Affinché possa configurarsi il reato di abusiva attività finanziaria, di cui all’art. 132 D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (T.U. in materia bancaria e creditizia), è indispensabile che l’agente ponga in essere una delle condotte indicate dall’art. 106 del medesimo decreto (concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, assunzione di partecipazioni, prestazione di servizi a pagamento, intermediazioni in cambi) in forma professionale, organizzata, su scala imprenditoriale e rivolgendosi al pubblico, atteso che solo tali modalità attuative della condotta, in quanto idonee a indurre un rilevante fattore di turbativa nel mercato finanziario, realizzano quella latitudine di gestione che ne evidenzia la pericolosità e la rilevanza penale.

In questa prospettiva, deve escludersi che la condotta di affiliati ad associazione di tipo mafioso che offrano prestiti di modiche somme a tassi usurari possa integrare, di per sé, il reato de quo, non potendosi ritenere che la partecipazione all’associazione illecita integri, per ciò solo, l’elemento dell’organizzazione, che costituisce uno dei requisiti essenziali che devono caratterizzarela condotta del reato di abusiva attività finanziaria.
Diversamente opinando, del resto, si arriverebbe alla non condivisibile affermazione secondo cui ogni usuraio, se affiliato a un sodalizio illecito, debba essere chiamato a rispondere sempre e comunque del reato di abusiva attività finanziaria, a prescindere dalla presenza in concreto degli elementi costitutivi del reato, e cioè organizzazione, professionalità e offerta al pubblico, inteso quest’ultimo requisito come manifestazione di apparenza dimostrativa di struttura e organizzazione di impresa.
(Cass. Pen. Sez. V, sentenza 17 settembre – 1 dicembre 2009, n. 46074)

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