Integra il reato di cui all’art. 648 c.p. la condotta di chi riceve, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento (ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi) provenienti da delitto, dovendosi viceversa ricondurre alla previsione incriminatrice di cui all’art. 55, comma nono, D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, (che sanziona, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti “di provenienza illecita”), le condotte acquisitive degli stessi, nell’ipotesi in cui la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale.
(Cass. Sezione II Penale, 27 gennaio – 19 febbraio 2015, n. 7658)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASUCCI Giuliano – Presidente –
Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere –
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –
Dott. LOMBARDO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 2321/2006 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 12/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pinelli Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
1. OMISSIS ricorre per cassazione – a mezzo del suo difensore – avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 12.11.2013, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara, ha dichiarato estinto per prescrizione il delitto di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12 ascrittogli, confermando la condanna pronunciata nei suoi confronti in primo grado per la ricettazione di due carte di credito provenienti dai furti commessi in danno di OMISSIS e di OMISSIS, rideterminando la pena.
2. Con l’unico motivo di ricorso, deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di ricettazione. A suo dire, il delitto di ricettazione sarebbe assorbito nel delitto di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12, dichiarato estinto per prescrizione, in quanto la condotta contestata all’imputato con riferimento all’art. 12 cit. consisteva nella mera detenzione della carta di credito oggetto di furto, e non in una condotta di utilizzo di tale carta. Deduce, in particolare, che la fattispecie di reato di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12 conterrebbe gli stessi elementi costitutivi del delitto di ricettazione, con un elemento specializzante riferito all’oggetto materiale del reato; pertanto, essendo stata contestata all’imputato due volte la medesima condotta – quella della detenzione della carte di credito oggetto di furto – dovrebbe trovare applicazione solo l’art. 12 cit., quale norma speciale, e non l’art. 648 c.p..
3. La censura è manifestamente infondata.
Va premesso che sussiste continuità normativa tra la fattispecie di utilizzazione illecita di carte di credito o di pagamento contemplata dall’abrogato D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12 (conv. con modif. nella L. 5 luglio 1991, n. 197) e quella oggi sanzionata dal D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55 comma 9, (cfr. Cass. Sez. 2, n. 24527/2009 Rv. 244272).
Rammenta in proposito il Collegio che l’art. 12 in questione disponeva, in modo del tutto analogo alla norma attualmente in vigore, che “chiunque, al fine di trarne profitto per sè o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da L. 600 mila a L. 1 milione. Alla stessa pena soggiace chi, a fine di trarne profitto per sè o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti ai prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonchè ordini di pagamento prodotti con essi”. La norma prevede al primo e al secondo comma condotte diverse che non possono essere confuse o assorbite, con conseguente concorso dei reati previsti: il comma 1 punisce, infatti, l’utilizzo, da parte di soggetto non titolare, di carte di credito o di pagamento; il comma 2 punisce, invece, il possesso, la cessione e l’acquisizione di carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati.
Diversamente dal D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, l’art. 648 c.p. punisce l’acquisto, la ricezione o l’occultamento di denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto. E questa Corte ha chiarito che, nell’ipotesi di possesso e successiva utilizzazione di carte di credito di provenienza delittuosa si configura il concorso dei reati di cui all’art. 648 c.p. e D.L. n. 143 del 1991, art. 12, comma 1 (Sez. 2, n. 7019 del 17/10/2013 – dep. 13/02/2014 – Rv. 259003; Sez. 2, n. 2465 del 13/01/2010 Rv. 246268).
Ciò premesso, va rilevato tuttavia che, nel caso di specie, l’imputato – con la contestazione del delitto di cui all’art. 12 cit. – non è stato accusato di aver utilizzato le carte di credito di provenienza illecita, ma semplicemente di averle “detenute ai fini di spendita”, condotta che – a dire del ricorrente – sarebbe sovrapponibile con quella del delitto di ricettazione.
La questione, tuttavia, è stata da tempo risolta dalle Sezioni unite di questa Corte, le quali – nel tracciare il confine tra il delitto di cui all’art. 12 cit. e quello di ricettazione – hanno statuito che “Integra il reato di cui all’art. 648 c.p. (ricettazione) la condotta di chi riceve, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento (ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi) provenienti da delitto, dovendosi viceversa ricondurre alla previsione incriminatrice di cui al D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, seconda parte, convertito nella L. 5 luglio 1991, n. 197, (che sanziona, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti “di provenienza illecita”), le condotte acquisitive degli stessi, nell’ipotesi in cui la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale” (Sez. Un., n. 22902 del 28/03/2001 Rv. 218872).
Nella specie, le carte di credito non sono di generica provenienza illecita nel senso specificato dalle Sezioni Unite, ma discendono dai furti commessi in danno di Mo.Al. e di E. G..
Deve, pertanto, ritenersi che la condotta di mero ricevimento e detenzione di carte di credito de quibus, vada inquadrata nel delitto di ricettazione e non in quello di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12.
4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – considerati i profili di colpa – della sanzione pecuniaria determinata equitativamente come in dispositivo.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (cfr.Cass., Sez. Un., n. 23428 del 22/03/2005 Rv. 231164; Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000 Rv. 217266).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.