui fruiti senza vetro divisorio con figli o nipoti minori di anni dodici, e annullava di conseguenza ordini di servizio adottati dalla Casa Circondariale di Rebibbia N.C..
2. Il Magistrato di sorveglianza, premessa l’ammissibilità del reclamo, osservava che la disapplicazione del provvedimento ministeriale in parte qua trovava la sua giustificazione in molteplici parametri normativi.
La tutela della vita familiare è espressamente sancita dalla Costituzione (artt. 2, 29, 30, 31) e trova ulteriori significativi presidi nell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nell’art. 3 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ratificata con L. n. 176 del 1991).
La Corte Costituzionale ha, a sua volta, più volte affermato la sussistenza del diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della vita familiare (sent. n. 341 del 1991 e 376 del 2000).
Tali principi sono recepiti anche dall’art. 28 ord. pen. che impegna l’amministrazione penitenziaria a “mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”.
E’, inoltre, significativa la circostanza che anche i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza speciale previsto dall’art. 14 bis ord. pen. non possono subire compressioni al proprio diritto ai colloqui con i familiari a causa del regime restrittivo cui sono sottoposti.
Particolari e rigide modalità sono fissate per i detenuti sottoposti al regime disciplinato dall’art. 41 bis ord. pen. per i quali è previsto un colloquio visivo al mese in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. I colloqui devono essere videoregistrati e sottoposti a controllo auditivo, previa autorizzazione motivata da parte dell’Autorità giudiziaria (art. 41 bis, comma 2 quater, lett. d, ord. pen.).
In tale contesto, il divieto di far presenziare l’altro genitore al colloquio senza vetro divisorio tra il detenuto in regime di 41 bis ed il figlio (o il nipote) minore degli anni dodici costituisce una grave compressione del rapporto familiare, incide, menomandola, sull’esigenza di condivisione familiare, determina traumi e disagi nel minore, tenuto conto del fatto che si tratta di un rapporto al di fuori della quotidianità e, per quanto riguarda i nipoti, di una relazione mediata dalle figure genitoriali o tutorie che li accompagnano.
3. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite l’Avvocatura dello Stato, il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore, che, dopo avere ripercorso le vicende della normativa primaria e secondaria in tema di colloqui visivi dei detenuti con persone minorenni, lamenta violazione ed erronea applicazione delle disposizioni contenute nella L. n. 354 del 1975 e successive modifiche. Osserva che, in materia di ordinamento penitenziario, viene in rilievo la tutela dei diritti soggettivi del detenuto e non di soggetti terzi, salvo che ricorrano situazioni incidenti di riflesso sulla posizione soggettiva del detenuto. Tanto premesso, rileva che, nel caso di specie, non si versa in tale ipotesi, atteso che l’allontanamento degli altri familiari dalla sala dove si svolge il colloquio, senza vetro divisorio, tra il detenuto in regime di 41-bis e il minore degli anni dodici non determina la lesione di posizioni di diritto soggettivo giuridicamente rilevanti facenti capo al detenuto stesso. Una volta garantito il diritto del minore a mantenere il rapporto con il familiare detenuto e salvaguardato, al contempo, il diritto del detenuto a coltivare il rapporto con il minore, la mancata presenza al colloquio con lo stesso dell’altro familiare che lo accompagna non determina la lesione di una posizione soggettiva del detenuto, bensì di un interesse giuridicamente rilevante a che si riproponga nella sala colloqui un clima di familiarità. Si tratta di un interesse secondario e non di rilievo costituzionale che non incide sulla sostanza del rapporto parentale nei suoi contenuti fondamentali ed è destinato a soccombere di fronte ad esigenze di sicurezza, cui sono preordinate le modalità del colloquio.
Il ricorso del Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, è fondato.
1. Il Collegio è chiamato a stabilire se il colloquio tra il detenuto sottoposto al regime previsto all’art. 41 bis ord. pen. e il minore di anni dodici che si svolga, su richiesta, negli ultimi dieci minuti senza il vetro divisorio debba svolgersi in assenza degli altri familiari.
2. Occorre premettere che in sede giurisdizionale sono sindacabili, mediante reclamo al Magistrato di sorveglianza, depositaria di una competenza esclusiva in tema di trattamento penitenziario, soltanto quei provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria che incidono sulle posizioni soggettive del detenuto. Alla giurisdizione della Magistratura di sorveglianza va devoluta non solo la tutela dei diritti, ma anche quella degli interessi legittimi scaturenti da un atto dell’Autorità amministrativa, sempre che tali posizioni soggettive possano trovare accesso nel regime del trattamento (Sez. U., 26 febbraio 2003, Gianni).
Il rimedio giurisdizionale da utilizzare per reagire alla supposta violazione di un diritto o di un interesse legittimo da parte dell’Amministrazione penitenziaria è il procedimento di reclamo, regolato dall’art. 14 ter ord. pen..
3. E’ indubbio che la materia dei colloqui rientra tra i “diritti soggettivi” a fronte dei quali i poteri decisionali dell’Amministrazione penitenziaria si connotano per una sorta di discrezionalità tecnica, vincolata nei presupposti e nei fini. I colloqui costituiscono, infatti, elementari espressioni della vita di relazione, il principale strumento di contatto con la società libera e sono orientati a preservare il detenuto dagli effetti desocializzanti della detenzione. Essi costituiscono aspetti del trattamento, insieme con l’istruzione, il lavoro, la religione, come si ricava dal combinato disposto dell’art. 1, comma 6 e art. 15 ord. pen..
Nella prospettiva del mantenimento dei rapporti con la famiglia, i colloqui visivi (e telefonici) si configurano come elementi connotati da peculiare valenza trattamentale (si pensi, al riguardo, ai colloqui “premiali” che possono essere concessi in numero ulteriore a quello previsto dall’art. 18 ord. pen.).
Il ruolo centrale dei colloqui non solo nella prospettiva trattamentale, ma anche nel percorso rieducativo è desumibile, inoltre, dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 61, comma 1, lett. a), che consente al Direttore di concedere ulteriori colloqui in linea con i pareri forniti dal gruppo di osservazione, e dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 73, comma 3, che svincola la sanzione disciplinare dell’isolamento dal divieto di fruire colloqui (e corrispondenza telefonica) con familiari e conviventi.
4. L’art. 18, comma 3, ord. pen. prevede espressamente che “particolare favore” debba essere accordato “ai colloqui con i familiari”, affinchè, anche attraverso questo strumento, sia possibile contribuire al mantenimento, al miglioramento e alla reintegrazione delle “relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”, secondo quanto previsto, in linea generale, dall’art. 28 ord. pen. in base al quale la famiglia costituisce per l’ordinamento un sicuro punto di riferimento cui dedicare una “cura particolare”.
La scelta delle parole non è casuale, in quanto delinea un impegno che coinvolge il presente, il passato e il futuro delle persone in una tensione umana che riguarda non solo la famiglia nel suo complesso, ma anche le relazioni tra il detenuto e i singoli componenti del nucleo familiare, specie se minori (D.P.R. n. 230 del 2000, art. 94).
La legge e i regolamenti utilizzano in maniera promiscua i termini “congiunti” o “familiari”, attribuendovi valenza sostanzialmente equivalente, nonostante che il primo evochi i rapporti di parentela e di affinità e il secondo il gruppo dei congiunti conviventi. Dalla lettura organica dell’art. 1, comma 3, e art. 18 ord. pen. si evince che si tratta di una precisa scelta del legislatore, che, a differenza di quanto accadeva in passato (v. regolamento per gli istituti di prevenzione e pena del 1931), non circoscrive l’ammissione al colloquio ai prossimi congiunti, ma intende promuovere e favorire i rapporti con tutte le persone che abbiano particolari vincoli con il soggetto detenuto.
Dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37, comma 9, si evince il particolare rilievo attribuito dal legislatore ai colloqui con i figli, in particolare se di età inferiore ai dieci anni.
5. Per i detenuti sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis ord. Pen. è prevista, anche in materia di colloqui, una disciplina differenziata, ancorata ad un criterio ragionevole ed obiettivamente verificabile, pienamente congruente con i principi dell’ordinamento penitenziario, che ammette una differenziazione di trattamento in ragione della maggiore pericolosità del detenuto. Le limitazioni sono dirette ad incidere su due fronti, quello dei rapporti con il mondo esterno e quello relativo alla vita interna all’istituto penitenziario. Per quanto concerne il primo versante, la sospensione incide sui colloqui con i terzi, che sono esclusi (salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal Direttore dell’istituto), nonchè sui colloqui con i familiari, ridotti ad uno mensile. Le disposizioni citate sono volte ad impedire contatti con l’esterno che potrebbero essere mantenuti proprio attraverso i colloqui e, nel contempo, esprimono la preoccupazione che anche i colloqui con i familiari possano essere strumentalmente utilizzati per mantenere contatti con l’organizzazione criminale. Una conclusione del genere è avvalorata dalla previsione del controllo auditivo e della registrazione, previa motivata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria competente ai sensi dell’art. 11, comma 2, ord. pen..
6. Così sinteticamente delineata la disciplina in materia di colloqui, il Collegio osserva che il provvedimento impugnato non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni in tema di ordinamento penitenziario.
Infatti, per valutare la legittimità delle circolari ministeriali che disciplinano i colloqui tra il detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. e i minori degli anni dodici il Magistrato di sorveglianza si è basato su una lettura parziale della normativa primaria e secondaria, ha attribuito rilievo centrale, a fini esegetici, esclusivamente all’art. 28 ord. pen., omettendo di sottoporre tale disposizione alla doverosa lettura logico-sistematica con l’art. 41 bis ord. pen., ha fornito un’erronea interpretazione dell’art. 28 ord. pen..
Quest’ultima disposizione non può essere avulsa dall’articolato complesso delle seguenti disposizioni attinenti alla materia dei colloqui visivi :
l’art. 15, comma 1, della suddetta legge, che ricomprende i “rapporti con la famiglia” tra gli elementi del trattamento; l’art. 18, comma 3, ord. pen. che accorda specifico rilievo ai colloqui tra il detenuto (o l’internato) e “i familiari”; il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37, comma 9, che riserva una specifica disciplina ai colloqui con “prole di età inferiore ai dieci anni”; il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 61, commi 1 e 2, che, nell’ambito dei programmi d’intervento per la cura dei rapporti dei detenuti (o internati) con le loro famiglie attribuisce particolare importanza all’esigenza del mantenimento di “un valido rapporto” tra la persona reclusa e “i figli, specie in età minore”; il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 73, comma 3, che non preclude al detenuto (o internato) sottoposto alla sanzione disciplinare dell’esclusione dalle attività in comune dalla fruizione di colloqui con familiari e conviventi; il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 94 che regolamenta le forme di supporto morale e di consiglio ai “familiari, specialmente di età minore” per aiutarli a far fronte al trauma affettivo che si verifica nel periodo immediatamente susseguente alla separazione dal congiunto detenuto (o internato).
Il complesso di tali disposizioni rende evidente che il legislatore, per mezzo (tra l’altro) dei colloqui visivi intende, innanzitutto, garantire la continuità dei rapporti affettivi tra il detenuto (o l’internato) e i componenti della famiglia, al fine di scongiurare il pericolo che la separazione possa deteriore le singole relazioni con evidenti prevedibili ricadute anche sul nucleo familiare nel suo complesso e, in secondo luogo, promuovere ogni opportuna forma di relazione interpersonale quale tramite con la società esterna e tappa di un più ampio percorso trattamentale che ha come suo obiettivo finale il reinserimento sociale della persona. Sotto questo profilo, pertanto, è erronea la lettura contenuta nel provvedimento impugnato, incentrata esclusivamente sulla valorizzazione – nella prospettiva dei colloqui visivi – del nucleo familiare in quanto tale, piuttosto che delle singole relazioni interpersonali, espressione del mondo affettivo del detenuto e proiezione esterna della sua personalità che in esse si esprime.
Una soluzione del genere, d’altronde, non confligge con le esigenze di tutela della famiglia nel suo complesso, atteso che la possibilità di mantenere e coltivare le singole relazioni rappresenta non solo un modo per arricchirle, ma anche lo strumento che contribuisce a rinsaldare i vincoli dell’intero nucleo familiare.
In secondo luogo il Magistrato di sorveglianza ha omesso d’interpretare l’art. 28 ord. pen. alla luce del regime penitenziario previsto dall’art. 41 bis ord. pen. e di effettuare il doveroso e ineludibile bilanciamento tra il diritto del detenuto a fruire di colloqui visivi e l’esigenza di contenere la particolare pericolosità di cui è portatore. E’ proprio quest’ultima a giustificare la disciplina differenziata, rispondente ad evidenti esigenze di ragionevolezza, in quanto correlata ad una valutazione già operata dal legislatore con l’introduzione dell’art. 41-bis ord. pen..
Sotto tutti questi profili è, quindi, possibile affermare che, qualora il detenuto richieda di effettuare, negli ultimi dieci minuti, il colloquio visivo con il figlio (o il nipote) minore di anni dodici senza il vetro divisorio, il colloquio deve svolgersi in assenza degli altri familiari.
Ne consegue l’erroneità della disposta disapplicazione delle circolari ministeriali che prevedono correttamente l’allontanamento dei familiari per la durata dei colloqui fruiti senza vetro divisorio dal detenuto in regime ex art. 41 bis ord. pen. e il figlio o il nipote minore degli anni dodici, nonchè dei conseguenti ordini di servizio adottati dalla Casa di Reclusione Rebibbia N.C. L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio.
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.