Risponde di falso ideologico in atto pubblico per induzione, a norma degli artt. 48 e 479 cod. pen., il privato che, dichiarando false generalità mediante esibizione di un documento di identità alterato, trae in inganno il pubblico ufficiale cagionando volontariamente una falsa attestazione circa i dati anagrafici dello stipulante, a nulla rilevando che il pubblico ufficiale, nel raccogliere la dichiarazione, sia tenuto, in base alla legge professionale, ad accertarsi dell’identità della persona che si costituisce nell’atto.
(Cass. Penale Sez. V, sentenza 15 febbraio – 28 marzo 2019, n. 13666)
La Suprema Corte precisa che l’insussistenza del reato di cui agli art. 48 e 479 cod. pen. può dirsi accertata solo qualora la falsità dell’atto sia determinata dalle mendaci dichiarazioni del terzo, delle quali il pubblico ufficiale, al di fuori di ogni previsione normativa, si sia incautamente avvalso in luogo di prendere diretta conoscenza dei fatti oggetto dell’attestazione; in tal caso, infatti, la dichiarazione del terzo è inidonea ad influire sulla falsità dell’atto formato dal pubblico ufficiale, e, quindi, sull’evento giuridico della fattispecie di cui all’art. 479 cod. pen., in quanto resa al di fuori della sequenza normativamente prevista per la sua formazione, integrando così un’ipotesi di reato impossibile.
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