L’intercettazione ambientale a mezzo captatore informatico inoculato in Italia ed eseguita anche all’estero per lo spostamento della persona intercettata, non richiede l’attivazione di una rogatoria, atteso che l’installazione del captatore avviene in territorio nazionale e la captazione nei suoi sviluppi finali e conclusivi si realizza in Italia attraverso le centrali di ricezione che fanno capo alla Procura della Repubblica.
(Cass. Sez. 2^ Pen. – sentenza 22/07-22/10/2020, n. 29362)
I dati provenienti dal captatore informatico devono essere cifrati e devono transitare su un canale protetto sino al server della Procura che è il primo ed unico luogo di memorizzazione del dato. Ogni file è dunque cifrato e reca una password diversa rispetto a quella utilizzata per la memorizzazione sul server; ne consegue che ogni file per essere ascoltato deve essere decripato.
Deve, quindi, ritenersi che, nella specie, la registrazione della conversazioni tramite wi-fi sito in Canada abbia costituito una fase intermedia di una più ampia attività di captazione iniziata ed oggetto registrazione, nella sua fase finale e conclusiva, sul territorio italiano, infatti, al di là dei dettagli tecnici, ciò che rileva è che, in ultima analisi, l’ascolto delle conversazioni avvenga in Italia su apparecchi collegati ad un gestore italiano e la cui captazione ha avuto origine sul territorio italiano.
In conclusione l’atto investigativo risulta, comunque, compiuto sul territorio italiano.
Premesso che la procedura di cui all’art. 727 e ss. cod. proc. pen. riguarda esclusivamente gli interventi da compiersi all’estero e che, quindi, richiedono l’esercizio della sovranità propria dello Stato estero e che, conseguentemente, non è ipotizzabile alcuna rogatoria per un’attività di fatto svolta in Italia e, quindi, ivi autorizzata e realizzata secondo le regole del codice di rito, deve ritenersi che quando il captatore informatico sia installato in Italia, e la captazione avvenga, di fatto, secondo le modalità sopra indicate e richiamate nel provvedimento impugnato in Italia attraverso le centrali di ricezione ivi collocate, la sola circostanza che le conversazioni siano state eseguite, in parte, all’estero e ivi “temporaneamente” registrate tramite wi-fi locale a causa dello spostamento del cellulare sul quale è stato inoculato il trojan non può implicare l’inutilizzabilità della intercettazione per difetto di rogatoria.
Appare mutuabile alla fattispecie in esame il principio di diritto secondo cui l’intercettazione di comunicazioni tra presenti eseguita a bordo di una autovettura attraverso una microspia installata nel territorio nazionale, dove si svolge altresì l’attività di captazione, non richiede l’attivazione di una rogatoria per il solo fatto che il suddetto veicolo si sposti anche in territorio straniero ed ivi si svolgano alcune delle conversazioni intercettate. (Sez. 2, n. 51034 del 04/11/2016 – dep. 30/11/2016, Potenza e altri, Rv. 26851401).
Poiché, come detto, il captatore è stato installato in Italia e la captazione, nei suo sviluppi finali e conclusivi è avvenuta in Italia, attraverso le centrali di ricezione facenti capo alla Procura di Reggio Calabria, la sola circostanza che le conversazioni captate siano state (in parte) eseguite all’estero per lo spostamento dell’ apparecchio e del suo utilizzatore è ininfluente per ritenere la necessità della rogatoria, non potendosi, nel caso di intercettazione ambientale su strumento mobile conoscere tutti gli spostamenti, così vanificandosi le finalità del mezzo di ricerca della prova.
Non può del resto non considerarsi che lo strumento dell’intercettazione ambientale mediante “captatore informatico” è per sua stessa natura itinerante, in quanto l’attività di captazione segue tutti gli spostamenti nello spazio dell’utilizzatore.