L’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti sussiste, non solo nel caso di condotte parallele, di persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario, mediante il commercio di droga, ma anche nell’ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa, la ricevono per immetterla al consumo.
La diversita’ di scopo personale infatti non e’ per nulla ostativa alla realizzazione del fine comune, che e’ quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti.
(Cass. Penale Sez. Sesta, sentenza 27 gennaio 2012, n. 3509)


Suprema Corte di Cassazione
Sezione Sesta Penale
Sentenza 27 gennaio 2012, n. 3509

OMISSIS
avverso la sentenza 1 dicembre 2009 della Corte di appello di Napoli.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza;
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente all’associazione per delinquere Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74con rigetto nel resto dei ricorsi e rigetto del ricorso della (OMISSIS); nonche’ l’avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento della proposta impugnazione.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ricorrono avverso la sentenza 1 dicembre 2009 della Corte di appello di Napoli che, in parziale riforma della sentenza 6 luglio 2007 del G.U.P. presso il Tribunale di Napoli, ha ridotto per tutti la pena inflitta per delitti in tema di sostanze stupefacenti.
1.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte.
1.1) (OMISSIS).
La (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), e’ persona non attinta dall’accusa associati va, ed il ricorso sostiene, attesa l’assenza di intercettazioni a suo carico, la mancanza di motivazione per il reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73 potendosi al massimo ravvisare nella sua condotta un’ipotesi di favoreggiamento per il coniuge (OMISSIS).
Il motivo, per come articolato, e’ inaccoglibile per piu’ profili.
Innanzitutto esso si fonda sull’erroneo assunto che non vi siano intercettazioni a carico della (OMISSIS) stessa, circostanza questa espressamente esclusa dai giudici di merito, che fanno invece puntuale riferimento – valorizzandole – alle conversazioni dell'(OMISSIS) nelle quali la donna e’ una delle attive interlocutrici.
In secondo luogo, in punto di qualificazione della condotta, la corte distrettuale ha evidenziato – In modo ineccepibile – l’impossibilita’ di ravvisare gli estremi di un favoreggiamento personale, posto che i comportamenti della (OMISSIS) erano tutti da inquadrare in un contesto di piena consapevolezza dell’attivita’ illecita del marito, cui essa ha dato pieno, costante e determinante apporto causale. Il ricorso della (OMISSIS) va quindi rigettato.
1.2) (OMISSIS).
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge con riferimento alle norme degli articoli 441, 421 e 438 c.p.p. e articolo 178 c.p.p., lettera c), nonche’ vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorieta’ e della manifesta illogicita’.
Nei motivi di appello il difensore aveva eccepito la nullita’ della sentenza quale effetto della nullita’ dell’ordinanza emessa dal GUP presso il Tribunale di Napoli in data 15 gennaio 2007, per violazione dell’articolo 178 c.p.p., lettera c), evidenziando che l’ (OMISSIS) aveva richiesto in tale udienza la definizione del procedimento attraverso il rito abbreviato, condizionato al proprio interrogatorio. Il G.U.P. aveva rigettato la richiesta e l’imputato aveva scelto allora la definizione del processo nelle forme del giudizio abbreviato semplice,non reiterando la richiesta stessa.
La corte distrettuale ha ritenuto che il mezzo istruttorio richiesto non fosse necessario, dato che l’imputato aveva gia’ reso l’interrogatorio di garanzia nella precedente fase delle indagini, utilizzabile nel rito alternativo. Il motivo non ha fondamento.
Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, nel successivo giudizio abbreviato “secco”, cui l’imputato e’ stato ammesso, il ricorrente non ha piu’ chiesto di essere sottoposto ad interrogatorio, ne’ ha inteso rendere spontanee dichiarazioni, e neppure ha ribadito la sua volonta’ di essere interrogato, con conseguente insussistenza di lesivita’ concrete nella possibilita’ di difendersi, oppure di invalidita’ apprezzabili, tra l’altro e in ogni caso, non dedotte nei termini e nelle forme di cui all’articolo 182 cod. proc. pen..
Con un secondo motivo si delinea ulteriore profilo di nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera c, in relazione all’articolo 178 c.p.p., lettera c, e articolo 601 c.p.p., avendo la corte distrettuale fissata l’udienza camerale per il giorno 2/05/08, per la trattazione del procedimento de quo, disponendone l’avviso agli imputati detenuti e ai difensori costituiti, senza alcuna notifica agli imputati non detenuti per i quali, l’informazione della data della successiva detta udienza, era desumibile dalla affissione all’ingresso dell’aula di udienza di un cartello, che peraltro non conteneva l’indicazione dell’aula dell’udienza stessa.
Anche questa doglianza non ha fondamento.
L’imputato ritualmente citato e non comparso non ha infatti diritto, in sede di giudizio abbreviato, alla notifica dell’avviso di rinvio dell’udienza ad altra data, essendo rappresentato dal suo difensore (cass. pen. sez. 4, 31657/2010 Rv. 248098).
Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla responsabilita’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74considerato la decisione del Tribunale di riesame che aveva annullato la misura della custodia cautelare in carcere per il capo associativo.
Tali doglianze dell’ (OMISSIS), espresse nel terzo motivo, e speculari rispetto alle critiche dei coimputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sul reato associativo, sono infondate e verranno esaminate congiuntamente per tutti nel successivo p.2.
Con un quarto motivo si evidenzia ancora violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai reati fine, nonche’ ulteriore profilo di nullita’ della sentenza, nella omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sulla attivita’ lavorativa del ricorrente.
Il motivo non supera la soglia dell’ammissibilita’, a fronte della corretta, ampia e logica motivazione dei giudici di merito, i quali, con una doppia e conforme pronuncia, hanno individuato i profili indiscutibili della colpevolezza dell’accusato e le plurime fonti di tale ragionevole convincimento.
Invero le numerose censure, pur se titolate come violazione di legge e come vizi di motivazione, si risolvono essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimita’, nonche’ nella pretesa di contrastare valutazioni dei fatti e delle risultanze probatorie effettuate dai giudici di merito, la cui motivazione al riguardo, come sviluppata nella sentenza impugnata, e’ priva di carenze od invalidita’ qui apprezzabili.
Quanto all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (al fine di provare l’attivita’ lavorativa del ricorrente, in linea con il contenuto delle “mal interpretate conversazioni telefoniche” e fermo restando il principio che la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato (sia condizionato che non condizionato), non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, va rammentato che l’imputato, il quale presenti richiesta di giudizio abbreviato incondizionato, accetta che il procedimento si svolga sulla base degli elementi istruttori acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, e tale ritualita’ speciale comporta l’esclusione di un suo diritto a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e di un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta (Cass. pen. sez. 2, 3609/2011 Rv. 249161; Cass. pen. sez. 3, 7974/2011 Rv. 249114).
Da cio’ consegue che il mancato esercizio, da parte del giudice d’appello, dei poteri officiosi di rinnovazione dell’istruttoria, sollecitato, come nella specie, a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, dall’imputato che abbia optato per il giudizio abbreviato “senza integrazione probatoria”, non costituisce un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) (Cass. pen. sez. 6, 7485/2009 Rv. 242905).
Con un quinto motivo si sostiene vizio di motivazione e violazione di legge in punto di omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e articolo 74, comma 6.
Il motivo non supera la soglia dell’ammissibilita’ in quanto contrappone alla adeguata motivazione dei giudici di merito una diversa interpretazione dei dati probatori e sostanzialmente chiede al giudice di legittimita’ una un’inammissibile sovrapposizione valutativa.
Con un sesto motivo si illustra mancanza di motivazione in punto di aumento per la continuazione.
Il motivo va rigettato.
Invero, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza, la quale, come nella specie (pag. 18 e segg.), abbia fatto riferimento alle modalita’ dei fatti ed ai precedenti penali anche specifici degli imputati, ed in tal caso non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena a titolo di continuazione, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cass. pen. sez. 5, 27382/2011 Rv. 250465).
Tanto premesso, vanno ora unitariamente esaminate le doglianze dell’ (OMISSIS) e degli altri coimputati in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo.
2. Il reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74: le ragioni della decisione di rigetto della Corte.
Gli imputati (OMISSIS), nel suo terzo motivo, (OMISSIS) e (OMISSIS), nel loro unico motivo, e (OMISSIS) nel suo primo motivo, si dolgono del giudizio di responsabilita’ per il reato associativo.
In particolare (OMISSIS) si e’ lamentato: a) che non siano stati definiti i ruoli dei compartecipi e la distribuzione degli utili sulla base dell’erronea argomentazione – fatta propria dalla corte distrettuale – secondo cui il singolo partecipe ben puo’ avere uno scopo proprio, ed una utilita’ propria e diversa da quella degli altri associati, bastando ai fini associativi la sola realizzazione della finalita’ generale del conseguimento di un utile maggiore per il sodalizio; b) che non si siano precisate le condotte di partecipazione del ricorrente ed il corrispondente contributo alla realta’ associativa.
(OMISSIS) ha posto l’accento in modo particolare sulla inesistenza di stabilita’ nei vincoli.
(OMISSIS), a sua volta ha rilevato pure la mancanza di risposta alle considerazioni critiche dell’appello,sul tema della interpretazione delle conversazioni telefoniche, che,peraltro,non hanno riguardato i profili della ripartizione degli utili, in un contesto di affermata e non provata stabile e reciproca disponibilita’ dei sodali, e di estemporanee singole richieste di approvvigionamento, in assenza di “affectio societatis” e di qualsiasi consapevolezza di partecipazione all’organizzazione illecita.
(OMISSIS) inoltre, con un secondo motivo ha dedotto vizio di motivazione (motivazione definita “monca”) in ordine all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti genetiche.
(OMISSIS) infine ha insistito sulla assenza di giustificazione sull’affectio societatis.
Ritiene la Corte che nessuna delle critiche formulate consenta l’accoglimento dei ricorsi.
Innanzitutto e’ risaputo che nella verifica della consistenza dei rilievi, mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non puo’ essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, ogni qualvolta, come nella specie, entrambe le decisioni risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.
In altri termini, nella vicenda, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente si da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.
Ne consegue che l’esito del giudizio di responsabilita’, cosi’ ottenuto ed argomentato, non puo’ essere invalidato dalle prospettazioni alternative dei ricorrenti le quali si risolvono nel delineare una “mirata rilettura” di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonche’ nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ maggiormente plausibili, oppure perche’ assertivamente dotati di una migliore capacita’ esplicativa, nel contesto in cui la condotta si e’ in concreto esplicata.
Tanto premesso va rilevato che nella specie i giudici di merito hanno rispettato le regole di valutazione della prova in punto di esistenza del sodalizio Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74fornendo in proposito congrua e adeguata giustificazione.
In particolare, bene la corte distrettuale ha richiamato la decisione di questa sezione (40505/2009 Rv. 245282) la quale ha ribadito che, agli effetti della configurabilita’ del sodalizio Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74non e’ richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendosi desumere la prova del vincolo dalle modalita’ esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuita’ temporale del vincolo criminale.
Riassumendo in punto di diritto: l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti si concretizza ogniqualvolta tra tre o piu’ persone si formi, anche di fatto, cioe’ senza un preventivo accordo formale (cass. pen. sez. 1, 23424/02, r.v. 224589; cass. pen. sez. 1, 3133/1998 Rv. 210186), un patto, che ha in se’ la cosiddetta “affectio societatis”, in forza del quale tutti gli aderenti sono portati ad operare nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le attivita’ proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione del programma criminale.
Pertanto, cio’ che rileva non e’ un accordo consacrato in atti di costituzione, statuto, regolamento, iniziazione o in altre manifestazioni di formale adesione, e neppure una “cassa comune” ma l’esistenza, di fatto, della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (cass. pen. sez. 6, 3846/2000, r.v. 218418; 8046/1995 Rv. 202031) che finisce col dare corpo e sostanza all’affectio societatis stessa.
Orbene, fermi tale alteri, dall’esame della motivazione oggetto di critica, risulta che tali canoni interpretativi sono stati rispettati mediante una giustificazione che, per come proposta e’ indenne da incoerenze espositive, illogicita’ od altri vizi valutabili in questa sede.
L’affermazione di responsabilita’ e’ stata invero ottenuta mediante l’analisi del contenuto univoco delle intercettazioni, raccolte in un lasso di piu’ mesi, e con l’argomentata deduzione della sussistenza di una struttura organizzativa a carattere permanente, con ripartizione di compiti fra gli associati in relazione alla realizzazione di un programma indeterminato di reati in materia di stupefacenti.
Conclusione questa affermata avuto complessivo riguardo:
a) alle plurime conversazioni a sostegno di piu’ condotte, diversificate e correlate, di detenzione e cessione di cocaina,in una vasta zona che comprende piu’ comuni della provincia di (OMISSIS);
b) alla funzione primaria nella gestione di tale attivita’ di (OMISSIS), il quale, oltre a provvedere personalmente allo spaccio di cocaina, organizzava e dirigeva i compartecipi;
c) alla predisposizione di una struttura personale, per la vendita, le consegne, il trasporto della sostanza stupefacente e per quant’altro utile a procacciare negozi, sempre relativi all’illecito commercio in parola, gestita da (OMISSIS) e da (OMISSIS), pressoche’ quotidianamente in contatto di dimestichezza e familiarita’ con l’ (OMISSIS), che in tale sua posizione dava loro disposizioni ed incarichi fiduciari, funzionali al buon esito della gestione degli affari di comune interesse;
d) alla ulteriore rafforzativa circostanza che attorno a tale nucleo di base ruotavano, in un meccanismo di reciproca rinforzata interdipendenza, (OMISSIS) e (OMISSIS) quali acquirenti, dediti a loro volta alla rivendita al dettaglio, ed ancora (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali fungevano da fornitori principali di sostanza stupefacente;
c) alla immanente consapevolezza di tutti gli imputati del contributo essenziale da loro fornito, senza soluzione di continuita’, alla organizzazione dell’ (OMISSIS) ed alla fitta rete di spaccio di cui egli disponeva e dalla quale tutti traevano profitti in ragione delle forniture.
Trattasi di valutazioni del tutto aderenti al materiale processuale versato in atti, senza travisamenti (neppure dedotti dalle parti), ed oggetto di una progressiva ragionevole individuazione delle caratteristiche connotative del sodalizio, la cui ricorrenza e’ stata ribadita in appello, avuta presente la consolidata regola di giudizio che l’associazione de qua sussiste, non solo nel caso di condotte parallele, di persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario, mediante il commercio di droga, ma anche nell’ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga agii acquirenti, che in via continuativa, la ricevono per immetterla al consumo.
La diversita’ di scopo personale infatti non e’ per nulla ostativa alla realizzazione del fine comune, che e’ quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti.
Ne’ l’associazione criminosa puo’ essere impedita dalla diversita’ dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, oppure da un contrasto degli interessi economici di essi, posto che ne’ l’una, ne’ l’altro sono di ostacolo alla costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo.
Importante e’ infatti, come si e’ verificato nella specie, che colui che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere le sostanze, assumendo, cosi’, una funzione continuativa, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attivita’ criminale (ex plurimis: cass. pen. sez. 5, 10077/1997 Rv. 208822.
Correttamente quindi la corte distrettuale ha valorizzato il tenore delle intercettazioni in atti e l’assiduita’ delle stesse, per inferire il dato inoppugnabile che tra i due fornitori e l’ (OMISSIS) vi fosse un rapporto niente affatto “estemporaneo e collegato a dati episodici”, ma stabile e funzionale al commercio di droga gestito da quest’ultimo, “anche se talvolta si e’ reso necessario rivolgersi ad altri fornitori, questi si’ sporadici ed occasionali, per provvisoria mancanza di merce presso i detti consociati o perche’ il (OMISSIS), detto (OMISSIS), si era reso momentaneamente irreperibile”.
Pertanto la pluralita’ dei soggetti coinvolti, l’accordo criminoso che li univa, la ripartizione dei compiti e la stabilita’ dell’organizzazione, per la quale tutti gli aderenti erano indotti ad operare nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le attivita’ proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuivano all’attuazione del programma criminale, risultano essere elementi tutti pacificamente convergenti al fine dell’inquadramento delle condotte accertate nello schema dogmatico del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 con rigetto dei motivi di gravame sul punto.
Da ultimo, quanto alle doglianze in relazione all’omessa valutazione per i reati fine delDecreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e il negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, le censure formulate sono parimenti infondate avuto riguardo all’esplicita e adeguata motivazione dei giudici di merito, i quali hanno dato giustificazione delle decisioni assunte con valutazioni di merito in questa sede non censurabili.
I ricorsi pertanto, nella verifica tenuta logica e coerenza strutturale della sentenza impugnata, risultano infondati e le parti proponenti vanno condannate ex articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

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