Il Tribunale Regionale per l’Emilia Romagna ha stabilito il principio secondo cui gli studi legali (di norma luoghi privati) diventano “aperto al pubblico”, quando l’avvocato chieda di essere iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio e di coloro che prestano il patrocinio a carico dello Stato: tali servizi hanno infatti un pubblico indistinto, di cittadini non abbienti le cui ragioni risultino non manifestamente infondate a parere della specifica Commissione prevista dal Decreto del presidente della Repubblica 115/2002. Ciò significa che quando l’avvocato accetta (mediante volontaria iscrizione negli elenchi specifici) le difese di ufficio ed i patrocini gratuiti, presta la propria utilità in favore di un’ampia ed indiscriminata categoria di aventi diritto. Quindi, a fronte del vantaggio di un compenso corrisposto dallo Stato, il professionista ha l’onere di adeguare il proprio studio alla normativa statale finalizzata ad eliminare le barriere architettoniche.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
[OMISSIS]sul ricorso numero di registro generale 154 del 2007, proposto da:

Ordine degli Avvocati di Parma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Adriano Coruzzi e Maurizio Palladini, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Parma, vicolo dei Mulini, 6;

contro

Comune di Parma, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Cugurra, Marina Cristini, Salvatore Caroppo e Laura Maria Dilda, con domicilio eletto presso gli uffici dell’avvocatura comunale in Parma, Repubblica 1;

Amministrazione Provinciale di Parma, non costituita in giudizio;
per l’annullamento

della la delibera del Consiglio Comunale del Comune di Parma n. 6/2 del 22 gennaio 2007 e della delibera n. 102/20 del 12 giugno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Parma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell’udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2013, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO

Il ricorrente Ordine degli Avvocati di Parma ha impugnato la delibera del Consiglio Comunale n. 6/2 del 22 gennaio 2007 e la presupposta delibera n. 102/20 del 12 giugno 2006, rispettivamente di adozione e di approvazione della variante all’art. 66bis del RUE, nella parte in cui tale norma ricomprende, tra gli edifici aperti al pubblico, ai fini dell’applicazione della disciplina per il superamento delle barriere architettoniche, anche gli studi professionali degli avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio e al gratuito patrocinio.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, con memoria di stile, chiedendo la reiezione del ricorso.
All’udienza pubblica del 9 ottobre 2013, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è affidato a 4 motivi con i quali la parte ricorrente, nel dedurre il vizio di violazione di legge, segnatamente dell’art. 24 L. 104/92, dell’art. 82 del D.P.R. 380/2001, dell’art. 97 c.p.p. e degli artt. 74 e 80 del D.P.R. 115/2002, nonché di eccesso di potere per irragionevolezza e per disparità di trattamento, in sintesi si duole del fatto che, basandosi sull’erroneo presupposto di fatto che gli studi professionali dei difensori d’ufficio e al gratuito patrocinio siano luoghi di accesso indiscriminato al pubblico, la norma regolamentare comunale impone ai titolari dei predetti studi oneri di adeguamento strutturale costosi ed eccessivamente gravosi.
Il Comune, a dire della parte ricorrente, avrebbe ignorato il dato indefettibile che, viceversa, si tratterebbe di proprietà private il cui accesso ben può, dal singolo professionista, essere limitato ai propri assistiti ovvero essere inibito a persone non gradite.
L’errore in cui sarebbe incorsa l’amministrazione, sempre secondo la parte ricorrente, sarebbe l’aver confuso la funzione pubblicistica dell’avvocato, che resta pur sempre un privato professionista anche quando svolge funzioni di difensore d’ufficio o difende persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato, con la qualificazione dello studio in cui egli esercita la professione quale luogo aperto al pubblico.
Ulteriore motivo di gravame è, infine, l’avere il Comune trascurato le garanzie partecipative che, viceversa, avrebbero impedito l’adozione di una delibera in totale difetto di istruttoria.

In vista della discussione la parte ricorrente non ha prodotto ulteriori scritti difensivi.
Il Comune ha svolto difese sintetiche.
Il ricorso è infondato.

L’art. 82 del Testo unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001), che ripropone il testo dell’art. 24 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, sotto la rubrica “Eliminazione o superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico”, stabilisce che tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l’accessibilità e la visitabilità, sono eseguite in conformità alle norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche e al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.
Tale decreto ministeriale, nel dettare prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche, all’art. 3, per quanto in questa sede di interesse, precisa: “In relazione alle finalità delle presenti norme si considerano tre livelli di qualità dello spazio costruito. L’accessibilità esprime il più alto livello in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato. La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. La adattabilità rappresenta un livello ridotto di qualità, potenzialmente suscettibile, per originaria previsione progettuale, di trasformazione in livello di accessibilità; l’adattabilità è, pertanto, un’accessibilità differita”.
Il punto nodale della questione sottoposta all’esame del Collegio è, dunque, se lo studio professionale di un avvocato iscritto all’elenco dei difensori di ufficio o che difende soggetti ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato possa considerarsi luogo aperto al pubblico.
Ciò in quanto tale qualificazione degli studi professionali comporterebbe l’applicazione della disciplina dettata dal richiamato art. 3 del DM 236/1989 e, segnatamente, del comma 4, laddove alla lett. e) la norma precisa i requisiti che le unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico devono possedere affinché possa dirsi soddisfatto il prescritto requisito della “visitabilità”.
Il Collegio ritiene che, ai fini dell’applicazione della disciplina concernente l’eliminazione delle barriere architettoniche, la nozione di luogo aperto al pubblico debba essere adoperata in senso elastico, ossia in modo tale da ricomprendere anche un ambiente privato l’accesso al quale, pur escluso alla generalità delle persone, sia consentito ad una determinata categoria di aventi diritto sebbene regolato da orari di apertura e chiusura o da eventuale appuntamento.
Ciò posto è indubbio che, in linea generale, lo studio professionale dell’avvocato debba qualificarsi come luogo aperto al pubblico e debba soddisfare il requisito della visitabilità, come normativamente tratteggiato.
Nel caso di specie, peraltro, l’impugnata norma comunale, non riguarda tutti gli studi professionali ma soltanto quelli di alcune categorie di professionisti.
Invero, all’esito di osservazioni proposte dai Presidenti dell’Ordine degli Architetti, dell’Ordine degli Ingegneri e dell’Ordine dei Geometri della Provincia di Parma (cfr. Estratto del processo verbale n. 2 del C.C. 22 gennaio 2007, pag. 3), la norma ha limitato la censurata prescrizione soltanto agli studi professionali “quando il professionista si legato da convenzione pubblica e/o ad una funzione istituzionale in forza della quale riceva un pubblico indistinto”, indicando fra questi, a titolo esemplificativo, anche gli “avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio e al gratuito patrocinio”.
In proposito va ricordato che il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, all’art. 74 dispone che è assicurato il patrocinio a spese dello Stato sia nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria, sia nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.
Inoltre, in base all’art. 97, comma 5, c.p.p., segnatamente il difensore di ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo.
La stessa norma, a tal fine, al comma 2 prevede che siano i consigli dell’ordine forense di ciascun distretto di corte d’appello, al fine di garantire l’effettività della difesa d’ufficio, deputati a predisporre gli elenchi dei difensori che, a richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, sono indicati ai fini della nomina, fissando i criteri per la nomina dei difensori sulla base delle competenze specifiche, della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità.
Osserva il Collegio che, in entrambi i suddetti casi il difensore, se si eccettua la caratteristica dell’obbligatorietà che connota la sola difesa d’ufficio, è chiamato a prestare la propria attività professionale in favore di una ampia e indiscriminata platea di aventi diritto.
L’avvocato, dunque, esercita in detti casi un munus pubblicum di particolare interesse per la collettività, al quale accede poiché iscritto in appositi elenchi, l’inserimento nel quale avviene a domanda dell’interessato e non certo d’ufficio, né in via autoritativa.
L’appartenenza alle suddette categorie professionali, in definitiva, è il frutto di una libera scelta del professionista; scelta che, da una parte comporta il vantaggio della corresponsione del compenso da parte dello Stato, dall’altra impone al professionista l’onere di adeguare il proprio studio professionale alla normativa statale finalizzata all’eliminazione delle barriere architettoniche.
Così riguardata la funzione in discorso, l’impugnata norma regolamentare comunale non appare né illogica né irragionevole, né appare il frutto di un distorto esercizio del potere.
D’altra parte richiedere la visitabilità quale livello di fruizione degli edifici, anche con riguardo agli studi professionali e, segnatamente, delle con riguardo agli studi delle suindicate circoscritte categorie di avvocati, risulta in linea con la ratio della normativa in tema di abolizione delle barriere architettoniche, ditalchè l’impugnata disciplina regolamentare si profila immune anche dal proposto vizio di violazione di legge.
Non vi è dubbio che la ratio della legge sia quella di garantire anche al soggetto disabile la possibilità di usufruire, nella massima autonomia possibile, delle prestazioni rese dal professionista presso il proprio studio, senza che ciò incontri limiti o impedimenti derivanti dall’esistenza di barriere architettoniche.

Gli esaminati motivi di ricorso sono, dunque, infondati.
Infondato è, inoltre, l’ulteriore motivo con cui la parte ricorrente lamenta la violazione della garanzie partecipative.

La censura è smentita per tabulas essendo agli atti, come già visto, che l’Ordine degli Architetti l’Ordine degli Ingegneri e l’Ordine dei Geometri della Provincia di Parma hanno potuto partecipare al procedimento presentando osservazioni che il Comune ha poi recepito nella delibera di approvazione.
Invero la delibera consiliare di adozione della variante al RUE ha seguito la procedura di cui all’art. 33 L.R. 20/2000; di conseguenza l’Ordine degli Avvocati ricorrente ben avrebbe potuto partecipare al procedimento come hanno fatto i predetti Ordini professionali.
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio, nei confronti della parte costituita, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione distaccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di Parma, di spese e competenze del giudizio che liquida in complessivi € 3.000,00 (tremila), oltre rimborso forfetario spese generali, CA e IVA come per legge.

Nulla nei confronti della Provincia di Parma, non costituita in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.