Confermato l’orientamento della Suprema Corte, secondo il quale non integra né il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell’Ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità, la condotta di colui che esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che si trova a bordo del veicolo, al fine di accedere all’interno di una zona a traffico limitato.
(Cass. Penale Sez. II, sentenza 16 novembre – 6 dicembre 2011, n. 45328)
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Seconda Penale
Sentenza 16 novembre – 6 dicembre 2011, n. 45328
Sezione Seconda Penale
Sentenza 16 novembre – 6 dicembre 2011, n. 45328
[OMISSIS]
Con sentenza in data 25.1.2011, il G.U.P. del Tribunale di Firenze dichiarò non luogo a procedere nei confronti di [OMISSIS] e [OMISSIS] in ordine ai reati di cui agli artt. 110,81,494 cod. pen. (capo A) e 110, 81, 640 commi 1 e 2 n. 1 cod. pen. (capo B) perché i fatti non sussistono.
Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del delitto di cui all’art. 494 cod. pen. nell’indebito utilizzo di un permesso per invalidi, segnalando che la giurisprudenza ha ritenuto strettamente personale il contrassegno invalidi (Corte cass. ord. 21 luglio 2008, n. 328; Cass. Sez. 2 civ. sent. n. 1292/2008 e Sez. 1 civ. sent. n. 508/2005); in ogni caso sarebbe errata l’interpretazione data nella sentenza impugnata all’art. 188 c.d.s.; la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto assorbito (ma quindi sussistente) nel reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. il reato di cui all’art. 494 cod. pen. in ipotesi di utilizzo di un permesso per invalidi falsificato;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del reato di truffa, che sarebbe ravvisabile nel mancato introito della sanzione pecuniaria da parte del Comune e che del resto è stato ravvisato nel comportamento dell’ imprenditore che dichiari falsamente all’I.N.P.S. di aver anticipato quote di retribuzione per assenze di maternità o permessi ai dipendenti compensandoli con i contributi da versare; in ogni caso si potrebbe versare in ipotesi di induzione in errore dei pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 48 cod. peno con riferimento ai reati di cui all’art. 323 o 477 cod. pen.;
3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del reato di cui agli artt. 48 e 323 cod. pen.: in ogni caso sarebbe configurabile l’ipotesi di cui agli artt. 48 – 477 cod. pen.
Considerato in diritto.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati.
Questa Sezione ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che non integra né il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell’ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità la condotta di colui che esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo, al fine di accedere all’interno di una zona a traffico limitato e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35004 in data 8.6.2010 dep. 28.9.2010 rv. 248249).
La menzionata sentenza così motiva:
Tanto l’art. 188 c.d.s., che l’art. 381 del relativo Regolamento, fanno infatti espresso ed esclusivo riferimento, nel presupposto della prova di una sensibile riduzione della capacità di deambulazione dell’interessato, all’esigenza di consentire e agevolare la “mobilità” delle persone invalide.
E, come ricorda il requirente, la Corte Costituzionale, occupandosi dell’art. 188 c.d.s., ha avuto modo di affermare che la norma deve essere interpretata nel senso che le agevolazioni nella circolazione stradale siano limitate a quei veicoli che effettivamente trasportano la persona disabile e sono, quindi, in tal modo al servizio della stessa, anche quando si tratti di veicoli addetti al trasporto di cortesia dell’invalido (Cort. Cost. 328/2000).
La pronuncia del Giudice delle leggi e la retta interpretazione della normativa nel senso indicato dal requirente, non consentono però ugualmente di ravvisare gli estremi dei reati in contestazione.
Ed invero, per quel che riguarda l’ipotesi della sostituzione di persona, basti considerare che la condotta di reato non potrebbe essere integrata dalla semplice esibizione, sul parabrezza di un’ autovettura, del contrassegno invalidi, perché essa non implica una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’auto attribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente.
Quanto al reato di truffa, varrebbe già la considerazione della specifica natura degli interessi patrimoniali coinvolti nella vicenda, e delle particolari modalità della condotta presuntivamente truffaldina, potendosi richiamare, al riguardo, l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’analoga fattispecie dell’esposizione sul parabrezza di un’autovettura, di un contrassegno assicurativo materialmente falsificato (cfr. Corte di Cassazione n. 23941 del 30/04/2009 Albani).
Anche nel caso in esame, infatti, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore ed è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno.
Ciò perché, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, né nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente.
Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzabile, perché manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza “artificio – induzione in errore – profitto”, perché, al contrario, il profitto della condotta contestata agli imputati sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato.
Peraltro, tra i contravventori e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di “debito”, tributario o di altra natura; sicché il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un “danno” dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo.
Se il profitto conseguito dagli imputati, infatti, era quello derivante dalla circolazione “abusiva” dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perché quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all’autore di tale condotta.
Simili principi, d’altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte, anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.
Nel caso di specie, poi, occorre considerare che la condotta contestata agli imputati è oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce “senza residui” il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo.
Nel quarto e nel quinto comma dell’art. 188 c.d.s. sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione. ”
Anche la Quinta Sezione di questa Corte ha affermato che non integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che esponga sul cruscotto dell’auto un contrassegno per invalidi rilasciato ad un parente, in quanto la mera esposizione del contrassegno invalidi sull’auto, in assenza di altri qualificanti comportamenti, non integra la condotta positiva suscettiva di trarre in inganno necessaria per ravvisare gli estremi del delitto di cui all’art. 494 cod. pen. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18080 del 2.2.2010 dep. 12.5.2010 rv. 247139).
Il Collegio conosce la diversa determinazione alla quale è successivamente giunta la Quinta Sezione di questa Corte secondo cui integra il delitto di cui all’art. 494 cod. pen. il conducente del veicolo che circoli, in contrasto con il codice della strada, in zona vietata qualora esponga il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo, in quanto, in tal caso, egli simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto occasionale del titolare; tale fatto è diverso da quello sanzionato in via amministrativa dall’art. 188 comma quarto c.d.s, che concerne la condotta di chi non sia munito del detto contrassegno o dello stesso disabile che non rispetti le condizioni ed i limiti prescritti. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10203 del 25.1.2011 dep. 14.3.2011 rv 249950).
Tale sentenza ha così motivato:
“La L. n. 689 del 1981, art. 9 (legge di “depenalizzazione “) afferma che nel caso che uno “stesso fatto” sia punibile sia da una norma penale, che da una norma che prevede una sanzione amministrativa o da più disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
La norma si rifà quale corollario al principio cui si ispira la regola generale formulata dall’art. 15 c.p., senza che perciò possa porsi in contrasto con essa. L’art. 188 C.d. S., comma 4, titolato “Circolazione e sosta dei veicoli al servizio di persone invalide “. sanziona l’abuso, anche in caso di inosservanza di ulteriori prescritte condizioni, che può essere commesso sia da chi non sia munito di contrassegno autorizzativo sia si tratti dello stesso disabile, da chi non rispetti le condizioni ed i limiti prescritti (comma 5).
Ciò posto il conducente del veicolo che circoli in zona vietata in contrasto con la norma del C.d.S., se espone il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo, compie altra azione che simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato, anche al trasporto occasionale del titolare (di qui l’irrilevanza se il contrassegno sia o non corredato di specifici dati ulteriori). L’azione, proprio perché strumentale, offende diverso interesse laddove, se entrambi i fatti fossero penalmente sanzionati, l’un reato sarebbe inteso per commettere l’altro o al fine di conseguirne l’impunità.
Pertanto non si ravvisa lo “stesso fatto” se alla violazione della regola di circolazione, sanzionata in via amministrativa, si associ la diversa azione, pur contestuale, che abbia cagionato o avrebbe potuto cagionare l’evento giuridico di falsa attribuzione della qualità di persona autorizzata a circolare in luogo altrimenti vietato. A riprova del rilievo autonomo di tale falsità, si osservi che il delitto di cui all’art. 494 c.p.p. reato sussidiario di ogni altro falso (v. la lettera della norma), sicché se il guidatore fa uso di un contrassegno (certificazione autorizzativa) contraffatto, risponde a titolo di uso di documento falso che, all’evidenza, non si può opinare assorbito dalla violazione della norma sulla circolazione.
In questa luce non é possibile rifarsi all’art. 9 Legge di depenalizzazione, ponendo sullo stesso piano chi si limita a circolare in zona vietata e chi, facendolo, di più simula la propria qualità di disabile o di autorizzato al trasporto di disabile, salvo travisare il principio di specialità di cui, si ripete, offre un mero corollario.
Ritiene però il Collegio di condividere l’argomentazione svolta nella già citata sentenza n. 35004 in data 8.6.2010 dep. 28.9.2010, che non può che ribadire:
“Soprattutto il confronto tra l’eccesso d’uso” e l’uso improprio” dell’autorizzazione, è illuminante della volontà del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo anche in questo caso l’operatività del principio di specialità di cui all’art. 9 L. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr., ad es., in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale Corte di Cassazione 17/09/2008 Beninati, che ha ritenuto ravvisabile in questo caso, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 192, comma primo, cod. strad., e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dal/’art.650 cod. pen.)”.
Il terzo motivo di ricorso (in cui deve essere assorbita la seconda parte del secondo motivo di ricorso) è generico dal momento che non svolge adeguata critica alle argomentazioni svolte alle pago 6 e 7 della sentenza impugnata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
[OMISSIS]
Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del delitto di cui all’art. 494 cod. pen. nell’indebito utilizzo di un permesso per invalidi, segnalando che la giurisprudenza ha ritenuto strettamente personale il contrassegno invalidi (Corte cass. ord. 21 luglio 2008, n. 328; Cass. Sez. 2 civ. sent. n. 1292/2008 e Sez. 1 civ. sent. n. 508/2005); in ogni caso sarebbe errata l’interpretazione data nella sentenza impugnata all’art. 188 c.d.s.; la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto assorbito (ma quindi sussistente) nel reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. il reato di cui all’art. 494 cod. pen. in ipotesi di utilizzo di un permesso per invalidi falsificato;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del reato di truffa, che sarebbe ravvisabile nel mancato introito della sanzione pecuniaria da parte del Comune e che del resto è stato ravvisato nel comportamento dell’ imprenditore che dichiari falsamente all’I.N.P.S. di aver anticipato quote di retribuzione per assenze di maternità o permessi ai dipendenti compensandoli con i contributi da versare; in ogni caso si potrebbe versare in ipotesi di induzione in errore dei pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 48 cod. peno con riferimento ai reati di cui all’art. 323 o 477 cod. pen.;
3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non configurabilità del reato di cui agli artt. 48 e 323 cod. pen.: in ogni caso sarebbe configurabile l’ipotesi di cui agli artt. 48 – 477 cod. pen.
Considerato in diritto.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati.
Questa Sezione ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che non integra né il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell’ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità la condotta di colui che esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo, al fine di accedere all’interno di una zona a traffico limitato e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35004 in data 8.6.2010 dep. 28.9.2010 rv. 248249).
La menzionata sentenza così motiva:
Tanto l’art. 188 c.d.s., che l’art. 381 del relativo Regolamento, fanno infatti espresso ed esclusivo riferimento, nel presupposto della prova di una sensibile riduzione della capacità di deambulazione dell’interessato, all’esigenza di consentire e agevolare la “mobilità” delle persone invalide.
E, come ricorda il requirente, la Corte Costituzionale, occupandosi dell’art. 188 c.d.s., ha avuto modo di affermare che la norma deve essere interpretata nel senso che le agevolazioni nella circolazione stradale siano limitate a quei veicoli che effettivamente trasportano la persona disabile e sono, quindi, in tal modo al servizio della stessa, anche quando si tratti di veicoli addetti al trasporto di cortesia dell’invalido (Cort. Cost. 328/2000).
La pronuncia del Giudice delle leggi e la retta interpretazione della normativa nel senso indicato dal requirente, non consentono però ugualmente di ravvisare gli estremi dei reati in contestazione.
Ed invero, per quel che riguarda l’ipotesi della sostituzione di persona, basti considerare che la condotta di reato non potrebbe essere integrata dalla semplice esibizione, sul parabrezza di un’ autovettura, del contrassegno invalidi, perché essa non implica una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’auto attribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente.
Quanto al reato di truffa, varrebbe già la considerazione della specifica natura degli interessi patrimoniali coinvolti nella vicenda, e delle particolari modalità della condotta presuntivamente truffaldina, potendosi richiamare, al riguardo, l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’analoga fattispecie dell’esposizione sul parabrezza di un’autovettura, di un contrassegno assicurativo materialmente falsificato (cfr. Corte di Cassazione n. 23941 del 30/04/2009 Albani).
Anche nel caso in esame, infatti, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore ed è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno.
Ciò perché, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, né nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente.
Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzabile, perché manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza “artificio – induzione in errore – profitto”, perché, al contrario, il profitto della condotta contestata agli imputati sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato.
Peraltro, tra i contravventori e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di “debito”, tributario o di altra natura; sicché il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un “danno” dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo.
Se il profitto conseguito dagli imputati, infatti, era quello derivante dalla circolazione “abusiva” dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perché quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all’autore di tale condotta.
Simili principi, d’altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte, anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.
Nel caso di specie, poi, occorre considerare che la condotta contestata agli imputati è oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce “senza residui” il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo.
Nel quarto e nel quinto comma dell’art. 188 c.d.s. sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione. ”
Anche la Quinta Sezione di questa Corte ha affermato che non integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che esponga sul cruscotto dell’auto un contrassegno per invalidi rilasciato ad un parente, in quanto la mera esposizione del contrassegno invalidi sull’auto, in assenza di altri qualificanti comportamenti, non integra la condotta positiva suscettiva di trarre in inganno necessaria per ravvisare gli estremi del delitto di cui all’art. 494 cod. pen. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18080 del 2.2.2010 dep. 12.5.2010 rv. 247139).
Il Collegio conosce la diversa determinazione alla quale è successivamente giunta la Quinta Sezione di questa Corte secondo cui integra il delitto di cui all’art. 494 cod. pen. il conducente del veicolo che circoli, in contrasto con il codice della strada, in zona vietata qualora esponga il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo, in quanto, in tal caso, egli simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto occasionale del titolare; tale fatto è diverso da quello sanzionato in via amministrativa dall’art. 188 comma quarto c.d.s, che concerne la condotta di chi non sia munito del detto contrassegno o dello stesso disabile che non rispetti le condizioni ed i limiti prescritti. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10203 del 25.1.2011 dep. 14.3.2011 rv 249950).
Tale sentenza ha così motivato:
“La L. n. 689 del 1981, art. 9 (legge di “depenalizzazione “) afferma che nel caso che uno “stesso fatto” sia punibile sia da una norma penale, che da una norma che prevede una sanzione amministrativa o da più disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
La norma si rifà quale corollario al principio cui si ispira la regola generale formulata dall’art. 15 c.p., senza che perciò possa porsi in contrasto con essa. L’art. 188 C.d. S., comma 4, titolato “Circolazione e sosta dei veicoli al servizio di persone invalide “. sanziona l’abuso, anche in caso di inosservanza di ulteriori prescritte condizioni, che può essere commesso sia da chi non sia munito di contrassegno autorizzativo sia si tratti dello stesso disabile, da chi non rispetti le condizioni ed i limiti prescritti (comma 5).
Ciò posto il conducente del veicolo che circoli in zona vietata in contrasto con la norma del C.d.S., se espone il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo, compie altra azione che simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato, anche al trasporto occasionale del titolare (di qui l’irrilevanza se il contrassegno sia o non corredato di specifici dati ulteriori). L’azione, proprio perché strumentale, offende diverso interesse laddove, se entrambi i fatti fossero penalmente sanzionati, l’un reato sarebbe inteso per commettere l’altro o al fine di conseguirne l’impunità.
Pertanto non si ravvisa lo “stesso fatto” se alla violazione della regola di circolazione, sanzionata in via amministrativa, si associ la diversa azione, pur contestuale, che abbia cagionato o avrebbe potuto cagionare l’evento giuridico di falsa attribuzione della qualità di persona autorizzata a circolare in luogo altrimenti vietato. A riprova del rilievo autonomo di tale falsità, si osservi che il delitto di cui all’art. 494 c.p.p. reato sussidiario di ogni altro falso (v. la lettera della norma), sicché se il guidatore fa uso di un contrassegno (certificazione autorizzativa) contraffatto, risponde a titolo di uso di documento falso che, all’evidenza, non si può opinare assorbito dalla violazione della norma sulla circolazione.
In questa luce non é possibile rifarsi all’art. 9 Legge di depenalizzazione, ponendo sullo stesso piano chi si limita a circolare in zona vietata e chi, facendolo, di più simula la propria qualità di disabile o di autorizzato al trasporto di disabile, salvo travisare il principio di specialità di cui, si ripete, offre un mero corollario.
Ritiene però il Collegio di condividere l’argomentazione svolta nella già citata sentenza n. 35004 in data 8.6.2010 dep. 28.9.2010, che non può che ribadire:
“Soprattutto il confronto tra l’eccesso d’uso” e l’uso improprio” dell’autorizzazione, è illuminante della volontà del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo anche in questo caso l’operatività del principio di specialità di cui all’art. 9 L. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr., ad es., in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale Corte di Cassazione 17/09/2008 Beninati, che ha ritenuto ravvisabile in questo caso, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 192, comma primo, cod. strad., e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dal/’art.650 cod. pen.)”.
Il terzo motivo di ricorso (in cui deve essere assorbita la seconda parte del secondo motivo di ricorso) è generico dal momento che non svolge adeguata critica alle argomentazioni svolte alle pago 6 e 7 della sentenza impugnata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
[OMISSIS]