Pertanto, sono oggetto di confisca obbligatoria gli immobili utilizzati per il deposito di prodotti commerciali contraffatti, avendo la suddetta norma introdotto un’ipotesi di confisca obbligatoria relativamente a situazioni che altrimenti rimarrebbero regolate dall’art. 240 c.p., comma 1, senza margini di discrezionalità sull'”opportunità” della misura cautelare reale in rapporto all’eventuale “eccesso di tutela” dei corrispondenti interessi social preventivi.
(Cass. Sezione II Penale, 22 giugno – 15 luglio 2011, n. 27961)
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Seconda Penale
Sentenza 22 giugno – 15 luglio 2011, n. 27961
sul ricorso proposto da:
1) P.B. N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 10/2010 TRIB. LIBERTA’ di LECCO, del 04/01/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO PRESTIPINO;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. SALVI Giovanni che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv. F. che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza del 4.1.2011, il Tribunale della Libertà di Lecco, rigettava l’istanza di riesame proposta da OMISSIS contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip dello stesso tribunale il 9.12.2010 nell’ambito del procedimento penale a carico dello stesso istante per i reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p..
La misura cautelare aveva riguardato oltre alla merce contraffatta, anche l’appartamento e un garage di proprietà dell’indagata, dove erano stati rinvenuti i corpi di reato.
Ricorre personalmente la OMISSIS, deducendo il vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato nella parte relativa alla conferma del sequestro degli immobili. La ricorrente rileva, con il sostegno di alcune pronunce giurisprudenziali, che non sarebbe assoggettabile a confisca un immobile che costituisca soltanto il luogo del commesso reato e deduce comunque che erroneamente i giudici territoriali avrebbero affermato il vincolo pertinenziale tra gli stessi immobili e i reati contestati in assenza di qualunque indicazione che i locali costituissero strumento non episodico nè occasionale della commissione dei medesimi reati.
Il ricorso è infondato.
1. Sotto un primo profilo, non è censurabile l’affermazione dell’esistenza di un nesso di strumentalità tra gli accessori per abbigliamento contraffatti oggetto dei reati e gli immobili in cui gli stessi furono rinvenuti, essendo al contrario ovvio il collegamento strumentale di fatti di reato in cui sia implicata come elemento costitutivo la detenzione di cose (alla ricorrente è contestata appunto la detenzione per la vendita di merce contraffatta), con il luogo in cui le cose medesime siano custodite.
Non si vede poi perchè le particolari modalità con cui la ricorrente avrebbe esercitato il commercio degli articoli in oggetto (vendita porta a porta, con il “passaparola” o “on line”) dovrebbero ritenersi incompatibili con l’accennata relazione funzionale, perchè l’evasione degli ordinativi di acquisto avrebbe richiesto comunque il passaggio della merce nella disponibilità materiale dell’indagata prima della successiva consegna agli acquirenti e d’altra parte la presenza “fisica” della merce contraffatta nei locali sequestrati non ha nulla di “virtuale”.
Peraltro, la professionalità con cui la ricorrente esercitava la sua attività commerciale, anche alla stregua delle sue stesse deduzioni (ma il tribunale del riesame sottolinea la ben maggiore organizzazione dell’attività illecita rilevabile dai contatti della ricorrente con fornitori stranieri) postula costanti flussi di rotazione delle giacenze, talchè l’impiego dei locali sequestrati per la custodia della merce non potrebbe ritenersi nemmeno provvisorio od occasionale, senza dire che lo stesso ricorso ad immobili “privati”, cioè non riconoscibili come adibiti ad un’attività commerciale, rispondeva ad evidente esigenze di “clandestinità”.
2. Ma se il vincolo pertinenziale tra gli immobili e gli oggetti del reato sussiste, non potrebbe comunque farsi questione, nella specie, della sua concreta “intensità”, ai fini della valutazione dell’opportunità del sequestro.
La giurisprudenza citata dalla ricorrente fa riferimento ai casi di confisca facoltativa, nei quali si richiede in effetti, quando le corrispondenti misure di cautela reale colpiscano un immobile, l’esistenza di un’indefettibile correlazione tra l’immobile medesimo e la realizzazione dell’attività illecita, non essendo sufficiente che esso sia il luogo ove si commette il reato, in astratto realizzabile anche altrove (Corte di Cassazione nr 36201 del 24/09/2010 Musacchio).
Nel caso di specie, però, il tribunale del riesame ha correttamente fatto riferimento alla disposizione dell’art. 474 bis c.p., secondo cui nei casi di cui agli artt. 473 e 474 c.p. è sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti.
La norma ha quindi introdotto, come esattamente rilevano i giudici del tribunale, un’ipotesi di confisca obbligatoria relativamente a situazioni che altrimenti rimarrebbero regolate dall’art. 240 c.p., comma 1, imponendo caso per caso un’indagine circoscritta esclusivamente alla configurabilità del rapporto tipico previsto dalla legge tra cosa sottoposta a sequestro e reato, senza margini di discrezionalità sull'”opportunità” della misura cautelare reale in rapporto all’eventuale “eccesso di tutela” dei corrispondenti interessi social preventivi.
E al riguardo, è stato ad esempio già ritenuto nella giurisprudenza di questa Corte, che in tema di commercio di prodotti con segni falsi, il veicolo utilizzato per il trasporto dei medesimi di cui sia stato disposto il sequestro probatorio non può essere restituito all’esito del giudizio di riesame del decreto che ha imposto il vincolo cautelare, proprio perchè si tratta di bene di bene destinato a confisca obbligatoria ex art. 474 bis c.p. (Cass. Sez. sez. 2, n. 35029 del 26/05/2010 Imputato: Capriello e altro).
Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese.