Va dichiarata inammissibile (perché carente di motivi specifici) l’impugnazione che, contravvenendo alla sua funzione di critica argomentata del provvedimento impugnato, non contiene l’enunciazione di precise ragioni di dissenso rispetto alle argomentazioni poste a fondamento di quel provvedimento (fattispecie relativa ad appello contro ordinanza del magistrato di sorveglianza concernente una misura di sicurezza).

(Tribunale di Sorveglianza di Torino, ordinanza 19 giugno 2013, Giudice rel. Vignera)

TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI TORINO

 

IL TRIBUNALE

il giorno 19-06-2013 in TORINO si è riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti:
Dott. Viglino Marco – Presidente
Dott. Vignera Giuseppe – Giudice rel.
Dott. Campisi Paolo – Esperto
Sott. Zara Giorgia – Esperto
con la partecipazione del Dott. BURDINO  GIANFRANCO, Sost. Procuratore Generale presso la Corte di Appello di TORINO, per deliberare sulla Impugnazione contro provvedimento in materia di misura di sicurezza, presentata da S.  T.,       nato a XXXX  (TUNISIA) il XXXXX,   detenuto presso la Casa Reclusione di ALESSANDRIA – STRADA CASALE N. 50/A ALESSANDRIA, difeso dall’Avv. F. C. del foro di Novara, di fiducia, condannato con Sentenza N. 2008/3848 Reg. Gen., emessa in data 24-10-2008 dalla Corte D’Appello di TORINO, che ha confermato quella emessa in data 25-01-2008 dal GIP presso il Tribunale Ordinario  di NOVARA.

FATTO E DIRITTO

1. – Con sentenza in data 2 maggio 2006 la Corte di Appello di Torino (in parziale riforma di quella emessa il 19 ottobre 2005  dal GIP del Tribunale di Novara) dichiarava S. T. B. T. colpevole di cinque delitti ex art. 73 DPR 309/1990  (commessi tra l’ottobre ed il novembre 2006 ed unificati con il vincolo della continuazione) e lo condannava alla pena di anni 5, mesi 5, giorni 10 di reclusione e 18.000,00 euro di multa, applicandogli altresì la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato ex art. 86 stesso DPR.
Tale sentenza veniva inserita nel provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino, che unificava la predetta pena con le altre inflitte al predetto con due successive condanne pronunciate per fatti specifici consumati dal S.  sino al 30 giugno 2007 in Novara ed altri comuni piemontesi.
In previsione della data di cessazione della pena detentiva (fissata per l’8 ottobre 2013), il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria il 28 marzo 2013 procedeva al riesame della pericolosità sociale del detenuto ex art. 679 c.p.p. e, ritenendola attuale, disponeva l’applicazione della suindicata misura di sicurezza in considerazione delle seguenti circostanze:
–    la gravità dei fatti criminosi commessi dal predetto tra il 2004 ed il 2007;
–    l’avere consumato i delitti accertati con le ultime due sentenze in epoca immediatamente successiva alla fine dell’esecuzione della pena inflittagli con la prima condanna (che era avvenuta anticipatamente per la fruizione dell’indulto), così dimostrando di non avere alcuna intenzione effettiva di reinserirsi nella legalità;
–    l’esistenza di irrisolte problematiche tossicologiche (riferite dallo stesso interessato e per le quali aveva preso contatti con il SERT subito interrotti);
–    il suo probabile inserimento nel mondo della criminalità, desunto dalla tipologia dei reati commessi e sostanzialmente ammesso dallo stesso detenuto (il quale ha riferito che a seguito dell’assunzione di sostanze stupefacenti “sarebbe entrato nel giro dello spaccio”);
–    l’assenza di revisione critica in ordine ai fatti criminosi (avendo egli negato ogni responsabilità rispetto ai reati accertati con le ultime due sentenze);
–    l’assenza di effettivi sostegni esterni (avendo indicato come unica risorsa ad hoc il fratello, che peraltro era stato indagato nel 2008 per detenzione a fini di spaccio di stupefacenti e per ricettazione di un ciclomotore), stante altresì la separazione dalla moglie (cittadina italiana) e la decadenza dalla potestà genitoriale sul figlio minore (che il Tribunale per i Minorenni di Torino nel 2006 aveva collocato in una Casa famiglia di XXXX);
–    l’assenza di permesso di soggiorno;
–    l’insufficienza (rispetto al “corposo” quadro negativo sopra delineato) della regolarità della condotta intramuraria e della fruttuosa partecipazione ai corsi di giardinaggio e di agricoltura, ragione per la quale gli erano stati pure negati permessi premiali.
Avverso tale provvedimento ha proposto impugnazione il Difensore, il quale, senza muovere alcuna censura all’analitica ed argomentata motivazione del primo Giudicante, si è limitato a dire che i reati sono risalenti nel tempo, che il  S. ha fruito della liberazione anticipata, che lo stesso ha aderito ai progetti trattamentali e che può contare sull’accoglienza del fratello.
Poiché la dichiarazione di impugnazione non contiene alcuna critica nei confronti del provvedimento impugnato, all’odierna udienza si è eccepita preliminarmente ex officio l’inammissibilità della stessa per mancata enunciazione di motivi specifici ex artt. 581, comma 1, lettera c), e 591, comma 1, lettera c), c.p.p.
2. – L’impugnazione va dichiarata inammissibile.
Si osserva, anzitutto, che coessenziale al concetto stesso di impugnazione è quello di critica (o di censura) nei confronti del provvedimento impugnato (cfr. esemplificativamente Cass. pen., Sez. VI, sentenza 11 marzo 2009 n. 20377: “È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso”; nello stesso senso v. Cass. pen., Sez. V, sentenza 27 gennaio 2005 n. 11933, Giagnorio ed altro; Cass. pen., Sez. VI, sentenza 7 aprile 1988 n. 12023, D’Alterio).
Ciò è tanto vero che si è soliti distinguere le impugnazioni a critica libera [con le quali si può denunciare un qualsivoglia vizio (error) dell’atto impugnato, in iudicando e/o in procedendo) (tipicamente ed esemplificativamente l’appello] dalle impugnazioni a critica vincolata [con le quali si possono far valere solo determinati vizi previsti dalla legge (com’è per esempio il ricorso per cassazione)].
Proprio per questa sua funzione (di critica argomentata del provvedimento gravato), ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione è di regola necessaria (tranne le ipotesi eccezionali espressamente previste dalla legge: tipicamente, la richiesta di riesame ex art. 309 c.p.p.) l’enunciazione di motivi specifici: cioè, di precise ragioni di critica e/o di dissenso rispetto all’atto impugnato [v. per il processo civile gli artt. 342, comma 1, e 366, comma 1, n. 4, c.p.c.; e per il processo penale l’ancor più generale previsione ex artt. 581, comma 1, lettera c), e 591, comma 1, lettera c), c.p.p.].
Da tutto ciò deriva la necessità che alle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato vengano contrapposte dall’impugnante altre e diverse argomentazioni dirette ad infirmare la validità logico-giuridica delle ragioni addotte dal primo Giudicante ed ipoteticamente giustificanti l’annullamento o la riforma del suo provvedimento.
Conseguentemente, vanno considerate inammissibili impugnazioni che non contengono alcuna valutazione critica delle ragioni prospettante nel provvedimento gravato [v. in tal senso Cass. pen., Sez. IV, sentenza 1° aprile 2004 n. 24054, Distante: “In tema di impugnazione il requisito della specificità dei motivi, richiesto tassativamente dall’art. 581 c.p.p. a pena di inammissibilità, implica a carico della parte impugnante non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere su uno o più punti determinati della decisione gravata, ma anche quello di indicare con chiarezza e precisione gli elementi alla base delle censure, in modo da consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi proposti ed esercitare quindi il proprio sindacato”; e più recentemente Cass. pen., Sez VI, sentenza  18 dicembre 2012 n. 1770, P.G. in proc. Lombardo (“In tema di impugnazione, i motivi di appello devono essere specifici allo stesso modo di quanto richiesto per il ricorso in cassazione e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie”); Cass. pen., Sez. VI, sentenza 9 gennaio 2013 n. 5879, Delle Grottaglie e altri (“È inammissibile, per genericità del motivo, il ricorso per cassazione che, denunciando il difetto di motivazione della sentenza di appello per omesso o manifestamente illogico o contraddittorio confronto con le ragioni esposte dal primo giudice a sostegno della decisione integralmente riformata, non proceda ad autonoma critica indicando, specificamente e con illustrazione delle ragioni della decisività, i passaggi della sentenza di primo grado ignorati o confrontati in modo manifestamente illogico o contraddittorio”); e Cass. pen., Sez. VI, sentenza 6 febbraio 2003 n. 13261, Valle ed altri: “Per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il ‘punto’ che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame”].
Orbene!
Poiché l’odierna dichiarazione di impugnazione manca di un qualsivoglia contenuto critico (né esplicito né implicito) nei confronti dei singoli “passaggi argomentativi” dell’impugnato provvedimento, essa va dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

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