La misura di cui all’ art. 47-ter, comma 1, lett. c), Ord. Pen. può essere disposta, in luogo del rinvio dell’esecuzione della pena, se le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta e richiedano i contatti con gli indicati presidi sanitari, e il condannato, malgrado il suo stato di salute, sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e presenti un livello di pericolosità sociale che faccia ritenere ancora necessario un controllo da parte dello Stato.
(Cass. Sezione I Penale, 9.7.15-1.4.16, n. 13211)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente –
Dott. BONITO F.M.S. – Consigliere –
Dott. TARDIO Angela – rel. Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso l’ordinanza n. 380/2014 TRIBUNALE SORVEGLIANZA di CATANZARO del 30/10/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Tardio Angela;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
1. Con ordinanza del 30 ottobre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato l’istanza avanzata, ai sensi dall’art. 47-ter, comma 1, lett. c), Ord. Pen., art. 147 c.p. e art. 47 Ord. Pen., da OMISSIS, in atto detenuto presso la Casa circondariale di Cosenza in relazione al provvedimento di cumulo del 18 febbraio 2014 del Pubblico Ministero di Catanzaro, che aveva fissato la pena complessiva in anni quattro e mesi uno di reclusione e in mesi uno e giorni ventisette di arresto.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– non sussistevano i presupposti per il differimento della pena e per la misura alternativa sanitaria, poichè le relazioni sanitarie succedutesi e quelle aggiornate dell’1 ottobre 2014 e del 22 ottobre 2014, che avevano dato conto delle patologie dell’istante dalla data della sua visita d’ingresso in istituto del 12 maggio 2014, avevano concluso per la non sussistenza delle gravi condizioni di salute e per la loro compatibilità allo stato con il regime detentivo;
– l’istante, sotto il profilo personologico, non era meritevole dell’ampia misura dell’affidamento, tenuto conto dei numerosi precedenti penali, delle segnalazioni per gravi reati, della sottoposizione nel 2005 ad avviso orale, della frequentazione di pregiudicati, della impossibilità di un adeguato reinserimento sociale, delle vicende familiari, della mancanza di ammissione di colpevolezza, della necessità della ipotesi trattamentale intramuraria per il sostegno nel percorso di revisione critica e della incongruità della durata della pena già espiata.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei suoi difensori, l’interessato OMISSIS, che ne chiede l’annullamento per violazione di legge e per carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
2.1. Secondo il ricorrente, i vizi denunciati attengono innanzitutto al diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale, poichè lo stesso Tribunale ha riconosciuto che non vi è stata la sua ammissione di colpevolezza in ordine ai reati in contestazione, cui consegue la inesigibilità della revisione critica incompatibile con la persistente affermazione d’innocenza, pienamente legittima secondo il pacifico orientamento di questa Corte.
2.2. L’ordinanza, inoltre, ha taciuto sul punto relativo al:a pericolosità sociale, non certo desumibile dagli elementi vagliati (precedenti penali, avviso orale), mentre altri elementi la escludono (come l’età avanzata e le condizioni di salute obiettivamente gravi), o non sono pertinenti (come la sparizione per lupara bianca del fratello e la morte violenta del figlio), o sono illogici (come l’accenno generico alla frequentazione di pregiudicati, l’affermazione della mancanza di possibilità di reinserimento sociale e il riferimento alla pretesa incongruità della pena già espiata).
2.3. Gli stessi vizi, ad avviso del ricorrente, si ravvisano con riferimento alla reiezione della domanda di concessione della detenzione domiciliare, poichè le patologie da cui egli è affetto sono assai serie e severe, non sono contraddette dal giudizio medico- legale circa il loro carattere discreto e la questione della compatibilità con il regime carcerario può porsi con riguardo alla sospensione dell’esecuzione della pena, ma non per la concessione della detenzione domiciliare, che suppone la particolare gravità delle condizioni di salute che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, come nella specie.
Egli, inoltre, ha subito rappresentato la sua inabilità, che, certificata in atti in termini d’invalidità totale, si aggiunge alla sua età superiore a sessant’anni, con conseguente sussistenza anche del requisito richiesto dall’art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. Pen., che il Tribunale ha omesso di valutare.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso, perchè infondato in ordine al disposto rigetto dell’affidamento in prova, volto a propugnare una inammissibile diversa valutazione delle condizioni di salute quanto alla misura della detenzione domiciliare, e generico, privo di autosufficienza e carente d’interesse con riguardo alla contestata mancata valutazione della richiesta di applicazione della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. Pen..
4. Con motivi nuovi il ricorrente, replicando alla requisitoria del Procuratore Generale e soffermandosi, senza nulla aggiungere alle deduzioni svolte circa il diniego dell’affidamento in prova, sul tema subordinato della mancata concessione della detenzione domiciliare, rileva che sia le relazioni sanitarie sia l’ordinanza impugnata hanno affermato la necessità di frequenti contatti con i presidi sanitari territoriali, costituente presupposto per la concessione della detenzione domiciliare, e deduce di avere sollevato al riguardo non una questione di merito, ma di avere segnalato e denunciato la illogicità della motivazione dell’ordinanza e la sua illegittimità.
Secondo il ricorrente, la sua richiesta, inoltre, non solo è stata formulata in termini generici e onnicomprensivi, ma i riferimenti alla sua età e alla sua totale inabilità dimostrano che egli ha richiesto la concessione del beneficio anche ai sensi della lettera d) del richiamato art. 47-ter Ord. Pen., espressamente peraltro richiamato nell’ordinanza interlocutoria del 22 maggio 2014.
L’allegazione ai motivi nuovi tempestivamente presentati della certificazione attestante la sua invalidità totale, già menzionata nella istanza e alla stessa allegata, infine, ad avviso del ricorrente, sana la dedotta violazione del principio di autosufficienza del ricorso, anche ammettendone che si sia verificata.
1. Il ricorso, parzialmente fondato, deve essere accolto nei limiti che saranno precisati.
2. Sono prive di fondatezza le doglianze che attengono al contestato rigetto della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.
2.1. Si rileva in diritto che presupposto normativo per la concessione di tale misura alternativa alla detenzione è la sua idoneità a rieducare il condannato e ad assicurare la prevenzione dal pericolo della commissione di altri reati (Corte cost. 5 dicembre 1997, n. 377).
In relazione a tale peculiare finalità dell’affidamento, questa Corte ha costantemente affermato che, ai fini della sua concessione, non possono, di per sè soli, assumere rilievo decisivo, in senso negativo, la gravità del reato per cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, nè può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un processo critico sia stato almeno avviato (tra le altre, Sez. 1, n. 688 del 05/02/1998, dep. 27/04/1998, Cusani, Rv. 210389; Sez. 1, n. 773 del 3/12/2013, dep. 10/01/2014, Naretto, Rv. 259402).
In particolare, si è chiarito che la tipologia e la gravità dei reati commessi devono costituire il dato iniziale per compiere l’analisi della personalità del condannato, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla disamina della condotta tenuta successivamente dal medesimo e dei suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del periodo di recidiva (tra le altre, Sez. 1, n. 1501 del 12/03/1998, dep. 04/05/1998, Fatale, Rv. 210553; Sez. 1, n. 5061 del 21/09/1999, dep. 29/11/1999, Navone, Rv. 214844; Sez.1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 08/01/2002, Chifari, Rv. 220473; Sez. 1, n. 31809 del09/07/2009, dep. 03/08/2009, Gobbo, Rv. 244322).
2.2. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’affidamento in prova sia richiesto prima dell’inizio dell’esecuzione della pena, il tribunale di sorveglianza è tenuto a valutare, oltre agli elementi sintomatici desumibili dalla natura e dalla gravità dei reati, dai precedenti e dalle pendenze penali, la condotta mantenuta in stato di libertà dopo la condanna, gli eventuali progressi compiuti dal condannato nel periodo successivo e i comportamenti precedenti e successivi condanna, sulla scorta dei dati conoscitivi forniti dalla osservazione e dalle valutazioni offerte dal servizio sociale, allo scopo di accertare l’idoneità della misura alternativa a contribuire al reinserimento sociale del condannato e a contenerne la pericolosità sociale, se tuttora esistente (tra le altre, Sez. 1, n. 1088 del 14/02/1997, dep. 04/04/1997, Cordelli, Rv 207214; Sez. 1, n. 1970 del 11/03/1997, dep. 30/06/1997, Caputi, Rv. 207998; Sez. 1, n. 1501 del 12/03/1998, citata), ponendosi in insanabile contrasto con un giudizio prognostico positivo qualsiasi connotazione negativa della persona, eventuali debiti verso la giustizia e una persistente irregolarità comportamentale (tra le altre, Sez. 1, n. 20478 del 12/02/2013, dep. 13/05/2013, Siddique, Rv. 256078).
Il giudizio prognostico del Tribunale di Sorveglianza per l’affidamento in prova al servizio sociale deve essere, invece, effettuato, nei confronti di chi si trovi in stato di detenzione, sulla base dei risultati dell’osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese all’interno dell’istituto penitenziario, con particolare riferimento alla condotta intramuraria e a eventuali progressi conseguiti nel corso del trattamento (tra le altre, Sez. 1, n. 10290 del 02/03/2010, dep. 15/03/2010, Trif, Rv. 246519).
2.3. Si rileva ulteriormente che è costante, nella giurisprudenza di legittimità, l’affermazione che l’art. 47 Ord. Pen. non richiede per la concessione di una misura alternativa alla detenzione la confessione del condannato, che, nel pieno esercizio delle prerogative difensive, ha il diritto di non ammettere le proprie responsabilità, sia nel corso del processo di cognizione, sia dopo la condanna irrevocabile, ovvero dichiarazioni del medesimo, più o meno attendibili, di “autocritica” e di ripudio del proprio passato criminoso (afferenti, come tali, più alla sfera morale che a quella giuridica), dovendosi, invece, avere riguardo, in armonia con la visione laica, cui si ispira l’ordinamento giuridico, alla prospettiva che il condannato dia prova di prendere parte in modo attivo all’opera di rieducazione, accetti la condanna nei suoi contenuti afflittivi, acquisisca la consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali, e conformi, in genere, il proprio agire ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall’ordinamento medesimo (tra le altre, Sez. 1, n. 688 del 05/02/1998, citata; sez. 1, n. 18388 del 20/2/2008, dep. 07/05/2008, Cesarini, Rv. 240306; Sez. 1, n. 8258 dell’8/2/2008, dep. 22/02/2008, Angelone, Rv. 240586; Sez. 1, n. 13445 del 05/03/2013, dep. 21/03/2013, Bronzeri, Rv. 255653; Sez. 1, n. 33287 del 11/06/2013, dep. 31/07/2013, Pantaleo, Rv. 257001).
2.4. Di tali condivisi principi il Tribunale ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione, avendo fondato il suo convincimento su una valutazione prognostica che, in base ai dati disponibili, non ha consentito di ritenere l’istante meritevole, sotto il profilo personologico, dalla chiesta ampia misura.
Nel suo iter argomentativo il Tribunale, che ha proceduto dal preliminare richiamo ai reati per i quali il ricorrente ha riportato condanna, ha valorizzato, quali note negative della personalità del medesimo, il tenore delle informazioni di polizia, tratte dalla nota dei Carabinieri di Catanzaro, e gli esiti della relazione di sintesi, aggiornata all’1 ottobre 2014, svolta dal G.O.T. (Gruppo osservazione e trattamento) dell’istituto penitenziario, ritenendo con argomenti congruenti alle emergenze disponibili che, avuto riguardo alle stesse, all’assenza di revisione critica e alla breve durata della pena espiata, l’adesione al trattamento penitenziario doveva essere ulteriormente sperimentata attraverso la prosecuzione dell’intrapreso percorso intramurario.
2.5. La valutazione svolta, adeguatamente giustificata in fatto e correttamente improntata ai parametri valutativi che presiedono alla concessione dell’indicato beneficio penitenziario, resiste alle censure del ricorrente.
Tali censure, invero, astraendo dal confronto con il coordinato e complessivo sviluppo decisionale dell’ordinanza e con le argomentate ragioni che sostengono il convincimento finale, oppongono infondatamente l’omessa considerazione degli aspetti correlati al giudizio di pericolosità, dei quali, poi, oppongono inammissibilmente una diversa lettura e un rinnovato apprezzamento di merito, e, del pari infondatamente, contestano il riferimento contenuto nella relazione di sintesi alla mancata ammissione degli addebiti da parte del condannato, che il Tribunale ha apprezzato, unitamente agli altri dati disponibili, in rapporto alla rilevata assenza di revisione critica e in coerenza con le esigenze rieducative della misura considerata.
3. Sono, invece, fondate le doglianze relative alla non concessa misura della detenzione domiciliare, sotto i concorrenti profili dedotti con il ricorso e con i motivi aggiunti.
3.1. Il Tribunale, qualificata quale misura alternativa sanitaria la richiesta di detenzione domiciliare, che ha ricondotto alla previsione normativa di cui all’art. 47-ter, comma 1, lett. c), Ord. Pen., ha ritenuto, previo richiamo le relazioni sanitarie succedutesi e alle ultime dell’1 e 22 ottobre 2014, aggiornate rispetto alla data della decisione (30 ottobre 2014), che non ricorrevano i presupposti legittimanti il differimento della pena ex art. 147 c.p. e detta misura, rappresentati dalle gravi condizioni di salute e dalla loro incompatibilità con il regime detentivo.
3.2. Tali argomenti sono adeguati e congruenti rispetto al diniego del rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147 c.p., comma 1, n. 2, che, per consolidato orientamento di questa Corte, mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, e suppone che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen., ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in. un futuro gli effetti della sanzione sul condannato (tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140; Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602; Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132; Sez. 1. n. 972 del 14/10/2011, dep. 13/01/2012, Farinella, Rv. 251674; Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 10/01/2014, Mossuto, Rv. 258406).
3.3. La misura della detenzione domiciliare ai sensi della predetta norma suppone, invece, che la persona, cui è concessa la possibilità di espiare “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonchè la pena dell’arresto, (…) nella propria abitazione (…)”, sia “in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”.
Secondo condivisi principi, in particolare, detta misura può essere disposta, in luogo del rinvio dell’esecuzione della pena, se le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta e richiedano i contatti con gli indicati presidi sanitari (tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, citata; Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, citata), e il condannato, malgrado il suo stato di salute, sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e presenti un livello di pericolosità sociale che faccia ritenere ancora necessario un controllo da parte dello Stato (tra le altre, Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, dep. 09/92/2011, Tinelli, Rv. 249794).
3.4. Il Tribunale, non tenendo conto di tali principi, ha reso una motivazione incompleta, che presente anche profili d’incoerenza interna nella misura in cui ha introdotto il riferimento alla prevedibilità dei contatti frequenti del ricorrente con i presidi esterni per le patologie sofferte, del tutto trascurato nel successivo passaggio argomentativo con il quale ha correlato il rigetto anche della detenzione domiciliare alla esclusa sussistenza delle gravi condizioni di salute, non ulteriormente esplicate in relazione ai diversi istituti considerati, e della loro incompatibilità con il regime detentivo.
4. L’ordinanza non si sottrae alle censure difensive anche con riferimento alla eccepita omessa valutazione della richiesta di ammissione al regime della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. Pen..
La pertinenza di tale richiesta al thema decidendum, dedotta dal ricorrente, che ha ricordato di avere specificamente rappresentato sin dal primo momento la sua inabilità, fondata sulla sua certificata invalidità del 100%, e il superamento da parte sua dell’età di sessanta anni, costituenti i requisiti richiesti dalla predetta norma, trova riscontro sia nell’ordinanza interlocutoria del 22 maggio 2013 dello stesso Tribunale che ha indicato come norme di riferimento della domanda di detenzione domiciliare le lettere c) e d) dell’art. 47-ter, comma 1, Ord. Pen., allegata al ricorso, sia, e soprattutto, nel contenuto della istanza, allegata ai motivi nuovi, enunciativa delle predette circostanze qualificanti nei termini rappresentati la domanda e giustificative della necessità di una loro valutazione.
5. Alla luce delle svolte considerazioni, l’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata limitatamente al punto concernente la detenzione domiciliare, con rinvio, per nuovo esame, allo stesso Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, che, pur in assoluta libertà di valutazione, dovrà motivare la propria decisione attenendosi ai rilievi e ai principi di diritto sopra indicati o richiamati.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente la detenzione domiciliare e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro.