In tema di reati tribuari, il disposto dell’art. 9 del d.lgs. 74/2000 che, in deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 c.p., esclude il concorso di persone tra chi ha emesso la fattura per operazione inesistente e chi l’ha utilizzata, onde evitare che la medesima condotta sostanziale sia punita due volte, non trova applicazione quando la medesima persona abbia proceduto in proprio sia all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti e sia alla loro successiva utilizzazione.
(Cass. Penale Sez. III, sentenza 8 marzo 2012 – 21 maggio 2012, n. 19247)


Corte Suprema di Cassazione
Sezione Terza Penale
Sentenza 8 marzo – 21 maggio 2012, n. 19247

[OMISSIS]

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di [OMISSIS] ha chiesto il rinvio a giudizio dei sigg. [OMISSIS] e [OMISSIS] quali concorrenti in una vasta serie di condotte criminose aventi ad oggetto la violazione della disciplina contenuta nel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Con sentenza in data 01/04/2011, il G.I.P. del Tribunale di [OMISSIS] ha emesso il decreto che dispone il giudizio per una parte delle condotte contestate e ha dichiarato non doversi procedere, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., nei confronti dei sigg. [OMISSIS] e [OMISSIS] in relazione al reato previsto dagli artt. 110 e 81 c.p. e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 per le fatture emesse irregolarmente dalla [OMISSIS] e dalla [OMISSIS] in favore della [OMISSIS] negli anni 2003-2006, reato contestato ai capi A) e B).
Il Giudice delle indagini preliminari ha in tal modo fatto applicazione del disposto dell’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che prevede che gli utilizzatori di fatture per operazioni inesistenti (nel caso in esame contestate al capo A ai sensi dell’art. 2 del 74/2000), non possono per i medesimi documenti essere chiamati a rispondere anche del reato di emissione a titolo di concorso con l’emittente (fatti contestati ex art. 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ai capi B e C).
Avverso tale decisione propone ricorso il Pubblico Ministero, lamentando l’errata applicazione dell’art. 9 del DLgs. n. 74 citato. Evidenzia il ricorrente che i sigg. [OMISSIS] e [OMISSIS] hanno posto in essere plurime condotte mediante società diverse e che in tal modo sussiste autonomia delle condotte riconducibili alla gestione di ciascuna società, con la conseguenza che non può trovare applicazione il regime derogatorio previsto dall’art. 9, citato, rispetto al dettato dell’art. 110 c.p..
La Corte ritiene che il ricorso sia fondato e che la sentenza debba essere annullata nei termini di seguito specificati.
1. A parte una singola eccezione (sentenza n. 3052 del 2007, PM in proc. Ca., rv 238609), questa Sezione ha fissato il principio che la deroga al regime del concorso di persone previsto dall’art. 110 c.p. introdotta dall’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non ha portata generale, con la conseguenza che la non punibilità per il reato ex artt. 110 c.p. co. 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 opera esclusivamente nell’ipotesi che nei confronti del soggetto utilizzatore delle fatture irregolari sia stata esercitata l’azione penale per il reato ex art. 2 del citato decreto legislativo.
Infatti, con semenza n. 14862 del 2010, rv 246967, è stato affermato che la citata deroga non trova applicazione qualora nei confronti dell’utilizzatore non sia in concreto esercitata l’azione penale perché, acquisite le fatture alla contabilità, costui non le ha poi incluse nella dichiarazione annuale (fattispecie in cui i controlli della polizia giudiziaria sono intervenuti successivamente alla ricezione delle fatture, ma anteriormente alla presentazione della dichiarazione).
Tale conclusione si fonda sulla circostanza che la disciplina derogatoria mira ad evitare che per la medesima operazione in frode si giunga a sanzionare l’utilizzatore due volte: una volta in quanto ha portato in contabilità e utilizzato in dichiarazione le fatture irregolari e l’altra in quanto ha concorso con l’emittente delle fatture medesime.
2. Il Collegio condivide in via generale l’interpretazione adottata dalla sentenza n. 14862 del 2010, citata, ma ritiene che la sua applicazione al caso in esame richieda di procedere a un’attenta valutazione della situazione di fatto e della contestazione.
A tal fine la Corte rileva:
a) che la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di[OMISSIS]  in ordine ai capi B e C dà atto che nei confronti dei sigg. [OMISSIS] e [OMISSIS] viene emesso decreto che dispone il giudizio perché rispondano del reato ex art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (capo A) in relazione alle medesime fatture per cui era contestata anche l’ipotesi di emissione ex art. 8, citato, oggetto di pronuncia ex art. 425 c.p.p.;
b) che secondo il Procuratore della Repubblica di [OMISSIS] la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato l’art. 9, citato, in quanto si sarebbe in presenza di “condotte autonome” che non sono riconducibili alla deroga che tale disposizione di legge apporta all’ordinario regime del concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p.
3. Al di là della non chiarissima e poco sviluppata formulazione del ricorso, la Corte ritiene che la censura mossa alla sentenza impugnata si fondi sul fatto che il Giudice dell’udienza preliminare ha omesso di considerare che nel caso in esame la contestazione avanzata ai sigg. [OMISSIS] e [OMISSIS] con i capi B e C non concerne l’ipotesi di concorso morale con l’emittente della fatture, ma l’ipotesi che costoro abbiano emesso direttamente le fatture in quanto “titolare e amministratore di fatto” delle ditte emittenti, il [OMISSIS] e in quanto “collaboratore di fiducia” del primo, il [OMISSIS].
4. Così ricostruito il tema prospettato dal ricorrente, la Corte ritiene che esso meriti un attento esame in quanto prospetta l’esistenza sul piano normativo di due fattispecie differenti cui conseguirebbero due diversi regimi giuridici; si tratta di fattispecie che possono essere sintetizzate come segue.
La prima, risulta integrata dall’ipotesi che due soggetti giuridici diversi e tra loro autonomi definiscano un accordo per la realizzazione di una frode fiscale mediante l’emissione di fatture false da parte di un soggetto e la loro utilizzazione da parte dell’altro.
L’onerosità dell’operazione per il soggetto che simula prestazioni non effettuate (debito IVA e debito di II.DD. a fronte di incassi solo formali o seguiti da restituzione “in nero” di parte del pagamento) trova compensazione in vantaggi di natura extracontabile e si accompagna spesso a ulteriori meccanismi fraudolenti (mancata dichiarazione annuale; distruzione della documentazione; e simili).
A sua volta, l’utilizzatore delle fatture irregolari si avvantaggia di costi e di debito IVA fittizi, in genere compensando l’emittente con una parte dei vantaggi derivanti dalla frode.
Come si vede, si tratta di fattispecie che interessa due soggetti accomunati soltanto dalla prospettiva di un vantaggio economico che, in forme diverse, viene raggiunto mediante il ricorso a fatture che la terminologia corrente qualifica come “false” (F.O.I.). ovvero non corrispondenti ad operazioni effettive.
La seconda, risulta integrata dall’ipotesi che il soggetto giuridico che ha interesse a utilizzare la F.O.I. dia luogo a una serie di condotte preparatorie e dissimulatorie diverse.
Rientrano in questa ipotesi il meccanismo, tipico delle c.d. “frodi carosello”, che prevede la creazione di soggetti giuridici intermediari che operano come filtro; ma vi rientra anche l’ipotesi di ricorso a fatture irregolari “infragruppo”, nel quale vengono coinvolte società che fanno capo al medesimo controllante che può nei fatti condizionarne la gestione e le soluzioni contabili.
5. Avendo riguardo alla prima delle ipotesi descritte, deve rilevarsi che nell’operatività della legge n. 516 del 1982 il soggetto utilizzatore delle F.O.I. era considerato dalla giurisprudenza maggioritaria come l’effettivo beneficiario della frode e, dunque, colui che risultava titolare dell’interesse prioritario alla creazione delle fatture irregolari e alla realizzazione di un meccanismo di nascondimento della diversa realtà economica e contabile sottostante.
Tale valutazione conduceva a ravvisare non solo una sua responsabilità per la condotta diretta di utilizzazione, ma anche un suo concorso morale nella condotta illecita di emissione posta in essere dal soggetto con cui egli aveva preso accordi, e ciò sotto il profilo della istigazione o del rafforzamento del proposito criminoso nei termini previsti dall’art. 110 c.p..
La disciplina introdotta dal d.lgs. 10.3.2000, n. 74 ha inteso modificare tale profilo e ha espressamente previsto che l’utilizzatore non possa essere chiamato a concorrere col diverso soggetto che ha accettato di provvedere all’emissione delle F.O.I, necessarie alla successiva realizzazione della frode che l’utilizzatore intende concretizzare mediante la presentazione di dichiarazioni infedeli.
Sulla base del medesimo principio interpretativo, la persona che ha emesso le F.O.I. non può essere chiamata a rispondere a titolo di concorso con la diversa condotta di utilizzazione posta in essere dal soggetto che le fatture ha ricevuto, iscritto in contabilità e incluso nella dichiarazione annuale.
6. Non vi è dubbio che la fattispecie storica sottostante la sentenza impugnata non corrisponde fattispecie ora descritta.
Nel caso in esame, infatti, il sig. [OMISSIS] e il suo collaboratore non hanno agito mediante il raggiungimento di accordi coi soggetti emittenti, ma hanno dato vita e amministrato i soggetti giuridici che hanno emesso le F.O.I.
Ciò che rileva, dunque, è che la medesima persona opera sotto una duplice veste: amministratore del soggetto giuridico che emette le fatture e amministratore che quelle fatture utilizza.
Come si vede, l’attività che viene contestata agli imputati, e in particolare al sig. [OMISSIS], non è quella di avere istigato il soggetto emittente o rafforzato il suo proposito illecito, condotta rilevante ex art. 110 c.p. e non procedibile ex art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000. n. 74, ma di avere emesso in proprio, seppure in concorso “interno” con altre persone, le fatture che poi la società utilizzatrice avrebbe ricevuto e immesso in contabilità per giungere alle dichiarazioni infedeli.
Si è in presenza, dunque, di una fattispecie non riconducibile alla sfera di applicazione del citato art. 9.
7. Infatti, per le ragioni che sono state qui sinteticamente esposte deve ritenersi infondata l’interpretazione che esamina la fattispecie ex artt. 2 e 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 avendo riguardo al profilo meramente soggettivo rappresentato dalla identità delle persone chiamate a rispondere dei due reati.
Ciò che l’art. 9, citato, intende evitare non – in sé – la “doppia” punibilità della medesima persona fisica per la gestione delle medesime fatture, ma la punibilità della medesima persona una volta a titolo diretto per la propria condotta di utilizzazione delle F.O.I. e una seconda volta per concorso morale nella diversa e autonoma condotta posta in essere dall’emittente con cui ha preso accordi.
8. Deve, dunque, affermarsi il principio che la disposizione prevista dall’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contenente una deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 c.p. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell’utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona proceda in proprio sia all’emissione delle F.O.I. sia alla loro successiva utilizzazione.
9. Una dimostrazione della correttezza di tale interpretazione può rinvenirsi nel regime applicabile all’ipotesi che l’amministratore della società utilizzatrice porti in contabilità una o più F.O.I. emesse da una ditta individuale di cui egli stesso è legale rappresentante.
Un’impropria lettura dell’art. 9. citato, condurrebbe ad affermare che la condotta di emissione di F.O.I. ex art. 8 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 non può essere coperta da responsabilità penale, attesa l’identità del legale rappresentante del soggetto emittente e di quello utilizzatore, in ciò confondendo nell’unicità della persona fisica i diversi livelli di responsabilità giuridica che debbono, invece, essere tenuti distinti.
Senza omettere di rilevare che in tale ipotesi sarebbe impossibile individuare un criterio fondato su basi obiettive per definire quale delle due condotte, di emissione e di utilizzazione, dovrebbe “cedere” rispetto all’altra e risultare non sanzionabile penalmente.
Viceversa, una più corretta interpretazione deve condurre a ritenere la persona responsabile sia della condotta di emissione sia della diversa condotta di utilizzazione, con evidentemente probabile applicazione dell’istituto della continuazione fra i due reati ex art. 81 cpv c.p.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di [OMISSIS]  affinché, avendo riguardo al principio affermato con la presente decisione, proceda ad un nuovo esame.
[OMISSIS]

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