Azione civile nel processo penale e decesso imputato

In tema di azione civile esercitata nel processo penale, deve ritenersi che la morte dell’imputato, intevenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione, unitamente al rapporto processuale penale, anche di quello civile inserito nel processo penale: l’esistenza e la permanenza in vita dell’imputato, infatti, fungono da presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale anche civilistico, essendo di certo inapplicabili in sede penale gli istituti civilistici della successionenel processo (articolo 110 c.p.c.), dell’interruzione del processo (articolo 299 e seguenti c.p.c.) e della sua estinzione (articoli 307 e seguenti c.p.c.).

Cosicché, cessando ogni rapporto processuale nei confronti dell’imputato nel processo penale (per il suo venir fisicamente meno), viene a cessare anche quell’elemento di collegamento che consentiva di far accedere a quello il rapporto processuale civile nei suoi confronti; conseguenza, questa, che esplica i suoi effetti anche nei confronti del responsabile civile, atteso che la posizione di questo (soggetto che, a norma delle leggi civili, deve rispondere per il fatto dell’inputato: articolo 185 c.p.; “responsabile civile per il fatto dell’imputato”: articolo 83, comma 1, c.p.p.) è intimamente connessa e collegata a quella dell’imputato.

Per l’effetto, la morte dell’imputato determina, in ragione della rilevata cessazione del rapporto processuale, l’inammissibilità del gravame proposto dalla parte civile, senza che, peraltro, vi sia da statuire sulle spese, giacché, qualora la causa di inammissibilità sopravvenga alla rituale proposizione del gravame, non consegue alla relativa dichiarazione la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria alla cassa delle ammende.