Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
L’art. 8 CEDU da sempre stimola una riflessione sull’effettiva difesa dell’individuo nel vasto campo dei rapporti tra privati e pubblici poteri.
In capo agli Stati resta posto il divieto di ingerenza salvo specifiche espresse deroghe.
A tal proposito, l’ingerenza può essere prevista dalla legge ovvero motivata da una delle esigenze imperative di carattere generale di cui al secondo comma dell’art. 8 CEDU.
Il confine tra obblighi positivi e negativi posti a carico degli Stati, ai sensi dell’art. 8, non si presta ad un’identificazione precisa ma, in merito ai principi da salvaguardare e ai principi da applicare, una guida era stata offerta, 6 anni fa, dalla Sentenza CEDU del 3 Giugno 2014 (Lòpez Guiò c. Slovacchia – Terza Sezione/ ric. n. 10280/12) ove si afferma che, nell’adempiere ad entrambi gli obblighi, lo Stato deve trovare un giusto equilibrio tra i concorrenti interessi generali e dei singoli, nell’ambito del margine di apprezzamento che viene conferito.
La procedura decisionale prevista deve essere “equa” e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall’art. 8 CEDU.
Sempre la Terza Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è ritornata, di recente, ad esprimersi sulla tutela della vita privata e familiare/del domicilio/della corrispondenza e sulla necessaria esistenza di un principio di proporzionalità tra la misura contestata e lo scopo perseguito.
Le perquisizioni disposte dall’ autorità giudiziaria all’interno degli studi legali e delle abitazioni degli avvocati: quando sussiste violazione dell’art. 8 CEDU
Con la Sentenza del 4 febbraio 2020, sono stati accolti i ricorsi (Kruglov e altri c. Russia in procedimento n. 11264/04) di venticinque cittadini russi che, in qualità di avvocati e consulenti legali, denunciavano la violazione del diritto sancito nell’art. 8 CEDU, a causa delle perquisizioni illegittimamente disposte dalla autorità giudiziaria, all’interno dei rispettivi studi professionali e abitazioni, con il contestuale sequestro di personal computer e hardware.
Secondo i Giudici della Corte non può essere ammissibile un atteggiamento persecutorio nei confronti di chi esercita la professione legale poiché un precedente del genere potrebbe mettere a rischio l’intero sistema di valori professati dalla Convenzione.
Come confermato anche da autorevole dottrina, occorre operare – preliminarmente – un bilanciamento tra la tutela della riservatezza del rapporto fiduciario e la prosecuzione delle indagini: appurando l’esistenza di garanzie efficaci contro possibili abusi ed arbitri; verificando la gravità del reato per cui la perquisizione stessa è disposta; proseguendo solo se si è in presenza di un ragionevole sospetto circa la presenza del materiale che si ritiene rilevante ai fini delle indagini; assicurando che vi sia il rispetto della riservatezza dei documenti che risultano coperti dal segreto professionale; facendo sì che alla procedura sia presente personale competente in grado di giudicare se abbia rilevanza o meno un documento ai fini delle indagini.
Occorre anche una formulazione del mandato in termini circoscritti così da contenere la discrezionalità degli investigatori; in virtù della necessaria proporzionalità tra vulnus alla riservatezza della relazione fiduciaria, da un lato, e scopo legittimamente perseguito, dall’altro.
Proprio la rilevata assenza di quest’ultimo requisito nella vicenda esaminata, ha spinto la Terza Sezione a dichiarare la violazione del diritto dei ricorrenti riconosciuto dall’art. 8 CEDU.
In conclusione, agli Stati è attribuito il compito di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la confidenzialità delle comunicazioni tra cliente e avvocato, anche nel caso estremo in cui perquisizioni e sequestri siano necessari per provare la commissione di un reato.