La nozione di “privata dimora” è sicuramente più ampia di quello di “abitazione,” contemplata dal previgente art. 625 c.p., comma 1, n. 1, e comprende qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o delle attività lavorative, culturali, professionali.
In tale novero rientrano, dunque, anche gli esercizi commerciali, dovendosi, perciò, ritenere la configurabilità del reato di cui all’art. 624 bis c.p..
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 14 novembre 2009 – 10 gennaio 2010, n. 43452
1. Il 17 febbraio 2008 il Tribunale di Civitavecchia, a seguito di giudizio abbreviato, condannava [OMISSIS] ed [OMISSIS], riconosciute loro le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva a pene ritenute di giustizia, per imputazione di cui agli artt. 81 cpv, 110 e 624 bis c.p., art. 625 c.p. n.2.
Si contestava agli imputati di essersi, in concorso tra loro, impossessati di alcuni oggetti (due magliette, un pantalone, due felpe), prelevandoli all’interno di un esercizio commerciale [OMISSIS], previa asportazione dei dispositivi antitaccheggio.
Sul gravame degli imputati, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 4 luglio 2008, riconduceva il fatto nella previsione di cui all’artt. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2, conseguentemente riducendo la pena inflitta dal primo giudice, e confermava nel resto.
Ritenevano i giudici del merito che non poteva trovare applicazione il disposto dell’art. 624 bis c.p., perchè questo “riguarda soltanto i furti commessi in abitazione e quelli con strappo, non quelli in locali diversi dall’abitazione”.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, denunziando il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 624 bis c.p.. Deduce che illegittimamente era stata esclusa la riconducibilità del fatto alla previsione del citato art. 624 bis c.p.p., dovendo “ritenersi luogo destinato in tutto od in parte a privata dimora qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, come studi professionali, stabilimenti industriali ed esercizio commerciali”.
Motivi della decisione.
3. Il ricorso è fondato.
Invero, il previgente art. 625 c.p., comma 1, n. 1, (nella sua lettura antecedente alla novella di cui alla L. 26 marzo 2001, n. 128, art. 2), in tema di aggravanti del reato di furto, faceva riferimento alla introduzione o trattenimento “in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione”.
L’art. 624 bis c.p., introdotto con la precitata novella normativa, configura ora autonome figure di reato e fa riferimento (oltre alla ipotesi di furto con strappo) al furto commesso “mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”. Appare, perciò, evidente l’ampliamento della portata della previsione, facendosi ora riferimento alla “privata dimora” piuttosto che all’ “abitazione”.
Secondo quanto ha più volte avuto occasione questa Suprema Corte di rilevare (già prima della novella in questione in tema di furto, a proposito del reato di cui all’art. 614 c.p.), la nozione di “privata dimora” è sicuramente più ampia di quello di “abitazione” e comprende qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o delle attività lavorative, culturali, professionali (cfr. ex plurimis, Cass., Sez, 4^, 16 aprile 2008, n. 20022; id. Sez. 5^, 18 settembre 2007, n. 43089; id., Sez. 4^, 26 febbraio 2003, n. 18810; id., Sez. 4^, 17 settembre 2003, n. 43671; id., Sez. 1^, 9 maggio 1979, n. 8458; id., Sez. 5^, 28 ottobre 1983, 10331; id., Sez. 5^, Sez. 5^, 14 maggio 1981, 5767). In tale novero rientrano, dunque, anche gli esercizi commerciali, dovendosi, perciò, ritenere la configurabilità del reato di cui all’art. 624 bis c.p., come nella specie originariamente contestato.
4. Qualificato il fatto di reato come violazione dell’art. 624 bis c.p., e art. 625 c.p., n. 2, la sentenza impugnata va, dunque, annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata, qualificato il fatto contestato come violazione dell’art. 624 bis c.p., e art. 625 c.p., n. 2, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.