Differenza tra minaccia e induzione nel nuovo reato di concussione
Di converso, stante il già detto ambito residuale della norma, compie il reato di cui all’art. 319 quater chi per ricevere indebitamente le stesse cose prospetta una qualsiasi conseguenza dannosa che non sia contraria alla legge.
Nella prima ipotesi il pubblico ufficiale rappresenta che egli, violando la legge, recherà un detrimento, nella seconda che questo detrimento deriva o è consentito dall’applicazione della legge. Nella prima ipotesi v’è costrizione della vittima perché si è impiegata una minaccia.
Nella seconda ipotesi non può parlarsi di minaccia perché il danno non sarebbe iniuria datum e perciò la costrizione è mancata, ma essendosi ciononostante raggiunto il risultato, il soggetto è stato comunque indotto alla promessa o alla consegna indebita.
(Cass. Sezione VI Penale, 22 gennaio 2013, n. 3251)
Suprema Corte di Cassazione
Sezione Sesta Penale
Sentenza 22 gennaio 2013, n. 3251
Con sentenza del 17 giugno 2011 la Corte di Appello di Roma, parzialmente riformando la decisione di primo grado, ha assolto R.R. dal reato di concussione di cui al capo B della rubrica, confermando il giudizio di responsabilità reso dal primo giudice in ordine al capo A e per l’effetto condannando l’imputato alla pena di giustizia – condonata – perché colpevole del reato di concussione tentata ai danni di C.S.
2. In primo grado il Tribunale di Cassino aveva concluso per la ascrivibilità all’imputato di entrambe le ipotesi delittuose oggetto di imputazione. La prima imputazione afferiva (capo a della rubrica) al fatto in forza al quale il R. , abusando dei suoi poteri – nella qualità di Sindaco di Comune di (…) – avrebbe chiesto ad un imprenditore, C.S. , il pagamento della somma di Euro 100.000, in alternativa minacciando il sistematico rinvio, da parte della Commissione edilizia, della trattazione delle richieste di due permessi per costruire, riguardanti due fabbricati nella disponibilità del C. , situati, per l’appunto, nel Comune di Pontecorvo; condotta questa posta in essere veicolando la richiesta tramite l’originario coimputato P. , nella sua qualità di tecnico incaricato dal C. della redazione dei progetti relativi ai suddetti immobili e di poi assolto dal Tribunale dalla contestazione ascrittagli perché il fatto non costituisce reato.
2.1 Quanto al secondo capo di imputazione (capo B) – relativo ad accadimenti precedenti, sul piano cronologico, rispetto a quelli esposti in fatto al capo A – al R. veniva addebitato, sempre in forza di un contestato abuso di poteri correlati alla qualità di Sindaco, di aver fatto in modo che tutte le richieste presentate dal C. al Comune di (…) fossero rigettate, nonché che un terreno di proprietà dello stesso C. fosse trasformato da edificabile in area destinata ad attrezzature di pubblico servizio, così da indurre la persona offesa a consegnargli in tre occasioni la somma di 10.000 Euro al fine di ottenere dal Comune gli atti concessori necessari per lo svolgimento della propria attività; dazione apparentemente motivata dall’opera di intermediazione svolta dal R. per la compravendita di alcuni cespiti immobiliari il cui acquisto era stato per l’appunto sollecitato dall’imputato.
3. Interposto appello, la Corte territoriale assolveva il R. in punto al capo B della rubrica perché il fatto non sussiste.
3.1 Riteneva in particolare il Giudice distrettuale non adeguatamente comprovato il narrato della persona offesa in ordine ai pregressi comportamenti posti in essere dal R. in punto agli affermati atteggiamenti ostativi al libero esercizio della sua attività di impresa oltre che in ordine al coinvolgimento dello stesso avuto riguardo ai diversi acquisti in ragione dei quali il C. avrebbe effettuato, a titolo di intermediazione, i pagamenti di cui agli importi indicati in contestazione; riteneva, soprattutto, la Corte territoriale non riscontrato l’abuso intimidatorio posto a supporto e fondamento della contestata concussione concretatasi in siffatte elargizioni.
3.2 Quanto, invece, alla contestazione di cui al capo al capo a), la Corte di Appello finiva per asseverare il percorso motivazionale tracciato dal Tribunale, modificandone il tenore nella sola parte afferente il rilievo probatorio da ascrivere alla registrazione fonetica allegata dal C. a supporto della querela originariamente proposta. Registrazione – inerente un colloquio intercorso con il P. , registrato senza che questi ne fosse consapevole, nel corso del quale il suddetto aveva modo di ribadire il tenore della minaccia profferita dal R. in punto al prospettato rallentamento dell’attività della commissione edilizia in ipotesi di mancato pagamento della somma di Euro 100.000,00 – che il Giudice distrettuale privava di valenza probatoria relegandone il rilievo al solo ruolo di riscontro di dati già probatoriamente acquisiti per altra via individuata, per converso, nelle propalazioni dibattimentali del C. e del P. , ritenuti entrambi attendibili avuto riguardo a siffatta vicenda, malgrado le diverse obiezioni sollevate in senso opposto dalla difesa con i motivi di appello.
4. Avverso la decisione della Corte di Appello di Roma il R. propone due diversi ricorsi, l’uno a firma degli avvocati R. B. e I. C., difensori di fiducia nei pregressi gradi di giudizio, l’altro a firma dell’avvocato C. T.
5. Prendendo le mosse dal ricorso a firma degli avvocati B. e C., va evidenziato che lo stesso risulta composto da due motivi, il primo dei quali declinato su più punti comunque tutti ricondotti all’egida della violazione di legge processuale e sostanziale e vizio di motivazione. Si adduce, più in particolare, difetto assoluto di motivazione avuto riguardo alla omessa presa in considerazione delle doglianze difensive esposte con l’appello, aventi tutte valenza decisiva; ancora, violazione dell’art. 192 cpp in relazione alla esposizione ed al coordinamento del materiale indiziario posto a fondamento del giudizio di responsabilità; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo alla ritenuta sussistenza della condotta storica addebitata, alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie nonché in tema di attendibilità della deposizione della persona offesa e del coimputato P. oltre che in tema di riscontri. Mancata assunzione di una prova decisiva. Violazione di legge in punto alla ritenuta configurabilità nel caso di specie dell’ipotesi delittuosa di cui agli artt. 56 e 317 cpp laddove invece il fatto andava ascritto alla diversa egida di cui all’art. 322 cpp e vizio di motivazione, mancante, manifestamente illogica e contraddittoria sempre in punto alla configurazione della tentata concussione in luogo della istigazione alla corruzione anche in relazione alla ritenuta legittimità delle richieste della persona offesa alla luce delle risultanze della consulenza tecnica urbanistica allegata in atti.
5.1 Con il primo punto viene evidenziata la contraddittorietà della decisione impugnata a fronte della ribadita attendibilità ascritta alla persona offesa ed al suo narrato malgrado siffatta valutazione fosse stata posta in discussione, se non apertamente smentita, dallo stesso Collegio giudicante in ordine alle circostanze di fatto sottese al capo di imputazione per il quale il R. era stato mandato assolto. Ciò in funzione di una valutazione atomistica e frazionata delle dinamiche in fatto a dimostrazione del difetto di una articolata comprensione della vicenda processuale.
5.2 Si adduce ancora contraddittorietà del percorso logico motivazionale nella parte in cui per un verso si nega valenza probatoria alla registrazione del colloquio C. /P. e per altro verso se ne recupera rilievo sul versante del riscontro a quanto già probatoriamente acquisito per altra via (affermazione, quest’ultima, in sé, intrinsecamente illogica giacché ciò che è acquisito non necessita di riscontro alcuno), finendo comunque, a fronte di una tacciata inattendibilità dell’atto, per ascrivere allo stesso un ruolo nel processo con riferimento a quei tratti della registrazione che “evidenziano la genuinità della incisione e che non si perdono tra l’originale e la copia del file”. Si sottolinea, ancora, la rilevanza da ascrivere alla registrazione in considerazione della lamentata manipolazione del contenuto della stessa, affermazione difensiva, quest’ultima, frutto di diverse evidenze segnalate nel corso del processo, tutte pretermesse nel motivare della Corte territoriale; evidenze che in sede di appello avevano trovato sponda iniziale nell’accertamento peritale all’uopo disposto dalla Corte anche sul punto senza che tuttavia al relativo quesito sia mai stata data risposta per avere, per un verso, il perito nominato affermato di non possedere le dovute competenze tecniche e la Corte, senza motivazione alcuna e in aperta contraddizione con la scelta processuale originariamente tracciata, tralasciato incomprensibilmente siffatto approfondimento istruttorio, palesemente rilevante, per contro, nell’ottica del rilievo da ascrivere alla attendibilità della persona offesa. Ed infine, sempre avuto riguardo al tema della registrazione, si lamenta la illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui se ne afferma la genuinità sul presupposto legato a massime di esperienza (i rumori che dimostrerebbero l’occultamento del microfono nel cappotto e la distanza del registrante dall’interlocutore) che costituirebbero piuttosto mere congetture.
5.3 Deduce ancora la difesa, sempre con il primo motivo di ricorso, la mancanza di motivazione in punto alle molteplici obiezioni mosse in ordine alla attendibilità del P. in se ed al suo narrato avuto riguardo in particolare alla certezza storica del dato afferente il dubbio tenore della richiesta ascritta alla intenzione del R. ; dubbi in risposta ai quali la Corte si sarebbe insufficientemente limitata a sottolineare due momenti del propalato (l’invito del R. rivolto nell’occasione al P. a lasciare fuori dalla stanza il cellulare e l’aver scritto l’importo oggetto della somma da consegnare su un foglio di carta poi strappato) ritenuti decisivi malgrado i palesati profili di contrasto caduti sulla attendibilità soggettiva del coimputato (mai approfondita) e sulla contraddittorietà del suo narrato.
5.4 Lamenta ancora la difesa la manifesta illogicità della motivazione ed ancora la contraddittorietà della stessa rispetto ad una acquisizione processuale di segno apertamente contrario in punto alla ritenuta configurabilità, nella specie, della tentata concussione. Depongono in tal senso l’illogica affermazione in ordine alla possibilità di influire, da parte del R. , sulla Commissione edilizia per il tramite di soggetto estraneo alla stessa, id est il responsabile dell’ufficio tecnico presente al secondo colloquio occorso tra il R. ed il P. , soggetto al quale l’imputato avrebbe rivolto il sollecito teso a rimandare la trattazione delle pratiche di interesse del C. . Illogicità resa ancora più manifesta dalla mancata assunzione della prova decisiva legata alla deposizione dei componenti della citata commissione, omissione anche questa utile ad inficiare la validità della decisione assunta. Ancora, viziata da illogicità si rivela essere la motivazione nella parte in cui giunge ad affermare, del tutto apoditticamente basandosi sulle mere affermazioni non veritiere del P. , oltre che in aperto contrasto con le risultanze della consulenza tecnica di parte, che le incongruenze dei progetti sottesi ai permessi di costruire di interesse del C. non costituivano ostacolo insormontabile ; ciò a fronte di evidenze tecniche, del tutto pretermesse, che giustificavano appieno il parere negativo della Commissione, escludendo in radice qualsivoglia pretesa soggettiva della persona offesa quanto ad un parere di segno positivo, non sufficientemente superate dalla considerazione, inconferente, resa dalla Corte territoriale in forza alla quale nella specie il pagamento della somma risultava subordinato non alla concessione del parere quanto al proseguire oltre della pratica.
5.5 Si deduce infine, sempre all’interno del complesso primo motivo di ricorso, violazione di legge avuto riguardo agli artt. 56 e 317 cp visti in correlazione con l’art. 322 cp: al fine si lamenta che l’assenza nella specie di qualsivoglia costrizione o induzione, non rintracciabile nella superiorità, nella influenza o nella autorità che il PU può vantare rispetto al privato, imponeva di riportare la condotta, se riscontrata siccome descritta nella imputazione, all’egida della istigazione alla corruzione propria o impropria di cui ai commi III e IV dell’art. 322 cp.
6. Con il secondo e ultimo motivo di ricorso si deduce violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui agli artt. 133, 62 bis e 163 cp oltre che difetto di motivazione: nel determinare la pena manca qualsivoglia motivazione in punto alla decisione adottata, avuto riguardo in particolare alla opportunità di superare i limiti di cui all’art. 163 in funzione della concessione della sospensione condizionale, giustificata nella specie dal comportamento processuale e dalla incensuratezza già presi in considerazione nel riconoscere le generiche.
7. Con il ricorso presentato a firma dell’avvocato T., l’imputato, seguendo una scia sostanzialmente analoga a quella già tracciata dal primo ricorso, articola quattro diversi motivi.
7.1 Con il primo, ricondotto all’egida della violazione di legge processuale avuto riguardo al tenore dell’art. 192 in particolare con riferimento alla valutazione, qualificazione e utilizzazione della registrazione effettuata dal C. del colloquio occorso con il P. , viene ribadita la contraddizione tra l’affermazione di partenza volta a privare di rilievo probatorio la registrazione in esame ed il concreto contegno motivazionale successivo, teso a riconsiderare la stessa quale momento di riscontro ad altri elementi di prova. Considerazione quest’ultima per più versi errata, non occorrendo le prove di riscontri e non potendosi ascrivere all’atto – in esito alle risultanze della perizia disposta in appello, non attendibile sotto diversi profili, non ultimo quello della stessa formazione cronologica – neppure valore di indizio. Esclusa la valenza probatoria della registrazione, ne consegue, nell’asserto difensivo un vuoto incolmabile in punto di prova quanto alla sussistenza del delitto tentato oggetto di imputazione, considerata la contraddittorietà e la lacunosità delle dichiarazioni del P. e della persona offesa secondo le considerazioni critiche già espresse con l’appello arbitrariamente pretermesse dalla Corte territoriale.
7.2 Si deduce ancora violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all’art. 317 cp e vizio di motivazione per aver riscontrato senza motivazione adeguata l’ipotesi della concussione tentata pur in assenza della prova legata alla induzione e/o alla costrizione. La decisione contestata si fonda sulla recuperata attendibilità del narrato della persona offesa, in precedenza negata avuto riguardo alla contestazione della concussione consumata; e in tale recupero di attendibilità, malgrado i profili di intrinseca contraddittorietà denunziati quanto al narrato della persona offesa anche in parte qua, si poggia sui riscontri garantiti dalla registrazione, per più versi considerata non utilizzabile, e sulle dichiarazioni del P. , coimputato, titolare di comprovate ragioni di credito nei confronti della persona offesa tali da ben motivare l’assunto, pure confermato in processo, della millantata attribuzione al R. di una richiesta di pagamento per altri versi aliunde non riscontrata e comunque anch’egli incerto in punto al tenore effettivo dell’asserito messaggio del quale si sarebbe fatto latore. Eliminati i riscontri resta la inattendibilità del narrato della persona offesa e dunque l’ambiguità degli elementi posti a fondamento del giudizio di responsabilità reso ai danni dell’imputato. La Corte sarebbe poi incorsa in un palese travisamento del fatto per il tramite del travisamento del materiale probatorio acquisito: le risultanze dibattimentali avrebbero dimostrato inequivocabilmente che il R. non ha influito sul ritardo nella trattazione dei progetti del C. sottoposti al vaglio della Commissione, esame rinviato solo per le palesi incongruenze che li caratterizzavano, tali da minare in radice la legittimità della pretesa del C. in ragione della quale questi invocava l’intercessione del R. , mai intervenuta.
7.3 Con il terzo motivo di ricorso adduce violazione di legge avuto riguardo all’art. 317 cp e difetto di motivazione concretati nel ritenere sussistente il tentativo di concussione e non in ultima analisi, una proposta di corruzione proveniente dal R. e non accettata dal C. , così da rimanere penalmente irrilevante. Partendo dal presupposto della illegittimità della pretesa del C. , pur a voler ritenere comprovata la richiesta del R. , alla stessa andava ascritto il significato di proposta volta al compimento di un atto contrario ai propri doveri d’ufficio (non l’accellerazione bensì l’acquisizione del parere favorevole della commissione) non accettata, neppure sul piano della mera proposta di dazione da parte del destinatario. Risulterebbe poi indimostrato il dato in forza al quale l’imputato avrebbe ostacolato l’approvazione dei progetti chiedendo alla commissione di indicare nuovi adempimenti. Piuttosto, ferma la presenza di ragioni concretanti la illegittimità della pretesa approvazione dei progetti, alla proposta del R. non poteva darsi altro significato che quello collegato alla corruzione propria nella quale il pactum sceleris non ebbe a consolidarsi per il rifiuto radicale del privato di soggiacere alla pretesa del PU.
7.4 Da ultimo si denunzia violazione della legge per la comminata applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici giusta l’art. 317 bis cp malgrado nella specie si versasse in ipotesi di mero tentativo e non di delitto consumato. L’art. 317 bis cpp limita l’applicazione della pena accessoria alla sola ipotesi della concussione consumata; il tentativo, ne resta invece escluso, considerata peraltro la sua assoluta autonomia che impedisce a monte la possibilità di una applicazione analogica in malam partem e ritenuto peraltro il minor disvalore che ne colora la condotta, tale da rendere logica la mancata applicazione di sanzioni maggiormente confacenti alla sola ipotesi del reato consumato.
8. I ricorsi sono fondati nei sensi e nei limiti qui di seguito precisati.
9. E’ infatti opportuno precisare che non tutte le censure mosse dalle difese avverso il tenore della motivazione sono meritevoli di accoglimento. In particolare, deve escludersi che possano ritenersi suscettibili di valutazione critica in questa sede – perché estranee a profili di illogicità manifesta – le considerazioni espresse in sentenza in risposta ai motivi di gravame afferenti i dubbi sulla attendibilità del P. avuto riguardo alla coerenza intrinseca delle relative dichiarazioni ed alla stessa credibilità soggettiva del coimputato ritenute, per contro, secondo un percorso logico non solo immune da vizi ma anche condivisibile, non adeguatamente sminuite (avuto riguardo al tenore delle osservazioni critiche formulate in sede di appello).
– dal contegno tenuto dal coimputato allorquando il R. ebbe a chiedergli le ragioni per le quali aveva veicolato al C. l’asserito messaggio concussivo, contegno ritenuto comunque esente da contraddizioni, per avere il P. in ogni caso rimarcato di essersi limitato a fungere da mero latore del messaggio destinato all’imprenditore suo cliente;
– dalle dimenticanze e dalla incongruenze tra quanto dichiarato in dibattimento e quanto propalato per iscritto al Gip in sede predibattimentale in ragione della evidenziata posizione processuale propria del dichiarante;
– dalla presenza di non meglio definite ragioni di credito connotanti i rapporti del dichiarante con il C. , che anche se riscontrate, non davano comunque conto di valide ed adeguate ragioni per addivenire alla prospettazione difensiva (in forza alla quale il P. avrebbe falsamente riferito al C. la richiesta di pagamento funzionale allo sblocco delle pratiche in commissione edilizia ascrivendone la paternità al R. quando invece l’intento, secondo l’assunto difensivo, era quello di recuperare il dovutogli dal C. ).
10. La motivazione, piuttosto, non è esauriente e appare illogica laddove, nel valutare l’attendibilità soggettiva del P. e quella intrinseca del suo narrato, viene richiamata, a fondamento del convincimento raggiunto in parte qua, una registrazione fonetica, in precedenza espunta dal materiale probatorio; di più e per altro verso, inficiando in radice l’intera valutazione resa sul punto, quando omette integralmente di prendere in considerazione i nodi critici sollevati con l’appello in punto alla eventualità legata alla possibile manipolazione di siffatta registrazione.
In sede di appello la difesa aveva sollevato analitici e dettagliati dubbi in ordine alla genuinità della registrazione segnalando la presenza di diversi elementi (desunti dalle dichiarazioni del C. e del P. oltre che dalle risultanze dell’accertamento tecnico riversato già in primo grado in punto alla esistenza di onde elettroacustiche anomale nel tracciato del suono) che, nell’asserto difensivo, lasciavano deporre per la presenza di manipolazioni comunque afferenti la formazione dell’atto in questione. Dubbi riproposti con l’odierno ricorso tramite la trascrizione integrale dell’appello con la contestuale lagnanza della assenza di motivazione sul punto.
Su tali profili critici, la Corte distrettuale ha omesso integralmente di prendere posizione alcuna, tralasciando del tutto il tema legato alla manipolazione della registrazione. Ed il silenzio sul punto finisce per assumere un rilievo ancor più marcato nell’ottica della completezza della motivazione laddove si presti attenzione al fatto che la Corte distrettuale aveva, in prima battuta, disposto un accertamento peritale volto anche ad acclarare la presenza di possibili riscontri tecnici in ordine ai palesati dubbi sulla manipolazione della registrazione; accertamento peritale in parte qua rimasto inesitato (per la incompetenza del perito all’uopo nominato rispetto al mandato conferito) senza che la Corte abbia dato ulteriore corso all’indagine originariamente ritenuta conducente, omettendo del tutto di specificare, per quel che qui immediatamente interessa, le ragioni di siffatta inversione di tendenza.
Ora se la valutazione legata alla attendibilità del P. e del C. costituisce, senza spazi al dubbio, un nodo centrale dell’intera vicenda processuale che occupa; se il rilievo da ascrivere alla detta valutazione mostra i segni della sua incidenza quanto più si considerino i dubbi sulla attendibilità della persona offesa siccome comunque emergenti, per forza di cose, dall’esito della decisione assunta sul capo b); se, ancora, la valutazione della attendibilità del P. costituisce anche un presupposto indefettibile per recuperare credibilità al narrato del C. ; se infine, anche smentita definitivamente solo la credibilità del C. , questa conclusione finisce per assumere rilievo nel regolamento probatorio che deve portare alla decisione; ecco allora che, in ragione di tali considerazioni, fondati o meno, i dubbi sulla possibile manipolazione della registrazione necessitavano di una risposta dettagliata da parte del Giudice distrettuale, mancando la quale risulta inficiata alla base la motivazione resa sulla attendibilità dei dichiaranti in genere.
È di tutta evidenza, infatti, che se riscontrata – in un giudizio di fatto che esula del tutto dalle valutazioni di questa Corte – siccome effettivamente manipolata la registrazione in oggetto, una valutazione siffatta è destinata ad incidere per forza di cose su quella legata alla attendibilità del C. , in primo luogo, ma potenzialmente anche su quella del P. , alla luce dei rilievi della difesa; con le ovvie conseguenze che infine siffatta valutazione pone sul piano del materiale probatorio destinato a costituire il fondamento del giudizio di responsabilità in ragione del disposto di cui all’art. 192 comma III cpp laddove a cadere sotto la censura della inattendibilità, soggettiva o intrinseca del narrato, possa anche essere solo la posizione del C. (sempre che si ascriva esclusivamente a quest’ultimo il peso della manipolazione ove riscontrata).
Da qui l’annullamento della decisione impugnata, dovendo la Corte distrettuale motivare nuovamente sulla attendibilità dei dichiaranti C. e P. e del loro rispettivo narrato evitando di ascrivere, in coerenza con quanto affermato con la stessa sentenza impugnata, qualsivoglia ruolo alla registrazione fonetica più volte richiamata ma soprattutto prendendo posizione sui nodi critici sollevati dalla difesa già con l’appello in ordine alla affermata manipolazione della registrazione in questione.
Le ulteriori doglianze, inerenti alla logicità della motivazione, restano assorbite.
9. Peraltro, ove all’esito della nuova valutazione venisse confermato l’accertamento del fatto, verrebbe in considerazione il profilo, avanzato nel ricorso, della qualificazione giuridica di questo. E in particolare la Corte d’Appello, in base ai seguenti principi, dovrà stabilire se nella specie ci si trovi dinanzi al reato di cui all’art. 322 c.p., ovvero a quello di cui all’art. 317 c.p., ovvero infine a quello di cui al nuovo art. 319 quater c.p. siccome introdotto dalla legge 6 novembre 2012 n 190, in ipotesi applicabile in quanto norma più favorevole.
11. Per quanto riguarda la fattispecie dell’art. 322 cp dovrà stabilirsi se nel caso concreto tra il Sindaco e il ricorrente vi fosse un rapporto paritario riguardante il mercimonio dei poteri. Tale è infatti, secondo costante giurisprudenza, il tratto distintivo tra questa figura e l’ipotesi concussiva in cui la posizione preminente dell’agente è espressa nella locuzione abuso della qualifica o dei poteri.
12. Per quanto attiene all’ulteriore opzione può osservarsi che con la legge 6 novembre 2012 nr 190, entrata in vigore nelle more tra la proposizione e la trattazione del ricorso che occupa, tra le diverse modifiche immediatamente afferenti i reati contro la pubblica amministrazione, per quel che qui immediatamente interessa, sono state apportate strutturali modifiche anche alla fattispecie della concussione regolata dall’art. 317 cp.
In particolare, è stato espunto tra i soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio, risultando la concussione oggi limitata alla sola condotta del pubblico ufficiale ; ancora, è stata estrapolata dalla struttura del reato la condotta della induzione, prima alternativa alla costrizione, quest’ultima oggi esclusivamente concretante l’ipotesi della concussione; l’induzione, infine, sempre qualificata dall’abuso della qualità o dei poteri in funzione dell’indebita promessa o dazione, è divenuta momento costitutivo di una nuova fattispecie delittuosa, collocata nell’inedito art. 319 quater cp, sotto la rubrica “Induzione indebita a dare o promettere utilità”, e vede, tra i soggetti punibili, come nel passato, indistintamente, sia il pubblico ufficiale che l’incaricato di pubblico servizio (dunque a differenza della concussione), ma anche, novità assoluta rispetto al precedente dato normativo, il privato che si determina a dare o promettere indebitamente.
È stato modificato al fine il trattamento sanzionatorio: nell’ottica dell’applicazione intertemporale che qui immediatamente interessa, giova riferirsi al meno rigoroso trattamento sancito per la ipotesi di cui all’art. 319 quater cp rispetto a quello regimentato in precedenza per la concussione da induzione (e ciò a fronte di un aggravamento della pena per la concussione oggi riformata).
1. Conviene muovere dalla constatazione che quello che distingue la disposizione dell’attuale art.317 c.p. dal nuovo articolo 319 quater del codice è l’uso del termine “costringe” da parte della prima disposizione rispetto al termine “induce” da parte della seconda.
I due verbi erano già impiegati nella formulazione originaria dell’art. 317 c.p. e la loro equipollenza in ordine al trattamento della condotta di concussione non aveva stimolato una riflessione sul loro significato specifico, tanto che molte imputazioni contenevano la formula “costringeva o comunque induceva” e che in alcune sentenze, sia pure in modo irriflesso, sembrava sostenersi che i due verbi fossero un’endiadi nel senso che “costringendo induceva”, ovvero che l’induzione fosse quasi una forma blanda, implicita, di costrizione.
Oggi la scissione delle ipotesi criminose e il loro diverso trattamento crea il problema della distinzione, la quale, come si è detto, antecedentemente era pressoché irrilevante sotto il profilo giuridico.
Va dunque considerato, sotto il profilo linguistico, che i verbi costringere e indurre non indicano gli stessi momenti di un evento. Più specificamente costringere è verbo descrittivo di un’azione e del suo effetto, mentre indurre connota soltanto l’effetto e non connota minimamente il modo in cui questo effetto venga raggiunto.
Per convincersi di ciò, se non ci si vuole accontentare della lettura di un dizionario, basta riferirsi allo stesso codice penale e rilevare che nell’art. 377 bis l’induzione si ottiene “con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità”, nell’art. 507 l’induzione si realizza mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, nell’art.558 l’induzione al matrimonio avviene attraverso l’inganno e via dicendo.
Violenza o minaccia o propaganda o inganno sono modi alternativi e a volte incompatibili fra loro, ma tutti percorribili per ottenere il medesimo risultato.
Si conferma così anche sul piano sistematico che indurre indica solo il risultato e non il modo in cui questo è stato raggiunto; e ne deriva ancora che, nella dicotomia costringe – induce di cui agli artt. 317 e 319 quater, l’induzione, per la atipicità della relativa condotta, è il fenomeno residuale perché comprende tutto quello che si realizza senza la costrizione.
A sua volta, come si è detto, il termine costringe è descrittivo e corrisponde al fatto di chi impiega violenza fisica o morale o, in altri termini, usa violenza o minaccia per piegare qualcuno a un’azione non gradita.
Quindi, sotto un profilo strettamente semantico, potrebbe dirsi che compie il reato di cui all’art.317 c.p. il pubblico ufficiale che abusando della sua qualità o delle sue funzioni impiega violenza o minaccia per ricevere indebitamente la consegna o la promessa di denaro o di altra utilità. Peraltro, una visione sistematica porta a ridurre la fattispecie dell’art. 317 c.p.: l’uso della violenza fisica eccede in maniera così vistosa i poteri dell’agente che questa ipotesi, ancorché letteralmente ricavabile dal verbo impiegato nell’articolo, non si adatta al fenomeno dell’abuso di qualità o di funzioni previsto dal medesimo art.317 c.p., ma corrisponde, se si verifica, ad altri reati (estorsione in particolare) aggravati dalla qualità dell’agente.
Resta quindi la minaccia e questa nel linguaggio giuridico è la prospettazione di un danno ingiusto (cfr. art.612 c.p.). Talché compie il reato di cui all’art.317 c.p. chi costringe e cioè chi, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, prospetta un danno ingiusto per ricevere indebitamente la consegna o la promessa di denaro o di altra utilità. Di converso, stante il già detto ambito residuale della norma, compie il reato di cui all’art.319 quater chi per ricevere indebitamente le stesse cose prospetta una qualsiasi conseguenza dannosa che non sia contraria alla legge.
Nella prima ipotesi il pubblico ufficiale rappresenta che egli, violando la legge, recherà un detrimento, nella seconda che questo detrimento deriva o è consentito dall’applicazione della legge. Nella prima ipotesi v’è costrizione della vittima perché si è impiegata una minaccia. Nella seconda ipotesi non può parlarsi di minaccia perché il danno non sarebbe iniuria datum e perciò la costrizione è mancata, ma essendosi ciononostante raggiunto il risultato, il soggetto è stato comunque indotto alla promessa o alla consegna indebita.
14. Va ora osservato che l’ambito di operatività così assegnato alle due disposizioni corrisponde, se sommato, all’area del precedente art. 317 c.p. Ed in effetti già con tale norma era giurisprudenza costante quella per cui integrava l’abuso di potere anche la prospettazione da parte del pubblico ufficiale dell’esercizio di un potere legittimo, ma al fine di conseguire un illecito, quale certamente l’ottenimento dell’indebito. Concludendosi perciò che era la deviazione dell’esercizio del potere dalla sua causa tipica verso un obiettivo diverso ed estraneo agli interessi della Pubblica Amministrazione a concretare l’abuso (Sez. VI, n. 40898, 18/05/2011 Cataluddi e altri); che l’abuso di poteri era configurabile nei casi in cui il pubblico ufficiale fa uso di poteri propri, perché attinenti alle funzioni esercitate, per conseguire una promessa od una dazione di denaro od altra utilità e il reato di concussione sussisteva se l’abuso avesse determinato alla promessa (Sez. II, n.1393, 4/12/2007, Rv. 239444, Cassiano e altri). Insomma l’abuso dei poteri da parte del soggetto agente e la conseguente induzione del soggetto passivo a dare od a promettere denaro od altra utilità prescindeva totalmente dalla legittimità o meno dell’attività compiuta, atteso che il requisito oggettivo del reato poteva essere integrato anche attraverso un atto di ufficio doveroso compiuto in maniera antidoverosa, cosa che si verificava allorché tale atto fosse posto in essere quale mezzo per conseguire fini illeciti, ossia in violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione (Sez. II, n.45993, 16/10/2007, Rv. 239323, Cuccia e altri).
Ne discende che gli attuali articoli 317 e 319 quater del codice penale sono in rapporto di perfetta continuità con il precedente testo dell’art. 317 c.p. ex latu agente: la lettura congiunta delle due norme oggi modificate o introdotte dalla novella copre la medesima area in precedenza propria della concussione regolata dal precedente art. 317 cpp.
15. Dinanzi a questa ricostruzione, ricavata da elementi letterali e sistematici, ci si può chiedere se sia ancora sostenibile, in forza di incerti dati traibili dai lavori preparatori o da giurisprudenze espresse per risolvere problematiche diverse da quella attuale, ritenere che l’induzione di cui all’art.319 quater debba essere considerata una blanda costrizione, quale deriverebbe da minacce implicite, ovvero meno gravi, quale potrebbe essere il lucro cessante rispetto a quello emergente o il danno non patrimoniale rispetto a quello patrimoniale. Occorre cioè domandarsi se può ancora ritenersi legittima una operazione interpretativa, condotta alla stregua degli orientamenti dettati con riferimento al pregresso regime normativo, volta ad operare una distinzione tra le due norme in ragione di una supposta diversa intensità quantitativa della coazione per come ricavata dal tenore oggettivo delle condotte realizzate.
A parte tutto quello che finora si è detto, ove si volesse sostenere simile idea si dovrebbe ritenere che l’interprete sia abilitato a costruire una gerarchia tra le minacce aldilà del loro valore legale di minaccia come annunzio di danno iniuria datum, sicché in definitiva simile lettura sarebbe di per sé lesiva del principio di legalità conferendo all’interprete un implicito potere paranormativo diretto a tipizzare un precetto indeterminato. Del resto, poiché la minaccia ben può essere anche implicita e posta in essere in modo indiretto, purché venga prospettato un danno ingiusto e il contegno sia in grado di coartare la volontà del soggetto passivo, rientreranno nella concussione oggi punita ex art. 317 cpp tutti quegli atteggiamenti comportamentali che prima, in assenza di una intimidazione esplicita, finivano comunque per essere ricondotti all’ipotesi concussiva in ragione della indifferenza tra costrizione e induzione.
Piuttosto, come anche nel previgente regime normativo, costrizione e induzione trovano un momento comune nella strumentalizzazione della qualifica o dei poteri, normativamente ricostruita in termini assolutamente identici: è l’abuso che costituisce la ragione della dazione o della promessa indebita sia nella concussione che nella induzione e che al contempo, come si è detto, finisce per rappresentare, oggi come allora, la linea di demarcazione tra le posizioni nelle quali la volontà del privato, comunque sottoposta ad una pressione, risulta viziata nel suo determinarsi – ambito cui vanno ricondotte sia le condotte di concussione che quelle di induzione ex art. 319 quater – da quelle, affini perché comunque legate a momenti relazionali (l’istigazione alla corruzione e la corruzione), nelle quali la formazione del volere in capo al privato rimane sostanzialmente insensibile rispetto al ruolo ed al contegno del soggetto pubblico, potendo la strumentalizzazione del potere o della qualità al più valere da mero spunto di una trattativa paritaria, destinata a sfociare in un sostanziale illecito accordo negoziale.
Ma l’abuso, come detto descritto normativamente secondo un paradigna assolutamente identico in entrambe le fattispecie, non consente tuttavia oggettivizzazioni tali da poter costituire, sul piano quantitativo, momento di differenziazione tra concussione e induzione: in entrambe i casi è la ragione fondante della alterazione della volontà del privato tale da motivare il diverso portato sanzionatolo rispetto alla corruzione ma, proprio per la atipicità delle condotte sussumibili all’egida della induzione, non permette, pena l’indeterminatezza della fattispecie, di andare oltre ricostruendo, dall’intensità della strumentalizzazione dei poteri e della qualità una diversa gradazione della coazione utile a giustificare il diverso trattamento tra concusso (privo della libertà di agire diversamente laddove intenda evitare il pregiudizio prospettato) e indotto (punito proprio perché comunque mantiene la libera determinazione di sottrarsi alla indebita richiesta).
16. Piuttosto, l’interpretazione che assegna all’art. 317 c.p. l’ambito della minaccia in senso tecnico e all’altra norma ogni altra prospettazione di danno, corrisponde anche ad un razionale assetto dei valori in gioco che non può essere trascurato.
Sotto l’aspetto assiologico è comprensibile perché chi prospetti un male ingiusto è punibile più gravemente di chi prospetti un danno che derivi dalla legge. E ancora e soprattutto si veste di ragionevolezza prevedere in quest’ultimo caso la punizione di chi aderisce alla violazione della legge per un suo tornaconto.
Viceversa, punire chi si sia piegato alla minaccia, ancorché essa si sia presentata in forma blanda, significa richiedere al soggetto virtù civiche ispirate a concezioni di stato etico proprie di ordinamenti che si volgono verso concezioni antisolidaristiche e illiberali.
In conclusione può dunque affermarsi, tracciando la fine di riferimento da seguire nel giudizio di rinvio che il termine “costringe” dell’art. 317 modificato dalla legge 190/12 significa qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto recante lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o a lucro cessante. Rientra invece nell’induzione ai sensi del successivo art. 319 quater la condotta del pubblico ufficiale che prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. In questo caso è punibile anche il soggetto indotto che mira ad un risultato illegittimo a lui favorevole, salva l’irretroattività della legge penale.
In conclusione, valendosi dei criteri appena tracciati il giudice del rinvio ricondurrà le imputazioni precedentemente elevate agli artt. 322, 317 0 319 quater c.p.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.