(Cass. Sezione III Penale , 24 gennaio – 5 marzo 2013, n. 10223)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. GRILLO Renato – Consigliere –
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere –
Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
OMISSIS1;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia in data 24/10/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GAETA Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità.
1. Con sentenza del 24/10/2011 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona in data 25/02/2010 di condanna di OMISSIS2 e OMISSIS1, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’appellante OMISSIS2 per i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), e art. 259, comma 1, perchè estinti per prescrizione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione OMISSIS1; lo stesso premette che, appellante il solo OMISSIS2, egli aveva richiesto alla Corte di partecipare al procedimento ex art. 587 c.p.p., onde giovarsi dell’effetto estensivo dell’impugnazione proposta dal coimputato appellante. La Corte aveva infine dichiarato la prescrizione di entrambi i reati nei confronti del solo appellante OMISSIS2. Ciò posto, OMISSIS1 lamenta, con un primo motivo, la violazione dell’art. 587 c.p.p., avendo appunto la Corte, nel decidere nel senso ricordato, omesso di estendere gli effetti della declaratoria della prescrizione, maturata nella data del 19-20 ottobre 2011, e pertanto in pendenza del giudizio di appello, anche nei suoi confronti. Richiama, a conforto, orientamento di questa Corte secondo cui l’effetto estensivo opererebbe anche nel caso in cui la sentenza sia già divenuta esecutiva nei confronti dell’imputato non impugnante prima che il termine prescrizionale sia venuto a scadenza, posto che un diverso indirizzo non garantirebbe l’effettiva e necessaria parità di trattamento a fronte di motivi non esclusivamente personali.
3. Con un ulteriore articolato motivo contesta la qualificazione di rifiuto e non invece di sottoprodotto o materia prima secondaria data dalla Corte al materiale di cui all’imputazione e, previa eventuale rimessione della relativa questione alla Corte di giustizia Europea, chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Va anzitutto ribadito che l’imputato che non abbia appellato la sentenza di primo grado (o la cui impugnazione sia dichiarata inammissibile) può ricorrere contro la sentenza di secondo grado ove con quest’ultima vengano accolti i motivi di gravame del coimputato che siano a lui estensibili senza che sia stato pronunciato l’effetto estensivo nei suoi confronti (tra le altre, Sez. 6, n. 8247 del 17/05/1993, Khalifi ed altri, Rv. 194962). Ne consegue, pertanto, ed anzitutto, che il ricorso, attinente a fattispecie, caratterizzata, come si dirà oltre, dalla mancata pronuncia dell’effetto estensivo, pur sollecitata in limine di giudizio dal coimputato non appellante, è certamente ammissibile.
Venendo dunque al merito dell’impugnazione, va osservato come in punto di applicabilità alla prescrizione dell’istituto dell’effetto estensivo dei motivi di impugnazione non esclusivamente personali all’imputato non impugnante, debbano registrarsi, nella giurisprudenza di questa Corte, due diversi orientamenti. Secondo un primo indirizzo, infatti, la rilevanza, in forza dell’effetto estensivo dell’impugnazione, di una causa estintiva del reato legata al decorso del tempo, come la prescrizione, implica la preesistenza della stessa alla proposizione del ricorso da parte dell’imputato non appellante, restandone altrimenti preclusa l’operatività dal passaggio in giudicato della decisione nei suoi confronti (Sez. 2, n. 26078 del 20/05/2009, P.G. in proc. Borrelli, Rv. 244664; Sez. 6, n. 23521 del 18/03/2003, Rv. 226007; Sez. 1, n. 12369 del 23/10/2000, Russo e altri, Rv. 217393; Sez. 6, n. 2381 del 12 dicembre 1994, Zedda, Rv. 201245). Si è in particolare affermato che la natura, affermata anche da Sez. U., n. 9 del 24 marzo 1995, Cacciapuoti, Rv.201304, di rimedio straordinario di tale meccanismo, che opera quale condizione risolutiva del giudicato, permettendo che il non impugnante si giovi del risultato favorevole conseguito dal coimputato, ed il cui postulato logico-giuridico sarebbe costituito dalla formazione del giudicato rispetto al coimputato non impugnante, implica necessariamente che della prescrizione successivamente maturata non possa beneficiare la persona nel cui confronti la sentenza è divenuta irrevocabile e, quindi, suscettibile di esecuzione; in tale situazione, infatti, il successivo decorso del tempo non potrebbe più esplicare alcuna influenza nei confronti del non impugnante. Un secondo orientamento ha invece affermato, in generale, che l’effetto estensivo dell’impugnazione, quando maturi una causa di estinzione del reato nel corso del giudizio di gravame, opera a vantaggio dei soggetti non ricorrenti e che unica condizione preclusiva all’effetto estensivo dell’impugnazione è costituita dalla natura strettamente personale del motivo di ricorso (Sez. 3, n. 3621 del 04/11/1997, Giarnpaoli, Rv. 209969; Sez.3, n. 9553, 8 luglio 1997, Curello, Rv. 209631) e, in particolare, che l’inammissibilità dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora altro impugnante abbia proposto valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo della impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell’imputato validamente ricorrente purchè non di natura esclusivamente personale: ciò sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (Sez. 4, n, 10180 del 11/11/2004, Antoci ed altro, Rv. 231133). Ciò posto, va condiviso detto secondo orientamento.
Va anzitutto premesso che l’art. 587 c.p.p., prevede, testualmente, che nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato, l’impugnazione proposta da uno degli imputati, purchè non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati.
Ove si ritenga che l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza, inevitabilmente conseguente alla mancata proposizione dell’impugnazione, renda strettamente personale il motivo proposto dall’imputato impugnante, si verrebbe, invece, nella sostanza, a disattendere la stessa ratio del meccanismo in questione. E’ la stessa estensione degli effetti favorevoli della impugnazione a presupporre, infatti, che, attraverso la stessa, si debba giungere a rimuovere il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti dell’imputato che non abbia proposto impugnazione, sicchè, ove si ritenga, come nella sostanza pare opinare il primo indirizzo, che tale passaggio renda personale il motivo (stante il passaggio in giudicato per uno ed il mancato passaggio per l’altro), detta estensione non potrebbe in realtà mai operare. Nè si potrebbe far leva sul fatto che l’art. 587 c.p.p., nel prevedere che l’Impugnazione giovi anche agli altri imputati, utilizzi, appunto, il termine “imputati” e non “condannati” per far ritenere necessario che, comunque, anche questi ultimi abbiano a loro volta proposto impugnazione, sia pure per motivi diversi, in tal modo, sostanzialmente, consentendo unicamente che gli imputati impugnanti si giovino di motivi da essi non proposti ove non siano strettamente personali ai concorrenti. In senso contrario, infatti, non può non essere valorizzato il fatto che l’art. 601 c.p.p., comma 1, prevede chiaramente che il presidente ordini “senza ritardo… altresì la citazione dell’imputato non appellante…se ricorre alcuno dei casi previsti dall’art. 587…”. Ne consegue, allora, per quanto sin qui detto, non essere autorizzata alcuna lettura del combinato disposto di tali due norme che finisca, nella sostanza, per “obliterare” il senso di un meccanismo che è proprio quello di consentire all’imputato non impugnante di usufruire del trattamento più favorevole di quello della sentenza di primo grado che egli avrebbe potuto ottenere ove avesse, invece, proposto gravame. Nè, ancora, possono trarsi elementi in senso contrario dalla pronuncia delle Sez. U, n. 9 del 24 marzo 1995, Cacciapuoti, già citata sopra; va anzitutto chiarito che la fattispecie esaminata dalla Corte, ben diversa da quella all’esame di questo Collegio, riguardava infatti il ricorso di colui che, essendo stato dichiarato inammissibile l’appello svolto avverso sentenza di condanna nei propri confronti, si doleva dell’avvenuta emissione di ordine di carcerazione, nonostante, nel frattempo, il coimputato avesse interposto appello sulla base di motivi a lui non esclusivamente personali e il conseguente giudizio sull’impugnazione non si fosse ancora concluso.
La Corte si è quindi limitata ad affermare che il fenomeno processuale dell’estensione dell’impugnazione in favore del coimputato non impugnante (o l’impugnazione del quale sia stata dichiarata inammissibile), opera di diritto come rimedio straordinario che, solo al verificarsi dell’evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall’imputato diligente, è idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato; sicchè, ha aggiunto la Corte, fino a quando non si sia verificato tale effetto risolutivo, il predetto fenomeno processuale non spiega influenza alcuna sulla esecutorietà della sentenza relativa al rapporto processuale concernente il non impugnante od equiparato.
Nessuna affermazione nel senso qui disatteso può trarsi dunque da detta pronuncia, conseguendo anzi da essa, a ben vedere, la conclusione, esattamente opposta, che, una volta intervenuta la pronuncia idonea a riverberare i propri effetti sul coimputato non impugnante, il passaggio in giudicato nel frattempo intervenuto con riguardo a questi ne viene inevitabilmente travolto. Va dunque affermato, per le ragioni sin qui esposte, che l’estensione al coimputato non appellante della prescrizione del reato per effetto della disposizione cui all’art. 587 c.p.p., si produce anche ove detta causa estintiva sia maturata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza nei confronti dello stesso.
Nella specie, risulta dagli atti che, interposto appello da OMISSIS2, OMISSIS1, dopo averne fatto richiesta con apposita memoria, ebbe a partecipare, come da verbale d’udienza del 24/10/2011, al giudizio di appello; risulta anche che la stessa sentenza impugnata, dopo avere erroneamente premesso che entrambi gli imputati ebbero a proporre appello (pag. 5), ha dato atto, a pag.10, dell’intervenuto deposito di memoria “da parte del coimputato non appellante, interessato all’effetto estensivo di una eventuale sentenza assolutoria del OMISSIS2. Ciononostante, la stessa sentenza è giunta a pronunciare, in riforma della sentenza del Tribunale di Verona, la declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione senza operare, nè in parte motiva, nè in dispositivo, l’estensione della stessa in favore del OMISSIS1; nè la motivazione della sentenza spiega le eventuali ragioni ostative ad una tale estensione. Ne consegue come, sulla base del principio sopra affermato, la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio;l’omissione rilevata può essere colmata da questa Corte mediante l’espressa estensione del già disposto annullamento in favore del OMISSIS2, rientrando infatti nei poteri della Corte di Cassazione disporre l’estensione in bonam partem degli effetti della decisione al coimputato o ai coimputati non appellanti, non attuata dal giudice della sentenza impugnata (Sez.3, n. 20509 del 14/04/2011, Khemiri e altro, Rv. 250345).
5. Non può invece trovare ingresso il secondo motivo di ricorso; va infatti ribadito che l’art. 587 c.p.p., comma 1, che consente al coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest’ultimo, non attribuisce all’imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nell’ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall’imputato ritualmente appellante; invero, l’effetto estensivo della impugnazione tende semplicemente ad assicurare la “par condicio” degli imputati che si trovino in situazioni identiche, ma non determina una riammissione nei termini prescritti per la impugnazione (tra le altre, Sez. 2, n. 2349 del 10/01/2006, Rv. 233152; Sez. 5, n. 191 del 2000, Rv.218068).
6. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata, quanto al ricorrente OMISSIS, senza rinvio per essere entrambi i reati ascrittigli estinti per prescrizione.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto al ricorrente OMISSIS, per essere entrambi i reati ascrittigli estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso nel resto.