La Corte di Appello di Roma conferma la sentenza di primo grado, con la quale gli aggressori di due turisti olandesi furono condannati – tra l’altro – per il reato di lesioni personali gravi e rigetta il motivo di gravame presantato dalla Pubblica Accusa, con il quale si chiedeva la condanna per il reato di tentato omicidio.
L’interessante provvedimento si caratterizza per avere ribadito il principio di incompatibilità ontologica tra il dolo eventuale  e l’ipotesi di delitto contestato nella forma del tentativo:

“… ciò che porta ad escludere in ogni caso l’ipotesi del tentato omicidio è proprio la formulazione del capo di imputazione, nel quale si contesta esplicitamente agli imputati di avere agito con dolo eventuale, e cioè nel porre in essere la loro condotta, non indirizzandola in modo univoco a … e quindi “al fine di”, ma ” a costo di determinare l’evento mortale”. Come è noto infatti, e come ribadito ormai costantemente dalla S.C. (vedi da ult. ex plurimis Sez. 1, Sentenza n. 44995 del 14.11.2007), tale forma di dolo è ontologicamente incompatibile con l’ipotesi del tentativo, proprio perché non si può allo stesso tempo agire “al fine di” (e cioè con atti diretti in modo non equivco) e “a costo di” …”
Proseguendo nella lettura della sentenza in esame, si troverà  la risposta all’interrogativo sollevato all’esito del giudizio di primo grado, allorché il Pubblico Ministero ebbe a procedere alla modifica del capo di imputazione all’inizio del giudizio abbreviato, e ciò in palese violazione delle norme che disciplinano l’istituto del rito abbreviato:
“… Orbene non v’è dubbio che nel caso di specie non possa parlarsi di una mera riqualificazione giuridiza in quanto, con la contestazione del tentato omicidio in luogo di quella di lesioni, viene ad essere mutato un elemento costitutivo del reato, quale il dolo; in altre parole diverso è contestare agli imputati di aver voluto cagionare lesioni personali sia pur gravi, rispetto al muovere loro l’accusa di aver, con la loro azione violenta, voluto cagionare la morte delle parti lese.
[OMISSIS] 
Resta quindi confermato che in realtà, contrariamente a quanto sostenuto dal GIP all’udienza del 23.4.2009, il P.M. procedette in quella circostanza ad una sostanziale modifica dell’imputazione ex art. 423 c.p.p e tale intervento, non censurato dal Giudice, non poteva essere consentito perché non ci si trovava in presenzadi alcuna delle due ipotesi processuali di cui sopra (438, co. 5 e 441, co. 5 ult. periodo c.p.p.)
 

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