(Cass. Sezione IV Penale, 16 ottobre – 21 dicembre 2012, n. 49810)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco – Presidente –
Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere –
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) OMISSIS;
2) OMISSIS;
avverso la sentenza n. 258/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 19/04/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Baglione Tindari, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. OMISSIS che riportandosi ai motivi ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
Con sentenza del 19/4/2011 la Corte d’appello di Salerno confermava nei confronti di OMISSIS e OMISSIS la sentenza del Tribunale di Sala Consilina con la quale gli stessi imputati, sottoposti a giudizio a seguito di una vasta indagine concernente traffico di sostanze stupefacenti di vario genere coinvolgente numerosi altri imputati, erano stati condannati, entrambi con l’attenuante di cui al D.P.R. 309/90 art.73 , n. 5 ritenuta prevalente sull’aggravante di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 6 e la recidiva, il OMISSIS alla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione e Euro 6.000,00 di multa per due reati in continuazione relativi a episodi di detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina e il OMISSIS alla pena di anni 1 di reclusione e Euro 3.000,00 di multa per il reato di detenzione e vendita di 35 flaconi di metadone.
Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati. Deducono l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Previo rilievo dell’inutilizzabilità delle intercettazioni e della trascrizione delle medesime per mancata autorizzazione all’accesso ai nastri magnetici oggetto di trascrizione da parte del GUP, con conseguente violazione del diritto di difesa alla stregua dei parametri indicati da C. Cost. 336/2008, censurano la sentenza per aver fondato la decisione sul riconoscimento fonico effettuato in modo empirico dagli agenti di PG senza far ricorso ai mezzi tecnici previsti dalla legge e senza riferimento all’esistenza di altri elementi di prova a conforto.
Per il OMISSIS, specificamente, s’invoca l’applicazione dei principio del ne bis in idem o della continuazione, con riferimento ad altro episodio di reato analogo commesso in data , reato per il quale il predetto era stato condannato con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare il 19/1/2007.
In ordine al rilievo concernente la presunta nullità conseguente alla mancata autorizzazione all’accesso ai nastri magnetici oggetto di trascrizione, si evidenzia un palese vizio di autosufficienza del ricorso. L’accesso alle registrazioni, infatti, è consentito al difensore a seguito di proposizione di espressa istanza, da formulare in relazione a scadenze processuali predeterminate (si veda in proposito S.U. 20300/2010). Orbene, nel caso in esame non è stata fornita indicazione alcuna riguardo alla necessaria richiesta di accesso che sarebbe stato necessario avanzare in garanzia dell’esercizio, nei tempi prescritti, dell’attività difensiva di cui si lamenta la violazione. Nella stessa sentenza d’appello (pg 41), anzi, si da atto che una richiesta di tal genere “non è evincibile, alla luce degli atti a disposizione di questa AG”, con la conseguenza che non è ravvisarle “alcuna violazione del diritto di difesa, soccorrendo, allo scopo, il disposto dell’art. 268 c.p.p., comma 8”.
Le affermazioni richiamate non sono state contestate con il ricorso, nè è stato integrato l’onere di allegazione in ordine all’eventuale istanza necessaria per l’esercizio dell’attività difensiva di cui si discute, talchè ogni doglianza inerente alla violazione del diritto di difesa per mancato accesso alle trascrizioni delle conversazioni merita rigetto.
Quanto al rilievo circa il riconoscimento fonico mediante metodo “empirico”, si richiama il principio enunciato da Cass. n. 17619 dell’08/01/2008: “In tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze che consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivata. (Fattispecie in cui l’individuazione è avvenuta tenendo conto dei nomi e dei soprannomi delle persone menzionate nel corso dei colloqui, nonchè sulla base del riconoscimento delle voci da parte del personale di polizia giudiziaria, che le aveva ascoltate e individuate nel corso di precedenti intercettazioni)”.
Nella specie i giudici del merito, di primo e secondo grado, hanno logicamente argomentato riguardo ai presupposti di identificazione dei protagonisti delle conversazioni intercettate. Hanno rilevato i giudici che le identificazioni sono avvenute da parte del personale di PG “quando gli imputati si esprimevano piuttosto liberamente utilizzando propri nomi e facendo riferimenti espliciti anche ai contenuti delle conversazioni. Anche in seguito, peraltro, i soggetti intercettati si sono proposti nel corso delle conversazioni intercorse con familiari o conoscenti, non attinenti alla vicenda processuale, fornendo indicazioni sulla stessa identità, quali nomi o soprannomi o altre circostanze di fatto utili alla loro identificazione, sicchè sono risultati facilmente riconoscibili e identificabili”. In ragione della congrua e logica motivazione a sostegno dell’avvenuto riconoscimento fonico, la relativa doglianza va rigettata.
Quanto al motivo dedotto dal solo OMISSIS, si osserva che la Corte d’Appello ha rigettato il motivo d’impugnazione articolato sul punto specifico rilevando che il fatto per cui si procedeva nei confronti dell’imputato era certamente differente rispetto a quello per il quale in data 19/1/2007 era stata emessa sentenza dal Giudice per le Indagini Preliminari di Sala Consilina. Ha rilevato la Corte di merito che dal confronto tra le due decisioni si evinceva che le imputazioni, pur concernendo cessioni di metadone, si riferivano a fatti diversi, essendo intervenuta quella oggetto del giudizio per cui si procedeva a seguito di accordo perfezionatosi il 28/10/2006, per un quantitativo di sostanza e ad un prezzo diverso rispetto a quella oggetto del giudizio del GUP in data 19/1/2007.
Ha evidenziato, inoltre, che nella motivazione del GUP si dava atto che vi era stata altra analoga operazione di cessione di metadone in epoca antecedente al 28/10/2006, soggiungendo che “le molteplici analogie ed il ristretto intervallo temporale tra i due episodi inducono a ritenere quanto meno ravvisabile il medesimo disegno criminoso, ma le relative conseguenze non possono essere affermate in questa sede atteso che non risulta che la sentenza del GUP di Sala Consilina sia passata in giudicato”.
A tal proposito è da rilevare che, sulla scorta delle indicazioni offerte dal ricorrente, è stato possibile accertare che in data 22/9/2011, decidendo nel procedimento n. 4612/2011, questa Corte ha pronunciato ordinanza con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal V. avverso la sentenza che in appello aveva confermato la condanna a lui inflitta in primo grado dal Gup di Sala Consilina. Ne consegue che, ferma restando la diversità dei fatti criminosi considerati e la inapplicabilità del principio del ne bis in idem, si deve rilevare che, ancorchè in precedenza non sussistessero gli estremi per l’applicazione della continuazione tra la pena inflitta con la sentenza impugnata in questa sede e quella, passata in giudicato, relativa all’episodio di cessione di stupefacente avvenuto il e per la quale vi era stata condanna, tali estremi oggi si ravvisano a seguito del passaggio in giudicato della indicata sentenza. Va richiamato in proposito il principio espresso da Cass. n. 7316 del 20/7/1996 (RV205811): “La continuazione può essere applicata per la prima volta in sede di legittimità, qualora venga richiesta allegando una sentenza passata in giudicato dopo la pronuncia della decisione impugnata, in quanto non si è modificato il quadro normativo al riguardo nel vigore del nuovo codice di rito, giacchè la disciplina contemplata dall’art. 671 c.p.p., in sede esecutiva ha carattere sussidiario ed incontra alcune limitazioni ( artt. 187 e 188 disp att c.p.p. e art 671 c.p.p.) insussistenti in sede cognitiva. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha osservato che “tuttavia l’omesso passaggio in giudicato della sentenza prodotta e l’assenza di ogni allegazione tale da consentire l’accertamento dell’unicità del disegno criminoso inducono a ritenere infondato detto motivo, fatta salva la possibilità di più idonea dimostrazione in sede esecutiva)”.
Pertanto, al fine di consentire, in base al menzionato principio e in presenza dei presupposti, l’applicazione della continuazione in relazione ai reati sanzionati con le due sentenze richiamate, la sentenza impugnata va annullata nei confronti del V. limitatamente al punto in questione, con rinvio al giudice del merito per nuova decisione al riguardo e rigetto dell’impugnazione nel resto. Il ricorso va, invece, dichiarato inammissibile nei confronti del OMISSIS. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla sanzione pecuniaria ex art. 616 c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso di OMISSIS, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di OMISSIS limitatamente al punto concernente la continuazione tra reati, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli.
Rigetta nel resto tale ricorso.