Non commette il reato di calunnia, in quanto condotta rientrante nei limiti del diritto di difesa, l’indagato che, in sede di interrogatorio, abbia contestato la veridicità di una relazione di servizio redatta dalla polizia giudiziaria allorquando non abbia allegato rilievi determinati e circostanziati idonei a sostenere l’ipotesi della falsità dell’atto.
(Cass. Sezione VI Penale, 11 dicembre 2012 – 15 gennaio 2013, n. 1767)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGINIO Adolfo – rel. Presidente –
Dott. CORTESE Arturo – Consigliere –
Dott. LANZA Luigi – Consigliere –
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) OMISSIS;
2) OMISSIS;
avverso la sentenza n. 180/2010 CORTE APPELLO di CALTANISSETTA, del 08/03/2011;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2012 la relazione fatta dal Presidente Dott. ADOLFO DI VIRGINIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. STABILE Carmine che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Ricorrono di persona OMISSIS e OMISSIS, con mezzi di impugnazione distinti ma sostanzialmente identici nel contenuto, avverso sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta in data 8.3.2011, che aveva confermato la loro condanna per il reato di cui all’art. 368 c.p.. Come risulta dalla sentenza, il 13 gennaio 2006 gli imputati erano stati tratti in arresto, insieme con tale OMISSIS come sospetti autori di una rapina commessa presso una agenzia bancaria della zona. Secondo la prima segnalazione, i rapinatori si erano allontanati a bordo di una autovettura Fiat “Punto” di colore blu, della quale era stato rilevato il numero di targa. Gli operanti riuscirono ad avvistare e ad intercettare l’autovettura, sulla quale viaggiavano i due OMISSIS e il OMISSIS. Ognuno di essi venne trovato in possesso di oltre duemila euro in banconote di diverso taglio, il cui importo complessivo corrispondeva al provento della rapina; e tutti e tre vennero tratti in arresto. In sede di interrogatorio di garanzia OMISSIS si protestò estraneo alla rapina e negò il possesso del danaro. Le sue dichiarazioni trovarono avallo in quelle di OMISSIS. Secondo i giudici di merito, con tali dichiarazioni gli attuali ricorrenti avevano implicitamente incolpato gli operanti, autori della relazione di servizio che attestava il rinvenimento del danaro in tasca a OMISSIS e del verbale di sequestro della somma, di falsità ideologica in atto pubblico; nè poteva essere fondatamente invocato l’esercizio del diritto di difesa, in cui non rientra la falsa incolpazione di persone che si sanno innocenti.
Deducono i ricorrenti inosservanza dell’art. 51 c.p. e manifesta illogicità della motivazione, relativamente sia al profilo obiettivo sia al profilo soggettivo del reato. Essi non avevano formulato alcuna accusa di falso nei confronti degli operanti; ed anzi, avevano affermato di non sapersi spiegare la ragione per cui a OMISSIS, che a differenza degli altri due arrestati si era dichiarato estraneo alla rapina, fosse stato attribuito il possesso del danaro. La condotta loro attribuita rientrava quindi nel legittimo esercizio del diritto di difesa.
I ricorsi si debbono ritenere fondati. Ed invero, il possesso di una somma notevole di danaro costituiva indubbiamente prova evidente e indiscutibile della partecipazione alla rapina commessa poco prima; e pertanto la negazione della circostanza equivaleva ad una sostanziale protesta di innocenza e costituiva esercizio del diritto di difesa, anche astraendo da qualsiasi considerazione circa la sua pur evidente inattendibilità. E’ vero, d’altronde, che l’esercizio del diritto di difesa non scrimina l’incolpazione calunniosa di altre persone; ma ciò non significa che la contestazione di circostanze attestate in atti di polizia giudiziaria equivalga automaticamente ad un’accusa di falsità in atto pubblico ed altrettanto automaticamente comporti la responsabilità del suo autore per il reato di calunnia. Questa Corte (Sez. 6, 14.1995 n. 5789) ha già affermato che non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che, in sede di interrogatorio, qualifichi implicitamente falso un atto di polizia giudiziaria per contestare la veridicità di circostanze di fatto aventi valenza indiziante a suo carico, sempre che le sue dichiarazioni costituiscano mezzo necessario di confutazione dell’imputazione ponendosi in rapporto funzionale con l’accusa nei suoi confronti. Si è affermato parimenti (ibidem, 8.2.2001 n. 131118) che è scriminata dall’esercizio del diritto di difesa la condotta calunniosa dell’imputato quando questi rivolge ai suoi accusatori rilievi non determinati e circostanziati e comunque non esorbitanti dall’economia processuale, vale a dire strettamente correlati all’esigenza di difendersi dall’imputazione. Ciò posto, la genericità assoluta della contestazione della veridicità del verbale, non accompagnata da allegazioni meglio determinate atte a rafforzare l’ipotesi della falsità dei verbali solo implcitamente prospettata attraverso la negazione del possesso del danaro, non consente di ritenere che la condotta incriminata esorbiti dall’esercizio del diritto di difesa, così come affermato nella sentenza impugnata. Ne deriva senz’altro la non punibilità dei ricorrenti.

PQM

la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

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