La circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso (art. 3 D.L. n. 122 del 1993, conv. in l. n. 205 del 1993), sussiste non solo quando il reato sia rivolto ad un appartenente al popolo discriminato ma anche quando sia indirizzato a coloro che, per le più diverse ragioni, siano accomunati dall’agente alla essenza e ai destini del detto popolo (nel caso di specie la Corte ha ritenuto configurata l’aggravante in questione rispetto al reato di minacce rivolte nei confronti di un professore di storia delle persecuzioni razziali antisemite, avvenute in Italia durante l’occupazione nazista, a cui erano stati prospettati alcuni mali ingiusti, rientranti nel genere di quelli praticati in un lager nazista).
(Cass. Sezione V Penale, 19 ottobre 2011 – 12 gennaio 2012, n. 563)

Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quinta Penale
Sentenza 19 ottobre 2011 – 12 gennaio 2012, n. 563

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio – Presidente
Dott. DUBOLINO Pietro – Consigliere
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1)  (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1228/2008 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 14/12/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/10/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VOLPE Giuseppe che ha concluso per il rigetto.
Propone ricorso per cassazione OMISSIS avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste in data 14 dicembre 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado di condanna in ordine ai reati di minacce aggravate dalla finalità dell’odio razziale, molestie e procurato allarme presso l’Autorità, fatti del 2007.
Era stato accertato che risultavano effettuate da una utenza Tim. intestata all’imputato, alcune telefonate registrate dalla segreteria telefonica della persona offesa, contenenti la prospettazione di vari mali ingiusti, tra i quali la inflizione di punizioni del genere di quelle(stupro etnico razziale) praticate nel lager nazista della risiera di San Saba.
La persona offesa, fatta bersaglio anche di precedenti telefonate, era una docente di storia, occupatasi anche delle persecuzioni razziali antisemite avvenute in Italia durante la occupazione nazista, come quella, appunto di San Saba.
Deduce:
1) il vizio di motivazione sulla responsabilità.
La sentenza aveva mal valorizzato i pochi indizi derivanti dalla istruttoria.
In particolare aveva liquidato il particolare di assoluto rilievo dell’essere, il numero dal quale provenivano le telefonate incriminate, in vigenza tanto per il gestore Telecom, tanto per il gestore Wind, con due diversi intestatari.
Non si comprendeva dunque la ragione della ritenuta responsabilità del ricorrente, quando vi era altro utilizzatore della medesima utenza.
Era stato anche dato rilievo ad una dato erroneo come quello dell’indirizzo al quale le fatture della Wind erano inviate:
indirizzo non pertinente al OMISSIS.
In tale situazione di incertezza il giudice avrebbe dovuto esperire una perizia fonica relativa alla voce registrata;
2) il vizio di motivazione sulla configurata circostanza aggravante speciale. La Corte di merito aveva valorizzato una giurisprudenza superata, essendo stato rilevato, da quella più recente, che l’odio razziale deve essere manifesto nella espressione utilizzata.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo è inammissibile per genericità in quanto costituisce la riproposizione del corrispondente motivo di appello, al quale la Corte ha già dato una congruente risposta, per nulla aggredita con il presente gravame.
I giudici hanno cioè sottolineato come il dato della possibile equivocità della paternità della condotta incriminata sia stato ampiamente superato alla luce della istruttoria esperita. Istruttoria che ha dimostrato che dalla stessa utenza utilizzata per il messaggio erano partite anche telefonate a persone legate manifestamente alla persona del ricorrente, come la moglie di costui. Inoltre la persona offesa aveva evidenziato di essere stata raggiunta altre precedenti volte da espressioni moleste ed intimidatorie dello stesso OMISSIS, quando costui si trovava ristretto nel carcere di Padova.
Non vi è dunque spazio e fondamento per effettuare una plausibile denuncia di vizio di motivazione in relazione a quella offerta dalla Corte di merito, motivazione che, sotto il profilo in esame, non è suscettibile di ulteriore sindacato.
Infondato è l’ulteriore motivo di gravame.
Ha osservato questa Corte che la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile, non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, al pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente (Rv. 244822).
Nel caso di specie, è stato accertato che la frase incriminata aveva il significato di rappresentare alla persona offesa il male ingiusto di un potenziale stupro legato concettualmente a quello inflitto nei campi di concentramento nazisti, espressamente menzionati ed oggetto degli studi e delle attenzioni scientifiche della insegnante e quindi ad esprimere il sentimento di odio per la razza perseguitata dal nazismo.
Giova sottolineare che la interpretazione qui data alla L. n. 205 del 1993, art. 3 (cd. Legge Mancino), ossia quella dell’essere l’aggravante in esso prevista, integrata quando il reato (nella specie minacce) sia stato commesso con finalità di odio razziale e religioso, rivolto, non solo ad un appartenente al popolo ebraico in quanto tale, ma anche a coloro che vengono dall’agente accomunati, per le più diverse ragioni, alla essenza e ai destini della detta compagine etnica e razziale, appare conforme sia alla lettera, che alla ratio della legge, ispiratasi come è noto alla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, ratificata in Italia con L. n. 654 del 1975. La legge di ratifica ha invero inteso, con la fissazione di apposite figure di reato, ribadire la punizione, tra l’altro, della diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero dell’incitamento a commettere o della commissione di atti di violenza o provocazione alla violenza per motivi razziali,etnici, nazionali o religiosi (art. 3).
Aderendo alla Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazionerazziale, aperta alla firma a New York, infatti, gli Stati contraenti si erano impegnati (art. 4 Conv.) a dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonchè ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica.
La legge Mancino del 1993 – nella dichiarata volontà di dare attuazione al menzionato art. 4 della Convenzione (così testualmente all’art. 1, comma 1) – ha voluto ampliare la gamma delle condotte fino ad allora punibili e consistenti, tra l’altro – per quanto concerne le forme attinenti alla propaganda – nella diffusione o nell’incitamento a comportamenti fondati sull’odio razziale, creando la circostanza aggravante dell’art. 3, che è contestabile in relazione alla consumazione di qualsiasi reato commesso con la detta finalità (diverso da quelli puniti con la pena dell’ergastolo) e che sia ovviamente diverso da quelli specificamente previsti come reato in sè dalla stessa Legge Mancino.
Per tale ragione la giurisprudenza più recente (si vedano Sez. 5, Sentenza n. 37609 del 11/07/2006 Cc. (dep. 15/11/2006) Rv. 235199; Sez. 5, Sentenza n. 38591 del 23/09/2008 Ud. (dep. 13/10/2008) Rv.242219; Sez. 5, Sentenza n. 9381 del 20/01/2006 Ud. (dep. 17/03/2006) Rv. 233891; Sez. 5, Sentenza n. 38597 del 09/07/2009 Ud. (dep. 05/10/2009) Rv. 244822) che ha analizzato la detta circostanza aggravante ha escluso che costituisca elemento caratterizzante quello della diffusione dell’odio o dell’incitamento ad esso, ossia della percepibilità all’esterno della manifestazione di odio razziale o etnico o religioso dovendosi considerare che una simile accezione del precetto – oltre ad essere superflua tutte le volte in cui la diffusione o l’incitamento costituirebbero in sè reato – lo renderebbe inapplicabile ad una serie cospicua di reati (quelli cioè che si svolgono in assenza di persone diverse dall’agente e della persona offesa) senza che una simile volontà legislativa sia desumibile dalla norma, invece di amplissimo respiro, e senza oltretutto che la differenziazione possa apparire ragionevole, tenuto conto che l’odio e la discriminazione razziale ben possono connotare azioni anche gravissime che però si svolgano in un contesto privato.
Ma un simile rilievo è destinato a ripercuotersi anche sulla soluzione della questione che qui più direttamente interessa e cioè quella del se “la finalità di odio etnico” che deve caratterizzare la condotta costituente in sè reato, perchè sussista l’aggravante dell’art. 3, debba intendersi nel senso di mirare a colpire direttamente la persona offesa dal reato, quale oggetto dell’odio o della discriminazione razziali, ovvero a colpirla anche solo indirettamente quale soggetto legato a vario titolo e per varie ragioni, dall’agente, ai destini del bersaglio principale: in altri termini; se possa ritenersi ricompresa nella finalità di odio e di discriminazione etnici o razziali la condotta di chi, nel minacciare, manifesti odio, come nella specie, nei confronti del popolo ebraico ed esultanza per le persecuzioni di cui è stato vittima e trasponga tale manifestazione anche nei confronti di chi (vedi la odierna parte lesa) viene indicata dal giudice del merito non come appartenente a quel popolo, ma ugualmente da odiare e da discriminare perchè ritenuta dal OMISSIS portatrice delle stesse responsabilità e meritevole della stessa drammatica sorte, in quanto vicina, per studi e per scelta professionale, alle vicende del popolo ebraico. Sul punto occorre peraltro essere più chiarirai momento che deve escludersi che il quesito sia posto in relazione alla finalità di odio determinata da motivi intellettuali. Non è cioè in discussione se la aggravante possa trovare applicazione quando la persona offesa dal reato sia odiata per le idee che professa: in tal caso si entrerebbe infatti, senza ombra di dubbio,in un campo diverso da quello dell’odio o della discriminazione razziali intesi come distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, per entrare nel campo del confronto di idee con le relative e reciproche delimitazioni stabilite dal legislatore.
Il quesito si è posto invece in quanto la vittima, nel caso di specie, è stata oggetto di condotta finalizzata dall’odio razziale come essere “simile” o “da paragonare” agli ebrei per la scelta di campo effettuata nella professione.
Ebbene, ha ritenuto questo Collegio che, anche nel caso in esame, debba trovare applicazione la circostanza aggravante in esame perchè è indubbio che la condotta minacciosa tenuta dal ricorrente sia stata mossa esattamente dalla finalità di esprimere alla vittima odio razziale, essendo del tutto indifferente la ragione per la quale, nelle intenzioni personali dell’agente, la persona offesa sia stata ricompresa da quello nel bersaglio della propria volontà di odio e discriminazione del genere detto.
In tale prospettiva, giova ricordare una precedente sentenza di questa Corte che in materia ha osservato come ciò che rileva, ai fini che qui ci occupano, è che la espressione dell’agente si rapporti nell’accezione corrente ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, nè a tal riguardo, ha rilievo la mozione soggettiva dell’agente, considerato che l’accertamento sulla idoneità potenziale dell’azione a conseguire lo scopo discriminatorio deve essere parametrato, non già all’idoneità occasionale del fatto a conseguire ulteriore disvalore, ma al dato culturale che lo connota(Sez. 5, Sentenza n. 9381 del 20/01/2006 Ud.(dep. 17/03/2006) Rv. 233891 Presidente: Lattanzi G. Estensore:Rotella M.). Il bene giuridico tutelato dal reato in esame e cioè quello di minacce aggravato dall’art. 3, deve intendersi, in conclusione, si, la libertà morale della vittima, ma inteso come patrimonio individuale, che viene particolarmente offeso a causa della inclusione, vera o errata che sia, o della assimilazione a classi di persone che sono fatte segno di odio e di un trattamento deteriore, differenziato in ragione della razza o della etnia o della religione di appartenenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

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