Per potersi ravvisare l’ipotesi della cooperazione nel delitto colposo (articolo 113 c.p.) occorre un legame di tipo psicologico tra le diverse condotte, sostanziantesi nella consapevolezza di operare con altri, che implica per l’agente il dovere di agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui.
(Cass. Penale Sez. IV, sentenza 2 novembre 2011 – 17 gennaio 2012, n. 1428)

Suprema Corte di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 2 novembre 2011 – 17 gennaio 2012, n. 1428

1. Il Tribunale di Enna ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine al reato di cui all’art. 449 cod. pen. e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile.

La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Caltanissetta.

All’imputato viene mosso l’addebito di aver praticato dei solchi in un terreno per evitare che il fuoco che si stava appiccando alla proprietà si propagasse ai terreni limitrofi; e di aver così colposamente cooperato con il proprietario del terreno, tale F. , nella causazione di un incendio che devastava diversi ettari attigui, agendo colposamente senza tener conto della presenza di un forte vento.
2. Ricorre per cassazione l’imputato lamentando che il giudice di merito non ha tenuto conto delle contraddizioni in cui è incorso il denunziante, che ha riferito particolari diversi in ordine alle circostanze della prima osservazione dell’incendio del terreno limitrofo. Il teste ha pure riferito che il G. si allontanò subito dal terreno al primo avviarsi dell’incendio, mentre il capo della squadra dei vigili del fuoco lo ha descritto intento ad effettuare dei solchi tagliafuoco. La Corte d’appello ha inoltre trascurato le deposizioni testimoniali che descrivevano l’imputato intento all’aratura o a tracciare solchi tagliafuoco; e ha preferito attribuire rilievo alle dichiarazioni del maresciallo di polizia che tuttavia intervenne solo il giorno seguente e riferì che i terreni erano incolti.
Si censura inoltre l’esistenza di una condotta di cooperazione colposa, giacché nessuna violazione di regole precauzionali di condotta può essere ascritta all’imputato il quale, al contrario, ha agito facendo corretta applicazione di tali regole tracciando dei solchi tagliafuoco.
Oggetto di censura è pure il riconosciuto diritto al risarcimento dei danni, visto che il terreno incendiato era costituito da sterpaglia ed erba secca.
Si conclude che, nel rispetto degli artt. 530, secondo comma e 533, primo comma, nella descritta situazione dubbiosa il giudice avrebbe dovuto emettere sentenza assolutoria.

3. Il ricorso è infondato.

La sentenza impugnata assume che la ricostruzione dei fatti si basa sulle dichiarazioni attendibili di tale C. , proprietario dei terreni incendiati, il quale ha riferito di aver notato una colonna di fumo provenire dal fondo di proprietà di F. e di avere scorto un individuo, che appiccava il fuoco ed un altro a bordo di un trattore (successivamente individuato nel G. ) che realizzava un solco tagliafuoco.
Si ritiene che il ricorrente abbia posto in essere cooperazione colposa nel delitto giacché, pur non avendo dato materialmente origine al fuoco, ha concorso con la propria condotta al divampare delle fiamme, con condotta coeva funzionale all’accensione del fuoco da parte del F.
La Corte considera altresì che le dichiarazioni del C. non sono mai state oggetto di contestazione e non risultano incoerenti. I motivi di astio erano noti ma non riguardavano il ricorrente. D’altra parte, la tesi difensiva secondo cui lo stesso ricorrente si trovava sul terreno solo per ararlo è smentita dal maresciallo di polizia operante che ha riferito che i terreni del ridetto F. , nei quali era divampato l’incendio, erano del tutto incolti.
A nulla rileva che il solco tagliafuoco era comunque finalizzato a scongiurare il pericolo di incendio.
La cooperazione nel delitto colposo si caratterizza per un legame psicologico tra la condotta dei concorrenti, nel senso che ciascuno dei compartecipi deve essere consapevole della convergenza della propria condotta con la condotta altrui, senza però che tale consapevolezza debba investire l’evento richiesto per l’esistenza del reato che ovviamente non dev’essere voluto. Nella specie non è contestabile la violazione di una regola cautelare che sconsigliava di appiccare il fuoco in un’ora calda del mese di agosto, in presenza di un forte vento.
Tali ponderazioni sono fondate su diverse e significative acquisizioni probatorie, appaiono immuni da vizi logico giuridici e conformi ai principi. Quanto al fatto, poi, il ricorrente non espone fatti accertati ed idonei a porre radicalmente in crisi l’argomentazione probatoria, ma tenta di sollecitare impropriamente questa Corte alla riconsiderazione del merito, evocando isolati frammenti del materiale probatorio.
Pure immune da censure è l’apprezzamento sulla colpa.
In tema di cooperazione colposa questa Suprema Corte (Cass. IV, 2 dicembre 2008, rv. 242566) ha affermato il condiviso principio che tale figura si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi, che peraltro non richiede la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli.
In tale pronunzia si è chiarito che la disciplina della cooperazione colposa esercita una funzione estensiva dell’incriminazione rispetto all’ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti, coinvolgendo anche condotte atipiche, agevolatici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte. Tale interpretazione è senz’altro aderente alle finalità perseguite dal codificatore che, introducendo la disciplina di cui si discute, volle troncare le dispute esistenti in quell’epoca, esplicitando la possibilità di configurare fattispecie di concorso anche nell’ambito dei reati colposi.
L’indicato indirizzo interpretativo trova pure sicuro conforto nella disciplina di cui all’art. 113 c.p., comma 2 e art. 114 cod. pen., che prevedono, nell’ambito delle fattispecie di cooperazione, l’aggravamento della pena per il soggetto che abbia assunto un ruolo preponderante e, simmetricamente, la diminuzione della pena per l’agente che abbia apportato un contributo di minima importanza. Tale ultima contingenza, evocando appunto condotte di modesta significatività, sembra attagliarsi perfettamente al caso di condotte prive di autonomia sul piano della tipicità colposa e quindi non autosufficienti ai fini della fondazione della responsabilità colpevole.
Riconosciuto il ruolo estensivo dell’incriminazione svolto dall’art. 113 c.p., occorre prendere atto che, pur dopo molte dispute, il confine tra la fattispecie di cooperazione colposa e quella in cui si configura il concorso di cause colpose indipendenti è spesso incerto.
L’effetto estensivo si configura senz’altro nei reati commissivi mediante omissione, quando vi sia l’apporto di soggetto non gravato dell’obbligo di garanzia.
Una situazione analoga si può configurare quando la regola cautelare violata attiene all’obbligo di prevenire altrui condotte colpose: rientrano in tale ambito i casi di scuola dell’affidamento dell’auto a conducente totalmente inesperto e privo di patente; e quello dell’omessa custodia dell’arma carica che, così, viene imprudentemente maneggiata da persona impreparata. In tutti tali casi traspare l’esigenza di una lettura integrata delle condotte colpose, anche per verificare la realizzazione nell’evento del rischio cautelato dalla regola di diligenza.
Meno definita appare la vasta area in cui è presente una condotta che, priva di compiutezza, di fisionomia definita nell’ottica della tipicità colposa se isolatamente considerata, si integra con altre dando luogo alla fattispecie causale colposa. Mentre la condotta tipica da luogo alla violazione della regola cautelare eziologica, quella del partecipe si connota per essere pericolosa in una guisa ancora indeterminata. A tali condotte viene solitamente attribuita valenza in chiave agevolatrice.
A tale ambito sembrano riferirsi non solo l’intitolazione dell’art. 113 c.p., che evoca il concetto di cooperazione colposa distinto da quello di concorso doloso; ma anche i lavori preparatori, quando si parla di scientia malefica, di consapevolezza di concorrere con la propria all’altrui azione, di fascio di volontà cooperanti nel porre in essere il fatto incriminato.
Così definito il contesto, si pone il cruciale problema di individuare il fattore che fa per così dire da collante tra le diverse condotte, delineandone la cooperazione. Tale elemento di coesione viene ritenuto di tipo psicologico, tanto dalla dottrina prevalente che dalla giurisprudenza: si tratta della consapevolezza di cooperare con altri. Ed a tale indirizzo si adegua la pronunzia in esame. È però discusso se tale consapevolezza debba estendersi sino a cogliere il carattere colposo dell’altrui condotta. Le contrastanti tesi espresse al riguardo presentano il fianco a qualche critica. La tesi della mera consapevolezza dell’altrui condotta sembra implicare il rischio di creare un’indiscriminata estensione dell’imputazione. D’altra parte richiedere la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui comportamento reca il rischio opposto di svuotare la norma e di renderla inutile, giacché una tale consapevolezza ben potrebbe implicare un atteggiamento autonomamente rimproverabile.
Nella citata pronunzia si è rimarcato che le preoccupazioni di eccessiva estensione della fattispecie di cooperazione connesse alla mera consapevolezza dell’altrui condotta concorrente non sono certo prive di peso. Esse pare possano essere arginate solo individuando con rigore, sul piano fenomenico, le condotte che si pongono tra loro in cooperazione. Occorre cioè che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza. In tali situazioni, l’intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di condotte che, come si è accennato, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche.
In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame ed un’integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto. Tale pretesa d’interazione prudente individua il canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell’idea di cooperazione colposa.
In breve, semplificando al massimo, ai fini della cooperazione colposa si richiede, come minimo, che i diversi agenti siano consapevolmente coinvolti in una comune procedura in corso. Tale situazione di contribuzione consapevole all’incedere della procedura volta all’attivazione della fiamme per la pulizia del terreno si configura nel processo in esame, alla luce della ricostruzione del fatto proposta dai giudici di merito. L’imputato non avviava le fiamme, ma praticava dei solchi nel terreno costituenti parte della procedura, in un contesto che tuttavia era altamente pericoloso per la presenza del vento che favoriva l’incontrollata propagazione delle fiamme. Dunque, la procedura era nel complesso pericolosa e l’agente vi contribuiva con una condotta che non era quella tipica (l’accensione delle fiamme) ma costituiva comunque parte integrante del comune coinvolgimento di diverse persone. Ne discende che, precisata la motivazione della pronunzia d’appello con le considerazioni di principio sopra esposte, la cooperazione colposa è stata correttamente ritenuta in presenza di un consapevole contributo alla concertata azione imprudente già descritta.
Infine priva di pregio è la censura in ordine alla condanna al risarcimento del danno. La condanna, infatti, è stata generica, ed è stata demandata alla sede propria la quantificazione del pregiudizio subito. È in quella sede, dunque, che potranno essere fatte valere considerazioni di merito sull’entità del pregiudizio subito dai proprietari dei terreni invasi dalle fiamme.

Il gravame deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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