La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa.
Ai fini della necessaria verifica in concreto della offensività della contestata condotta di coltivazione, non è sufficiente considerare il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, dovendosi esaminare anche quale sia l’estensione della coltivazione, il livello di strutturazione di tale coltivazione al fine di verificare se da essa possa o meno derivare una produzione di sostanza stupefacente esulante rispetto all’autoconsumo ma potenzialmente idonea ad incrementare il mercato.
(Cass. Sezione III Penale, 27.3.15-2.11.2015, n. 43986)


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente –
Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 1494 della Corte di appello di Firenze, del 5 maggio 2014;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DELEHAYE Enrico, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 5 maggio 2014, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Livorno, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato OMISSIS alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, avendolo riconosciuto responsabile della violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere egli coltivato due piante di canapa indiana, atte alla produzione di sostanza stupefacente, per avere detenuto circa gr 6 di sostanza stupefacente ottenuta dalla essiccazione dei fiori di canapa indiana, nonchè gr. 18,9 di cocaina, occultata quest’ultima nel cruscotto della sua vettura.
Proponeva ricorso per cassazione il OMISSIS, lamentando, quanto alla coltivazione di piante atte alla produzione di stupefacente, la mancanza di offensività della condotta ascrittagli data la sua modestia, tale da giustificare la destinazione all’esclusivo uso personale del prodotto ricavabile da essa.
Eccepiva, altresì, la illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui era desunta la destinazione della cocaina allo spaccio dal fatto che la stessa era incompatibile con l’uso personale, sia per la sua quantità sia perchè le condizioni economiche del prevenuto non ne giustificavano la possibilità di procurarsi scorte di stupefacente.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato nei limiti che saranno di seguito precisati.
Osserva, infatti, la Corte che il prevenuto ha impugnato la sentenza della Corte territoriale toscana sotto due profili, il primo avente ad oggetto la qualificazione entro l’ambito del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 sia pure con riferimento alla ipotesi di cui al comma 5 di tale disposizione, dell’attività di coltivazione di n. 2 piantine di canapa indiana; il secondo concernente la dedotta manifesta illogicità dell’affermata destinazione allo spaccio della cocaina rinvenuta all’interno della autovettura da lui condotta.
Prendendo le mosse dalla prima censura ricorda questa Corte che la giurisprudenza in ordine alla rilevanza penale della coltivazione di piante atte alla produzione di sostanze stupefacenti non è sempre stata univocamente indirizzata; è, infatti, in essa rinvenibile l’esistenza di un orientamento più rigoroso secondo il quale, in relazione alla condotta in questione, non essendo requisito necessario ai fini della integrazione del reato la destinazione della sostanza in tal modo ricavabile alla cessione verso terzi, pur potendo il dato ponderale di questa assumere rilevanza al fine di fornire indicazioni sull’offensività della condotta, quest’ultima non può, tuttavia, non può essere a priori esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti siano inferiori alla “dose media singola”, ma soltanto quando essi risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 14 (Corte di cassazione, Sezione 4 penale, 22 ottobre 2013, n. 43184; idem Sezione 6 penale, 19 dicembre 2013, n. 51497; idem Sezione 3 penale, 19 novembre 2014, n. 47670).
Secondo un altro orientamento, che questo Collegio ritiene di dovere condividere in quanto più rispettoso sia della ratio della norma (volta ad evitare che, tramite la coltivazione, si creino ex novo sostanze stupefacenti estendendone l’offerta e la diffusione presso terzi) sia del principio secondo il quale non costituisce reato la detenzione di stupefacente destinato all’autoconsumo, la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (Corte di cassazione, Sezione 6, 30 luglio 2014, n. 33835); si è altresì, precisato che ai fini della necessaria verifica in concreto della offensività della contestata condotta di coltivazione, non è sufficiente considerare il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, dovendosi esaminare anche quale sia l’estensione della coltivazione, il livello di strutturazione di tale coltivazione al fine di verificare se da essa possa o meno derivare una produzione di sostanza stupefacente esulante rispetto all’autoconsumo ma potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 29 maggio 2013, n. 23082).
Applicando siffatti principi alla fattispecie in esame, rileva la Corte che i giudici del merito, in particolare la Corte territoriale toscana, pur rilevata la estrema modestia della coltivazione, hanno ritenuto che la stessa integrasse gli estremi del delitto sulla base del rilievo, del tutto inappagante, che “la modalità di consumazione del reato evidenzia una pericolosità sociale di elevato grado” (non è neppure ben chiaro se il riferimento valga a connotare il soggetto agente ovvero la condotta da questo posta in essere).
La circostanza che non sia stata affatto valutata, se non nei descritti inadeguati termini, la possibilità che, data la modestissima rilevanza quantitativa della piantagione (si tratta di due piantine ancorchè mature), la sostanza da essa prodotta, in quanto destinata all’autoconsumo, non avesse neppure in minimo grado l’attitudine ad incrementare il mercato degli stupefacenti, rende manifestamente illogico, in quanto fondato su dati privi di significatività, il ragionamento accusatorio svolto dalla Corte di Firenze.
Sul punto, pertanto, la sentenza deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.
Infondata è, invece, la seconda ragione di impugnazione fatta valere dal ricorrente.
Perfettamente congruo è il ragionamento svolto dai giudici del gravame nel ritenere non attendibile la dichiarazione resa del D. L. in ordine alla destinazione all’uso personale del quantitativo di cocaina rinvenuto nella vettura da lui condotta al momento dell’intervento delle forze dell’ordine.
Invero depongono in senso decisamente sfavorevole alla tesi difensiva del prevenuto, come coerentemente segnalato nella sentenza impugnata, sia il quantitativo non indifferente di sostanza stupefacente (quasi 19 gr), sia il fatto che, attese le condizioni economiche del OMISSIS, il quale non risultava, per come incontestatamente riferito dalla Corte di appello, svolgere alcuna attività lavorativa, non era logicamente possibile per questo dotarsi di una scorta di stupefacente (il cui valore è stato dallo stesso dichiarato in oltre 1000,00 Euro), se non al fine di cederne almeno una parte, onde rientrare della non trascurabile somma da lui spesa per l’acquisto della sostanza rinvenuta.
Il secondo motivo di impugnazione deve, pertanto, essere rigettato, stante la piena adeguatezza al riguardo della motivazione della sentenza di condanna pronunziata dalla Corte di appello.
La decisione impugnata deve pertanto essere annullata, senza rinvio quanto alla condanna relativa alle condotte di coltivazione delle piante di canapa indiana, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze quanto alla rideterminazione della pena, tenuto conto sia del parziale venir meno della continuazione interna, sia della sopravvenuta modificazione legislativa, in forza della quale, la dosimetria della pena appare, quanto alla entità pena detentiva irrogata, motivata in termini apodittici e, quanto alla pena pecuniaria, commisurata, in assenza di adeguata motivazione, in misura apparentemente prossima, quanto alla pena base, al massimo edittale.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla coltivazione, perchè il fatto non sussiste e rinvia in ordine al trattamento sanzionatorio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.