Il reato di impedito controllo della gestione sociale di cui all’art. 2625, comma 2, c.c. nella formulazione introdotta con la riforma dei reati societari (D.L.vo n. 61/2002) configura un reato di pericolo in cui la condotta è costituita dall’occultamento documentale che impedisca – o comunque ostacoli – l’attività di controllo legalmente attribuita ai soci. Altre condotte non tipicamente corrispondenti a quelle testualmente descritte non possono essere assimilate in via analogica. Trattasi di reato plurioffensivo nel quale, a causa della sua struttura di base come illecito amministrativo (art. 2625, comma 1, c.c.) i profili psicologici del fatto perdono rilevanza e interesse

Corte di Appello di Catania
Sezione Prima Penale
Sentenza 11 novembre 2009, n. 2012
[OMISSIS]
La ratio della nroma – come novellata sub D.L.vo n. 61/2002 – ha qualche speculare correlazione con l’art. 2622 c.c. – relativa alle notizie societarie – presupponente che il soggetto attivo utilizzi a profitto proprio od altrui il contenuto dell’informazione, sostanziando una condotta divulgativa la quale consente la conoscenza di notizie riservate ed in cui l’offesa al bene protetto diventa l’elemento costitutivo del reato.
L’utilizzazione delle notizie sociali (id est, atti di gestione) riservate, sebbene nella formulazione normativa sia considerata vaga ed indefinita, concerne gli accadimenti della vita societaria, ricollegando la riservatezza alla causa d’ufficio, sicché non possono essere utilizzate, non soltanto le notizie coperte da segreto, ma anche quelle idonee ad arrecare un pregiudizio. La loro utilizzazione deve evvenire per giustificato motivo, una formulazione la quale introduce un elemento di antigiuridicitò speciale che dà respiro alla fattispecie, impedendone una meccanica applicazione. In altri termini, il richiamo al giustificato motivo serve ad escludere la rilevanza penale di un comportamento di utilizzazione conforme ad un dovere di natura morale ovvero tesa ad evitare un danno ingiusto.
Anche il thema decidendum – che verte sull’impedito controllo –  esce notevolmente innovato dalla prefata riforma, sia per quanto concerne la collocazione sistematica dell’interesse penalmente tutelato, sia per quanto attenga agli elementi costitutivi del reato, oggi previsto dall’art. 2625 c.c.. Già una lettura comparativa tra la vecchia e la nuova descrizione legale ne mette in evidenza le differenze strutturali che, in realtà, corrispondono ad una impostazione sistematica diversa di questo reato, la cui attuale lesività non ne autorizza una sottovalutazione espositiva per lanuova ed esclusiva rilevanza dell’elemento del danno patrimoniale, rispetto all’ipotesi che ne è priva, meramente sanzionata sul versante amministrativo.
E’ di tutta evidenza che si passi da una fattispecie a formula libera – nella quale le modalità della condotta di impedito controllo non erano specificate e potevano (in quanto non descritte) consistere in comportamenti commissivi od omissivi la cui rilevanza impeditiva (od ostruzionistica) era affidata alla valutazione del giudice di merito – ad una nuova strutturazione degli elementi costitutivi del fatto impeditivo, descritta analiticamente, anche se vicolata e condizionata ad azione di occultamento e ad altri artifici.
Il reato de quo può essere commesso esclusivamente dagli amministratori e, pertanto, si è di fronte ad un reato proprio (quanto meno per l’ipotesi, di rilevanza penale, del danno). La condotta tipica prefigura un comportamento attivo (che è espresso dai verbi “impediscono o comunque ostacolano”), ma ha la sua specificità nell’occultare documenti o nel porre in essere altri idonei raggiri. Ne consegue che altre condotte non tipicamente corrispondenti a quelle testualmente descritte non possono essere assimilite in via analogica. In buona sostanza, gli amministratori debbono impedire – condotta configurabile in qualsiasi tipo di comportamento, commissivo od omissivo, che ha come risultato l’impossibilità di procedervi – il controllo della gestione sociale.
Il sintagma normativo – che si pone residuale rispetto all’ipotesi di cui all’art. 2623 c.c. – può essere inteso astrattamente sia in maniera ampia e generica, tale comunque da comprendere nel suo spettro di azione tutto ciò che concerne la vita della società, sia in quella più rigorosa e selettiva, con riferimento ad una nozione tecnica che dev’essere ricavata dalla nozione civilistica. Quest’ultima va preferita poiché lineare con la finalità di tutela della fattispecie e non solo perchè in tale maniera si attribuiscono alla norma contorni più determinati, atteso che il controllo non può che riguardare proprio l’attività di amministrazione del patrimonio della società volta al conseguimento dell’oggetto sociale.
Quanto all’elemento soggettivo, va rilevata l’anomalia della fattispecie in esame, contrassegnata nella sua struttura descrittiva come illecito amministrativo, di fronte al quale i profili psicologici del fatto perdono rilevanza ed interesse.
Nel caso del danno da cui sboccia il reato, il fatto non è descritto con espressi e specifici riferimenti alla intenzione dell’agente – a guisa che l’impedito controllo può essere astrattamente configurabile anche in chiave colposa – e, tuttavia, tanto l’occultamento, quanto a fortiori gli altri raggiri, appaiono espressivi di una condotta, oltre che volontaria, diretta all’evento impeditivo.
L’ipotesi del fatto dannoso, che è rilevante a titolo di reato, si configura come contrassegnata da dolo generico, la nozione di danno risulta fondante come condizione obiettiva di punibilità e, sul piano interpretativo, costituisce per il giudice l’unico questito autonomo –  seppure con qualche profilo di difficoltà trattandosi di reato punibile a querela della persona offesa – per poter verificare la legittimazione attiva del querelante. Non si manchidi considerare che il danno non sempre coincide con l’offesa (presupposto tecnico del diritto di querela) e che nel caso dell’art. 2625 c.c., qualora non vi sia danno non può sussistere il reato. La coincidenza della duplicità nozionistica comporta una dilatazione concettuale del danno che, in un reato tipicamente lesivo del patrimonio, andrebbe sinanco ad identificarsi in una lesione giuridica non patrimoniale.
[OMISSIS]