La Suprema Corte esclude la rilevanza penale dell’utilizzo abusivo del permesso invalidi, sia per quel che concerne il reato di truffa, che per quello di sostituzione di persona (art. 494 c.p.).
La utilizzazione abusiva del permesso – argomenta con motivazione di notevole interesse la Corte – troverà la sua sanzione nella contravvenzione amministrativa che potrà essere elevata al proprietario del veicolo o a colui che ne avrà fatto uso abusivo, per essere transitato in una ZTL, come se non avesse un permesso, ai sensi dell’art. 188, comma V C.d.S.
(Cass. Penale Sez. II, sentenza 24 marzo – 17 giugno 2011, n. 24454)

 

 
 Corte Suprema di Cassazione
Sezione Seconda Penale
Sentenza 24 marzo -17 giugno 2011, n. 24454
 
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, emessa dal gup del Tribunale di Firenze in data 13 aprile 2010, nei confronti di [OMISSIS] e [OMISSIS] imputate dei reati di sostituzione di persona e truffa.
Secondo l’accusa, le imputate avevano utilizzato indebitamente il permesso invalidi, rilasciato in favore di esibendo il relativo contrassegno sul parabrezza di un’autovettura di cui avevano la disponibilità per accedere liberamente all’interno delle zone a traffico limitato, in assenza della titolare dei permesso, nello stesso momento presente invece in un appartamento ubicato in via Monterinaldi 45 in zona collinare, lontano dal centro della città.
In particolare il gip escludeva la sussistenza del reato di cui all’art. 494 c.p. sul rilievo dell’inidoneità della semplice apposizione del permesso invalidi su un’autovettura a determinare la situazione di inganno rilevante ai fini della falsità personale, sul presupposto che tale documento attestava esclusivamente una caratteristica del veicolo, e cioè che lo stesso era al servizio di una persona invalida.
Per quel che riguarda il reato di truffa, il gip rilevava l’inidoneità del comportamento dell’agente ad incidere sulla situazione patrimoniale della parte offesa per l’accadimento del 10 gennaio 2009, mentre per le altre 207 violazioni contestate, poiché il meccanismo di rilevazione degli accessi a zone a traffico limitato, in uso presso il Comune di Firenze, non consentiva l’identificazione del conducente, né la verifica della presenza del contrassegno invalidi sul parabrezza dell’autovettura interessata dal controllo, non sussistevano gli elementi per l’attribuzione del fatto alle odierne imputate.
Il gup considerava pertanto del tuttto insufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, gli elementi dì prova acquisiti agli atti.
A sostegno dell’impugnazione il p.m. deduce:
a) vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza impugnata, per avere il Gup erroneamente interpretato ed applicato l’art. 494 c.p.p. ed omesso la motivazione sul punto.
Secondo il p.m. ricorrente l’uso del permesso invalidi deve ritenersi strettamente personale, e l'”usurpazione” di permessi altrui con la fraudolenta esibizione del relativo contrassegno, non può ritenersi compreso nel sistema sanzionatolo di cui all’art. 188 co 4 del cd.s. relativo alle sanzioni per l’uso improprio delie strutture allestite dall’ente proprietario di strade ai sensi del comma 1 dello stesso art. 188 cds.: l’ipotesi di abuso del permesso invalidi concretizzerebbe invece ia fattispecie di cui all’art. 494 c.p.
Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che le variazioni del p.m. in ordine alla disciplina normativa applicabile al caso di specie non possono essere condivise nel senso di seguito chiarito.
E’ vero che sia l’art. 188 c.d.s.. che l’art. 181 del relativo regolamento, fanno espresso ed esclusivo riferimento all’esigenza di consentire e agevolare la mobilità delle persone invalide sul presupposto della prova di una sensibile riduzione delia capacità di deambulazione dell’interessato.
E, come evidenzia lo stesso p.m, ricorrente, la Corte Costituzionale, occupandosi dell’art. 188 c.d.s., ha affermato che la norma deve essere interpretala nel senso che le agevolazioni nella circolazione stradale siano limitate a quei veicoli che effettivamente trasportano la persona disabile e sono, quindi, in tal modo al servizio della stessa, anche quando si tratti di veicoli addetti al trasporto di cortesia dell’invalido (Cort. Cost. 328/2000).
E conseguentemente l’art. 188. comma IV CdS sanziona pertanto il caso di colui che, senza essere titolare dell’autorizzazione, utilizzi abusivamente tali apposite strutture, come ad esempio il parcheggio dedicato alla persona invalida.
Ciò premesso, tuttavia, non ritiene la Corte che nel comportamento contestato possa essere individuata la fattispecie di cui all’art. 494 c.p.
Ed invero, per quel che riguarda l’ipotesi della sostituzione di persona, occorre considerare che la condotta di reato non potrebbe essere integrata dalla semplice esibizione, sul parabrezza di un’autovettura, del contrassegno invalidi, in quanto la stessa non comporta una ‘dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’autoattribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente.
E, comunque, in ogni caso, pur ritenendo che il permesso invalidi “dichiari” una qualità di carattere personale, essa rappresenta esclusivamente il presupposto necessitato perché quel veicolo possa circolare, in quanto al servizio della persona invalida, in zone altrimenti interdette, grazie alla specifica autorizzazione amministrativa concessa.
In questo senso l’utilizzazione abusiva dei contrassegno non può ritenersi che attribuisca neppure indirettamente al conducente una qualifica soggettiva, che peraltro non può essere neppure occasionalmente dedotta in considerazione delia natura nominativa del permesso.
La utilizzazione abusiva del permesso troverà la sua sanzione nella contravvenzione amministrativa che potrà essere elevata al proprietario del veicolo o a colui che ne avrà fatto uso abusivo, per essere transitato in una ZTL, come se non avesse un permesso, ai sensi dell’art. 188, comma V C.d.S.
Occorre ribadire, anche in relazione al reato di truffa per quanto verrà di seguito specificato, che la condotta contestata alle imputate è oggetto dunque di una specifica previsione normativa, che riconduce “in toto” il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo, ai sensi del quarto e del quinto comma dell’art. 188 c.d.s.; in tale previsione normativa sono contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limili dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione.
Soprattutto il confronto tra l’eccesso d’uso e l’uso improprio dell’autorizzazione, e illuminante della volontà del legislatore di fornire una copertura complessive alle possibili condotte contrastanti con la disposizione in questione.
Conseguentemente deve ritenersi che la norma speciale comprenda anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, dovendosi ritenere operante anche in questo caso il principio di specialità di cui all’art. 9 L. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr. ad es. in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale, Corte di Cassazione 17/09/2008 Beninati).
Quanto al reato di truffa, deve essere valorizzata la considerazione della specifica natura degli interessi patrimoniali coinvolti nella vicenda, e delle particolari modalità della condotta presuntivamente truffaldina, potendosi richiamare, al riguardo, l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’analoga fattispecie dell’esposizione sul parabrezza di un’autovettura, di un contrassegno assicurativo materialmente falsificato (cfr. ex plurimis Corte di Cassazione n. 23941 del 30/04/2009 Albani).
Anche nel caso in esame, infatti, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’alto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore e che è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno.
Ciò perché, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, nè nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’ agente.
Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzabile, perchè manca in casi dei genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza “artificio – induzione in errore – profitto”, perchè, al contrario, il profitto della condotta contestata alle imputate sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato.
Peraltro, tra le responsabili della contravvenzione e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di “debito”, tributario o di altra natura; sicché il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un “danno” dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo.
Se il profitto conseguito dalle imputate, infatti, era quello derivante dalla circolazione “abusiva” dell’autovettura al servizio dell’invalida, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perchè quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all’autore di tale condotta.
Simili principi, d’altra patte, ha applicato la giurisprudenza di questa torte, anche nei caso di specie (Cass.. sez. V. 2 febbraio 2010. n. 18080; CED cass.. n. 247139; Cass. sez. II, 8 giugno 2010. n. 2010, n. 35004, C.E.D. cass. n. 248249).
Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere pertanto rigettato. 
[OMISSIS]

 

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