Non costituisce motivo grave che, se accertato, può legittimare la concessione di permesso al detenuto a norma dell’art. 30 della L. 26 luglio 1975, n. 354,  la necessità di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge, al fine di consumare il matrimonio celebrato in carcere da parte di detenuto che non si trovi ancora nelle condizioni di poter beneficiare del permesso premio ai sensi del successivo art. 30-ter.
(Cass. Sezione I Penale, 29 settembre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 882)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina – Presidente –
Dott. MAZZEI Antonella Patrizia- rel. Consigliere –
Dott. CASA Filippo – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. BONI Monica – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso l’ordinanza del 19/11/2014 del Tribunale di sorveglianza di Venezia.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Salzano Francesco, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
1. Con ordinanza del 19 novembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha respinto il reclamo proposto da OMISSIS, in espiazione di cumulo di pene di anni 24, mesi 5 e giorni 25 di reclusione per i reati di cui agli artt. 416 bis, 575 e 629 c.p. ed altri, anche aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, con fine pena previsto al 1 ottobre 2034, diretta ad ottenere un permesso di necessità per recarsi presso la casa di accoglienza OMISSIS, dove incontrare la moglie e trattenere un rapporto intimo con lei.
A ragione della decisione il Tribunale ha addotto che la consumazione del matrimonio (il OMISSIS si era sposato con rito civile nel corso della detenzione, il 6 aprile 2009, con la donna cui era già unito in precedenza e dalla quale ha avuto due figli di sette e dieci anni al tempo della decisione) non rientrava nella previsione di cui all’art. 30, comma 2, Ord. Pen., quale evento familiare di particolare gravità, legittimante il permesso anche a favore dei detenuti che non fruiscono di permessi premio, e, a conforto, ha richiamato la conforme giurisprudenza della Corte di legittimità (sentenza n. 48165 del 2008).
L’esercizio dell’affettività, inteso come espressione della sessualità, allo stato della normativa vigente è assicurato al detenuto dal permesso premio e non dal permesso cosiddetto di necessità, che l’interessato ha invocato anche al fine di evitare l’annullamento del matrimonio per mancata consumazione.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il OMISSIS tramite il difensore, il quale deduce due motivi.
2.1. Erronea applicazione delle legge penale speciale e manifesta illogicità della motivazione.
OMISSIS ha chiesto la consumazione del matrimonio, da ritenersi evento unico e irripetibile ed ontologicamente eccezionale, e non l’esercizio (ordinario) dell’affettività. Tale atto non è rinviabile ai tempi lunghissimi del permesso premio.
L’art. 30, comma 2, Ord. Pen. non va circoscritto ai soli eventi pregiudizievoli o deteriori per la condizione del nucleo familiare di appartenenza del condannato.
L’interpretazione restrittiva, illegittimamente e illogicamente sostenuta, contrasterebbe con la L. n. 898 del 1970, art. 3, punto f), della e con le disposizioni che tutelano la famiglia.
2.2. In subordine, il ricorrente sollecita questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 2, Ord. Pen., nell’interpretazione fattane dal diritto vivente, per violazione dell’art. 2 Cost. e art. 3 Cost. (comma 2), art. 27 Cost. (comma 3), artt. 29 e 117 Cost., in riferimento agli artt. 8 e 12 Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), nella parte in cui dopo la parola “gravità” non prevede le parole “o rilevanza”.
3. Il Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 25 marzo 2015, ha concluso per il rigetto del ricorso.
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Questa Corte ha già affermato che non costituisce motivo grave che, se accertato, può legittimare la concessione di permesso al detenuto a norma della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30, di Ordinamento penitenziario (abbreviata in Ord. Pen.), la necessità di trascorrere un breve periodo di tempo con il coniuge, al fine di consumare il matrimonio celebrato in carcere da parte di detenuto che non si trovi ancora nelle condizioni di poter beneficiare del permesso premio ai sensi del successivo art. 30-ter (Sez. 1, n. 48165 del 26/11/2008, Rannesi, Rv. 242437).
1.2. Il sollevato dubbio di costituzionalità in relazione all’art. 2 Cost., art. 3 Cost. (comma 2), art. 27 Cost. (comma 3), artt. 29 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 12 Cedu, è manifestamente infondato, poichè rientra nella discrezionalità propria del legislatore la limitazione della possibilità di concedere ai condannati e agli internati il permesso cosiddetto di necessità, previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 30, ai soli casi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente e, solo eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità, in adesione alla struttura e finalità dell’istituto che non costituisce un beneficio premiale, supponente una soglia minima di pena già espiata e la positiva valutazione della condotta in carcere, bensì una misura concedibile a qualsivoglia condannato proprio per il suo carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitata a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale (morte di un familiare o di un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall’incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli.
Ne consegue che esula dai limiti del controllo di legittimità costituzionale l’operazione additiva, sostanzialmente richiesta con la trasmissione degli atti al Giudice delle leggi, in funzione dell’interpretazione estensiva della nozione di “evento familiare di particolare gravità” fino a ricomprendervi l’evento di “speciale rilevanza”, in cui resterebbe incluso il diritto del detenuto di esercitare la propria sessualità a seguito di matrimonio contratto in carcere (sulla inammissibilità delle questioni di costituzionalità che richiedano interventi additivi in materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, si vedano, ex plurimis, le sentenze della Corte cost. n. 301 del 2012, n. 134 del 2012 e n. 271 del 2010; e le ordinanze: n. 138 del 2012 e n. 113 del 2012).
Va aggiunto che è manifestamente infondata la censura del ricorrente che riconduce l’esercizio della propria affettività nella sfera sessuale al diritto di sposarsi e di formare una famiglia (art. 29 Cost. e art. 12 Cedu) e al diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu), da riconoscere anche alle persone condannate, in stato di detenzione in carcere, attraverso l’istituto del permesso di cui all’art. 30 Ord. Pen..
La Corte Edu ha già, più volte, ricordato che qualsiasi detenzione regolare rispetto all’art. 5 della Cedu comporta, per la sua stessa natura, una restrizione alla vita privata e famigliare dell’interessato e che tali restrizioni sono legittime se non abbiano ecceduto quanto è necessario, ai sensi dell’art. 8, paragrafo 2, della medesima Convenzione, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, in una società democratica (c.f.r., tra le più recenti: Dec. 1/4/2014, Bellomonte c. Italia, e Dee. 9/3/2013, Riina c. Italia).
E, nel caso di specie, considerata la gravità dei reati per cui è condanna in espiazione (inclusi nel catalogo di cui all’art. 4-bis Ord. Pen.), il lontano fine pena (2034) e la non remota decorrenza di essa (dal 18 settembre 2010) le limitazioni subite dal ricorrente nella sua vita privata e famigliare risultano del tutto proporzionate agli scopi legittimamente perseguiti attraverso l’esecuzione della pena senza che lo Stato abbia oltrepassato il margine di apprezzamento di cui gode in materia.
2. Segue il rigetto del ricorso anche per manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.