Nel caso di rigetto della richiesta condizionata di rito abbreviato, già respinta dal giudice dell’udienza preliminare o per le indagini preliminari e rinnovata dall’imputato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ovvero formulata per la prima volta in quella fase nelle ipotesi di giudizio direttissimo e di citazione diretta a giudizio, il giudice del dibattimento, all’esito dello stesso, se accerta l’erroneità del provvedimento reiettivo in punto di necessità ai fini della decisione dell’integrazione probatoria richiesta, applica in caso di condanna la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato.
(Cassazione Sezioni Unite Penali, 27 ottobre 2004 n. 44711, ric. Wajib).
Corte di Cassazione
Sezioni Unite Penali
Sentenza 27 ottobre – 18 novembre 2004, n. 44711
Ritenuto in fatto
1.1. Wajib Nabil, arrestato perché trovato in possesso di gr. 308 di cocaina e imputato del reato di illecita importazione di un quantitativo della medesima sostanza stupefacente “quantomeno pari a 3,5 kg”, sulla base tra l’altro delle dichiarazioni accusatorie di tale Marmorio Antonino, aveva sollecitato nel corso dell’udienza preliminare davanti al Gup del Tribunale di Milano la definizione del giudizio mediante rito abbreviato, subordinando la richiesta all’esame del Marmorio. Il Gup, respinta la richiesta sul presupposto che l’audizione di quest’ultimo non era necessaria ‑ ai fini della decisione, aveva disposto il rinvio a giudizio dell’imputato.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 3 maggio 2002, dichiarava Wajib Nabil colpevole del delitto di illecita importazione di un quantitativo non modico di cocaina, benché indeterminato nella precisa misura. Sollecitato tuttavia dalle conclusioni del difensore perché rivalutasse la fondatezza del provvedimento reiettivo della richiesta condizionata di rito abbreviato, ai fini dell’eventuale riduzione di pena in caso di condanna, il Tribunale, premesso di non condividere le ragioni di detto provvedimento quanto alla ritenuta superfluità dell’esame del Marmorio ‑ in punto di precisa quantificazione dello stupefacente importato ‑ riconosceva all’imputato la diminuente per il giudizio speciale e, ridotta la pena di un terzo, determinava la pena inflitta in anni 3, mesi 6 e giorni 20 di reclusione ed euro 14.000 di multa, oltre pena accessoria e confisca.
Il Pg presso la Corte di appello di Milano ha proposto ricorso immediato per cassazione contro detta sentenza, deducendo violazione di legge sul rilievo che il giudice dibattimentale non avrebbe potuto applicare la diminuente di cui all’articolo 442 Cpp, non essendo consentito dalla disciplina introdotta dalla legge 479/99 ‑ anche alla luce della sentenza costituzionale 54/2002 ‑ alcun sindacato sulla decisione del Gup di rigetto della richiesta condizionata di rito abbreviato.
1.2. La quarta Sezione penale di questa Corte, premesso che per effetto della sentenza costituzionale 169/03 l’imputato, che si sia visto respingere una richiesta condizionata di rito abbreviato, ha la facoltà di rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento, con la possibilità che il rito speciale sia ammesso e celebrato dal giudice dello stesso, osservava che, nel caso di specie, il sindacato sulla decisione di rigetto del Gup non era stato né poteva essere esercitato nella “nuova” forma indicata dalla Consulta, bensì nella “tradizionale” versione dello sconto di pena in esito al dibattimento, e si chiedeva se tale meccanismo fosse ancora operante dopo la legge 479/99. Rilevato pertanto che la censura formulata dal PG ricorrente postulava l’esame di questioni sulle quali si registrava un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, la stessa Sezione, con ordinanza in data 13 maggio-21 giugno 2004, rimetteva la decisione del ricorso alle SS.UU.
Con apposito decreto il Primo presidente ha assegnato il ricorso alle Su, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
Considerato in diritto.
2. ‑ Le SS.UU. sono chiamate a risolvere la questione «se e in quali limiti (tenuto conto della sentenza 169/03 della Corte costituzionale) il giudice del dibattimento possa sindacare l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare di rigetto della richiesta dell’imputato di giudizio abbreviato condizionata ad una integrazione probatoria».
Si assume da parte della Sezione remittente che su tale questione esiste nella giurisprudenza di legittimità un contrasto interpretativo.
Da un lato, secondo la sentenza della prima Sezione, 12 giugno 2003, Gravante, rv 225986, sarebbe immanente al sistema il principio della necessità di un sindacato della decisione di rigetto ed esso sarebbe tuttora consentito nella forma “tradizionale” della riduzione di pena all’esito del dibattimento, in tutti i casi nei quali non sia risultata possibile la sollecitazione del rito abbreviato in apertura del dibattimento, come nei casi in cui le relative formalità si fossero già celebrate all’epoca della sentenza costituzionale 169/03.
Dall’altro, ad avviso della medesima prima Sezione, 13 gennaio 2004 Larocca, rv 226923/226924, sarebbe inammissibile un sindacato richiesto per la prima volta al giudice di appello, che proceda con rito ordinario dopo il rigetto della domanda di rito abbreviato formulata nell’udienza preliminare, non essendo consentito all’imputato di avvalersi d’una riduzione di pena senza che sia stato attivato il rito finalizzato alla deflazione del carico dibattimentale.
3. Ritiene il Collegio che il controllo ermeneutico debba innanzi tutto svolgersi alla stregua di un’analisi diacronica della originaria disciplina codicistica ‑ articolo 438 ss. Cpp secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata di essa desumibile dai plurimi interventi, anche additivi, della Corte costituzionale, e delle rilevanti innovazioni normative apportate alla disciplina del giudizio abbreviato dagli articoli 27-31 della legge 479/99, anch’esse già incise parzialmente da ulteriori arresti del Giudice delle leggi. I profili della nuova disciplina traggono infatti ragion d’essere e spessore di contenuti dalle vicende interpretative che, nel primo decennio di applicazione del modello codicistico, hanno preceduto e segnato le vigenti soluzioni legislative.
3.1. Il giudizio abbreviato, nello schema delineato dal previgente regime di cui agli articoli 438 e ss. Cpp (cfr., per la ricostruzione dei relativi profili, Cassazione, SS.UU. 6 dicembre 1991, Di Stefano; SS.UU. 21 aprile 1995, Zoccoli; Su, 13 dicembre 1995, Clarke; SS.UU. 21 giugno 2000, Tammaro), si configurava come procedura semplificata a definizione anticipata nell’udienza preliminare, subordinata all’opzione negoziale “sul rito”, immotivata e insindacabile, delle parti principali ed all’apprezzamento del giudice, anch’esso insindacabile, circa la definibilità del processo allo stato degli atti. Esso si caratterizzava inoltre come procedimento “a prova contratta”, nel quale le parti accettavano che la regiudicanda fosse decisa alla stregua degli atti d’indagine già acquisiti e rinunciavano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono di norma sprovvisti nel giudizio che si svolge nelle forme ordinarie. La scelta del rito da parte dell’imputato risulta favorita da una serie di incentivi premiali quale, innanzi tutto, la diminuzione di un terzo della pena per il reato ritenuto in sentenza in caso di condanna, così realizzandosi una commistione assolutamente originale tra condotte processuali ed effetti indiretti, ma automatici, sul trattamento sanzionatorio dell’imputato in caso di condanna, ispirata al fine pratico di assicurare la deflazione del dibattimento e una migliore efficienza del sistema processuale. Una diminuente di natura “processuale”, dunque, ma le cui caratteristiche si presentano strettamente collegate con aspetti di sicuro rilievo “sostanziale”, risolvendosi in un trattamento penale di favore (Cassazione, SS.UU. 31 maggio 1991, Volpe; SS.UU. 6 marzo 1992, Piccillo).
Il primo decennio di vita dell’istituto è stato segnato dai plurimi interventi, talora correttivi ed altre volte demolitivi o additivi, della Corte costituzionale (sentenze 66 e 183/90, 81/1991, 23, 92 e 318/92, 56/1993 e 442/94), con sentenze dichiarative d’illegittimità costituzionale o interpretative di rigetto, ovvero di inammissibilità e di monito al Legislatore perché conducesse a coerenza costituzionale il modello codicistico, mediante un generale riassetto che perseguisse entrambi gli obiettivi di deflazione e di garanzia.
E però, venute meno per effetto delle progressive pronunzie d’incostituzionalità l’efficacia preclusiva del presupposto consensuale del rito e la sua ineludibile connotazione di giudizio allo stato degli atti, risultava irrimediabilmente spezzato il sinallagma fra il trattamento premiale e la funzione deflativa del procedimento speciale, a favore di una nozione del “diritto” dell’imputato allo sconto della pena anche senza la corrispondente semplificazione del rito, potendosi applicare la relativa diminuente anche alla conclusione del giudizio ordinario, resosi necessario in conseguenza del dissenso del Pm o della decisione negativa del giudice dell’udienza preliminare circa la definibilità del processo allo stato degli atti. Situazioni, queste, che, comportando conseguenze di carattere sostanziale sul trattamento sanzionatorio, sarebbero state sindacabili soltanto dal giudice e alla conclusione del dibattimento, all’esito di una valutazione prognostica, postuma ma ex ante, secondo un principio di generale sindacabilità del provvedimento preclusivo di un rito alternativo di tipo negoziale, affermato per la prima volta dalla Corte costituzionale con sentenza 120/84, con riferimento al “patteggiamento” introdotto dagli articoli 77 e 78 della legge 689/81.
3.2. Gli articoli 27-31 della legge 479/99, raccogliendo il reiterato invito della Corte costituzionale «ad evitare che permanga la più volte constatata distonia dell’istituto con i principi costituzionali» (sentenza 442/1994), hanno ridisegnato in maniera significativa la sagoma del giudizio abbreviato, qual’era tracciata nell’originaria formulazione codicistica, trasformandone radicalmente i presupposti e gli schemi procedurali.
Costituisce infatti coerente sviluppo della citata giurisprudenza costituzionale l’odierna previsione normativa, secondo la quale l’imputato ha la facoltà di chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti (articolo 438, comma 1), senza che la sua richiesta resti subordinata al consenso del Pm né al vaglio discrezionale di ammissibilità da parte del giudice. Questi è tenuto infatti a disporre con ordinanza il giudizio abbreviato (articolo 438, comma 4), essendo a lui riservato esclusivamente il potere d1ntegrazione probatoria ex officio, mediante l’assunzione degli “elementi necessari ai fini della decisione”, quando ritiene “di non poter decidere allo stato degli atti” (articolo 441, comma 5), ma non più quello di disattendere la richiesta sulla base di un apprezzamento discrezionale in punto di non definibilità del processo allo stato degli atti, né tanto meno di complessità delle acquisizioni probatorie necessarie ai fini della decisione, e quindi di compatibilità dell’integrazione probatoria officiosa con le esigenze di deflazione tipiche del rito speciale.
Secondo il più recente modello normativo, le cui linee complessive sono state positivamente scrutinate dalla Corte costituzionale con sentenza 115/01, l’imputato é così diventato arbitro esclusivo dell’instaurazione del giudizio “semplice” o “puro”, perché né il Pm può opporsi, né il giudice può valutare se il processo sia effettivamente definibile all’udienza preliminare allo stato degli atti e, in caso negativo, rigettare la richiesta, essendo la completezza e la sufficienza delle prove comunque assicurata dal potere integrativo, anche officioso, dello stesso giudice.
Risulta chiaro l’intento del Legislatore della riforma di svincolare la richiesta dell’imputato sia dal parere del Pm che da qualsiasi apprezzamento discrezionale del giudice, secondo una prospettiva di “ordinarietà” del giudizio abbreviato; qualora presenti la richiesta “semplice”, l’imputato ha il diritto di essere giudicato mediante il rito abbreviato, così da usufruire, in caso di condanna, della riduzione di pena prevista dall’articolo 442.2 Cpp. Secondo l’ormai prevalente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezione prima, 11 dicembre 2000, Litrico, rv 218114; 20 dicembre 2000, Strangio, rv 218577; 17 giugno 2001, Saliko, rv 219688; 2 luglio 2001, Sangani, rv 219633; Sezione sesta, 20 settembre 2002, Putignano, rv 222428; Sezione prima, 2 aprile 2004, Petrucci, rv 228198; 15 giugno 2004, D’Amato, rv 228948; 7 ottobre 2004, Riccardi) sarebbe pertanto abnorme l’eventuale provvedimento reiettivo del Gup ed ammissibile il relativo conflitto di competenza proposto dal giudice dibattimentale.
3.3. Ben più complesso e articolato si presenta l’iter del procedimento speciale nei casi di richiesta “condizionata”, che sia cioè subordinata dall’imputato, ferma restando l’utilizzabilità ai fini della prova degli atti delle indagini preliminari e delle prove assunte nell’udienza preliminare, ad una “integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione”. Il giudice dispone infatti il giudizio abbreviato soltanto se la postulata integrazione probatoria «risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili», ed in tal caso il Pm può chiedere l’ammissione di prova contraria e procedere anche all’eventuale modificazione dell’imputazione. È evidente, quindi, che il giudice, nell’ipotesi di richiesta “condizionata”, non é tenuto a consentire, sempre e in ogni caso, l’accesso al rito abbreviato atteso che, quando non ritiene “necessaria ai fini della decisione” ovvero “compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento” l’integrazione probatoria indicata dall’imputato nella richiesta risolutivamente condizionata all’assunzione di quelle prove, ben può deliberare di non ammetterle e, di conseguenza, di non disporre il giudizio speciale. Una volta rigettata, la richiesta, non più “condizionata” o diversamente “condizionata” rispetto alla precedente, può essere riproposta dall’imputato fino al momento in cui sono formulate le conclusioni nell’udienza preliminare (articolo 438, commi 5 e 6).
La Corte costituzionale, con la citata sentenza 115/01, ha ritenuto, da un lato, coerente con la posizione dell’imputato l’attribuzione della facoltà di chiedere l’acquisizione di nuovi e ulteriori elementi di prova, trovandosi egli ad affrontare il rischio di un giudizio (e di una possibile condanna) basato sugli atti raccolti dal Pm nel corso delle indagini preliminari, e, dall’altro, rafforzata da siffatto riconoscimento l’esigenza di completezza delle indagini medesime, dovendo il Pm tenere conto che sulla base degli elementi raccolti l’imputato potrà chiedere ed ottenere di essere giudicato con tale rito, e non potrà quindi esimersi dal predisporre un esaustivo quadro probatorio in vista dell’esercizio dell’azione penale.
In particolare, sulla “compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento”, in riferimento alla eventuale complessità o lunghezza dei tempi della pretesa acquisizione probatoria, la Corte costituzionale (neutralizzandone sostanzialmente la portata) ha avvertito con la medesima pronunzia n. 115 del 2001 che, ove si debbano compiere valutazioni in termini di economia processuale, il nuovo giudizio abbreviato va posto a raffronto con l’ordinario giudizio dibattimentale, e non con il rito rigorosamente limitato allo stato degli atti previsto dalla precedente disciplina, né con il giudizio abbreviato “puro”, accompagnato dalla mera eventualità di integrazione probatoria disposta ex officio. Nelle situazioni in cui é oggettivamente necessario procedere ad una integrazione probatoria, anche se “consistente”, il giudizio abbreviato si traduce sempre e comunque in una considerevole economia processuale rispetto alla più onerosa formazione della prova in dibattimento, sì che il minor dispendio di tempo e di energie processuali rispetto al procedimento ordinario continua ad essere un carattere essenziale del rito alternativo.
Quanto alle caratteristiche dell’altro presupposto, occorre premettere che il Legislatore della riforma, mediante il meccanismo delle ulteriori acquisizioni probatorie, necessarie per completare una piattaforma investigativa inadeguata, ha inteso superare lo scoglio dell’indecidibilità conseguente all’insufficienza o incompletezza delle indagini preliminari, nel segno di quella tendenziale completezza delle stesse già indicate dalla Corte costituzionale (sentenza 98/1991) come premessa per l’incentivazione del rito semplificato.
Un’attenta lettura del complessivo quadro normativo segna, tuttavia, il limite naturale delle ulteriori acquisizioni probatorie, nel senso che esse debbano essere soltanto integrative, non sostitutive, del materiale già acquisito ed utilizzabile come base cognitiva (Cassazione, Sezione sesta, 8 aprile 2003, Bonasera, rv 225678), ponendosi, siccome circoscritte e strumentali “ai fini della decisione” di merito, quale essenziale e indefettibile supporto logico della stessa. Ne consegue che, per l’identificazione del carattere di “necessità” della integrazione probatoria richiesta, debba farsi riferimento ad un titolo specifico della prova, più stringente di quella provvista dei tradizionali requisiti di pertinenza/rilevanza e non superfluità previsti dall’articolo 190.1 del codice di rito, a norma del quale il giudice può escludere solo “le prove vietato dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue e irrilevanti”. Il valore probante dell’elemento da acquisire, cui fa riferimento l’articolo 438.5 Cpp, va sussunto piuttosto nell’oggettiva e sicura utilità/idoneità del probabile risultato probatorio ad assicurare il completo accertamento dei fatti rilevanti nel giudizio, nell’ambito dell’intero perimetro disegnato per l’oggetto della prova dalla disposizione generale di cui all’articolo 187 Cpp. Di talché, la doverosità dell’ammissione della richiesta integrazione probatoria ne riflette il connotato di indispensabilità ai fini della decisione e trova il suo limite nella circostanza che un qualsiasi aspetto di rilievo della regiudicanda non rimanga privo di solido e decisivo supporto logico-valutativo.
4. Con riferimento al preesistente quadro normativo, in virtù dell’intervento additivo di cui alla sentenza 23/1992, era comunque riservato il sindacato del provvedimento reiettivo al giudice del dibattimento, il quale, valutate le ragioni del rigetto da parte del Gup alla luce del parametro della decidibilità allo stato degli atti, avrebbe potuto, a dibattimento concluso, applicare la riduzione di pena in caso di condanna dell’imputato, in considerazione dei cennati profili di commistione tra i connotati processuali e la rilevanza sostanziale del trattamento sanzionatorio conseguente alla scelta del rito.
Riguardo allo schema riformato, é stata per contro immediatamente segnalata dalla dottrina la lacuna legislativa (con i relativi, consistenti, dubbi di legittimità costituzionale), circa i rimedi che l’ordinamento pure avrebbe dovuto apprestare all’imputato a fronte dell’ordinanza reiettiva della richiesta condizionata di integrazione probatoria, frutto di una valutazione discrezionale attribuita tra l’altro, secondo l’archetipo legislativo, alla competenza funzionale di un giudice monocratico: il giudice dell’udienza preliminare quale giudice “naturale”, ovvero il giudice per le indagini preliminari nei casi di giudizio immediato attivato dal p.m. e di giudizio conseguente all’opposizione al decreto penale di condanna (articoli 458.2 e 464.1 Cpp). li provvedimento negativo, se ingiustificato o illegittimo circa il profilo della necessità della prova ai fini della decisione, appare infatti idoneo a pregiudicare definitivamente per la sua insindacabilità, insieme con l’accesso al giudizio speciale, anche l’aspettativa di una riduzione premiale della pena in caso di condanna, essendo indubbio che il diniego del rito comporta effetti rilevanti in tema di individuazione della pena legale.
Con sentenza n. 54 del 2002, la Corte costituzionale, sollecitata dal giudice a quo (nel corso degli atti introduttivi del dibattimento) ad un intervento additivo sulla falsariga del modulo procedimentale individuato dalla sentenza 23/1992, ha rilevato che questa era intervenuta su un contesto normativo significativamente diverso e che i profondi mutamenti delle premesse logico‑giuridiche, essendo venute meno le condizioni impeditive all’instaurazione del rito basate sulla non definibilità del processo allo stato degli atti, non consentivano di riproporre acriticamente la medesima soluzione a suo tempo indicata, cioè il potere di applicare, in esito al dibattimento, la diminuzione di pena prevista dall’articolo 442 Cpp. E poiché il giudice é ora chiamato a compiere una valutazione discrezionale alla stregua di un parametro molto più circoscritto, “il cui eventuale riesame non deve più necessariamente essere collocato in esito al dibattimento”, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 438, 441 e 442 Cpp, sotto i profili della irragionevolezza e della lesione del diritto di difesa, è stata dichiarata inammissibile, essendo stata prospettata dal giudice rimettente “una soluzione incongrua” rispetto alla nuova disciplina del giudizio abbreviato.
La Corte costituzionale ha però, successivamente, esplicitato con chiarezza il suo ragionamento con la sentenza 169/03, con la quale, chiamata a pronunciarsi su analoghe questioni, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 438.6, 458.2 e 464.1 Cpp, nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto, da parte del giudice dell’udienza preliminare o, rispettivamente, del giudice per le indagini preliminari, della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato.
Ed invero, premesso che «restano valide le ragioni che avevano indotto, con la sentenza 23/1992 a dichiarare illegittima la mancata previsione di un sindacato giurisdizionale sul rigetto della richiesta del rito abbreviato» poiché anche nell’attuale sistema la decisione negativa sulla richiesta subordinata ad una integrazione probatoria è sottratta a qualsiasi forma di sindacato e preclude in via definitiva l’ammissione dell’imputato al rito alternativo, ha osservato la Corte costituzionale che «alla luce del nuovo quadro normativo non vi è alcun ostacolo a che, qualora l’imputato riproponga prima dell’apertura del dibattimento la richiesta di giudizio abbreviato condizionata, sia lo stesso giudice del dibattimento, ove ritenga ingiustificato il rigetto della precedente richiesta, a disporre e celebrare il giudizio abbreviato». Da un lato, tale soluzione è conforme alle finalità di economia processuale che connotano il giudizio abbreviato quale rito alternativo al dibattimento; dall’altro, l’ordinamento già prevede che sia lo stesso giudice del dibattimento a celebrare il giudizio abbreviato nelle ipotesi di giudizio direttissimo e di citazione diretta a giudizio ex articoli 452.2 e 555.2 Cpp; inoltre, sebbene le differenze di struttura e di presupposti non consentano di assumere la disciplina del patteggiamento come termine omogeneo di comparazione, un’ipotesi di recupero in limine al dibattimento di un rito ingiustamente negato è già prevista dall’articolo 448.1 Cpp nel caso di rigetto della richiesta di applicazione della pena da parte del giudice per le indagini preliminari.
E tale dictum é stato recentemente ribadito con ordinanza 273/03, dichiarativa della manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 458.2 Cpp, in riferimento agli articoli 3 e 24 Costituzione, affermandosi che la possibilità di proporre in via gradata, anche contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato “condizionata”, quella di giudizio abbreviato “semplice”, così da garantirsi comunque l’ammissione al rito speciale, non esclude la facoltà dell’imputato, che ritenga imprescindibile l’integrazione probatoria richiesta, di operare la diversa scelta, come riconosciuta dalla sentenza 169/03, di rinnovare al giudice del dibattimento la richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria e di ottenere così “il riesame nel merito” del provvedimento che gli ha negato l’accesso al rito con integrazione probatoria.
5. Sulla base della rinnovata richiesta dell’imputato, il giudice del dibattimento (presa visione degli atti contenuti nel fascicolo del Pm, acquisiti in applicazione analogica dell’articolo 135 n. att. Cpp), in limine litis e all’esito di una valutazione meramente incidentale e non contenutistica dei risultati delle indagini e dell’udienza preliminare che si traduca in una decisione sul merito dell’azione penale, perciò immune da censure di incompatibilità (Cassazione, Sezione sesta, 30 ottobre 2001, Calabrò, rv 220275), verifica la doglianza relativa alla effettiva ed oggettiva necessità dell’integrazione probatoria e, se la ritiene fondata, instaura il rito alternativo nella fase introduttiva del dibattimento.
La sequenza, per così dire “virtuosa” disegnata dalla Corte costituzionale appare dunque finalizzata a consentire lo scrutinio critico del provvedimento negativo del giudice preliminare e l’effettiva celebrazione da parte del giudice del dibattimento del giudizio abbreviato. li nucleo essenziale di essa consiste nell’ancorare il sindacato ad un segmento procedimentale in cui é ancora possibile coniugare l’esigenza di economia processuale con l’eventuale sconto di pena per l’imputato, garantendo da un lato la definizione del processo con un sensibile risparmio di tempo e di risorse, in coerenza con il principio enunciato dall’articolo 111 comma 2 Costituzione, e dall’altro il nesso finalistico tra il trattamento premiale dell’imputato, in caso di condanna, e la funzione deflativa del rito speciale
5.1. Ritiene tuttavia il Collegio che, nonostante il rispetto della sequenza procedimentale nei termini delineati prima dal meccanismo codicistico di cui all’articolo 438.6 Cpp e poi dalla pronuncia additiva n. 169 del 2003 della Corte costituzionale, l’intento di assicurare la persistenza del sinallagma fra il beneficio premiale e la disincentivazione del dibattimento non possa essere, sempre e comunque, realizzato.
Ed invero, qualora si sia proceduto al giudizio ordinario a seguito del reiterato rigetto anche da parte del giudice del dibattimento, prima che questo venga dichiarato aperto, della rinnovata richiesta dell’imputato, condizionata ad una integrazione probatoria necessaria, non può seriamente dubitarsi che l’eventuale sentenza di condanna possa essere appellata, mediante uno specifico motivo di gravarne, per l’eventuale profilo di “illegalità” della pena inflitta. L’imputato ha infatti il diritto di dedurre che, a causa del diniego di accesso al rito, asseritamente ingiustificato o erroneo, non ha conseguito lo sconto di pena previsto dall’articolo 442.2 Cpp, nonostante egli abbia assolto l’onere di attivare nelle forme e nei termini previsti dall’ordinamento le iniziative di volta in volta prescritte a suo carico. In tal caso, l’imputato postula ancora una volta il sindacato da parte del giudice dell’impugnazione delle ragioni poste a fondamento del provvedimento negativo. Ma ‑ a ben vedere oltre il rilievo di apparenza unificante ‑ tale provvedimento viene criticato non già in quanto preclusivo dell’accesso ad un rito speciale orinai irreversibile, per il non consentito regresso dalle forme ordinarie in cui si sia regolarmente svolto il giudizio e adottata la decisione di merito alla stregua della base cognitiva formatasi nel contraddittorio dibattimentale, bensì quale presupposto che ha condizionato la legalità della pena inflitta con la condanna. La concreta determinazione di quest’ultima resta infatti rivalutabile dal giudice dell’appello, cui la relativa questione venga devoluta con uno specifico motivo di gravame, ben potendo derivare dalla eventuale verifica di fondatezza della relativa censura una ricaduta “sostanziale” in termini di riduzione premiale della pena.
E però, una volta accertato che l’imputato ha ritualmente e fondatamente assolto l’onere di attivare nelle forme e nei termini previsti dall’ordinamento le iniziative di volta in volta poste a suo carico per indurre la forma economica del processo, deve convenirsi, per lineari ragioni logico‑sistematiche, che dei requisiti di legalità nella quantificazione della pena non possa certo disinteressarsi ‑ innanzitutto ‑ il giudice che ne statuisce l’applicazione in caso di condanna, ancor prima che intervengano la censura dell’imputato e la revisione critica da parte del giudice dell’impugnazione.
S’intende cioè affermare il principio, coerente con le garanzie costituzionali del diritto di difesa e di legalità della pena, nonché con le esigenze pure costituzionalmente avvertite di effettività della giurisdizione e di ragionevole durata del processo, che anche il giudice del dibattimento, a conclusione dello stesso, considerati complessivamente gli esiti dell’istruzione probatoria e la portata degli atti delle indagini preliminari (dei quali, a norma dell’articolo 135 disp. att., ha già preso visione prima dell’apertura del dibattimento, in vista della negativa delibazione della rinnovata richiesta di rito abbreviato), abbia il potere‑dovere di rivalutare funditus, nell’esercizio della plena cognitio di merito, i connotati del parametro della oggettiva necessità dell’integrazione probatoria, cui l’imputato abbia condizionato la richiesta di giudizio abbreviato.
Di talché, qualora prenda atto della carenza giustificativa del pregresso provvedimento reiettivo, per un errore di valutazione circa la inidoneità del proposto supplemento istruttorio, i cui risultati si siano per contro rivelati decisivi per la soluzione della regiudicanda, egli sarà tenuto, nella determinazione finale della pena da irrogare in caso di condanna dell’imputato, ad applicare la diminuente premiale prevista dall’articolo 442.2 Cpp, nonostante la netta divaricazione degli itinerari procedimentali e della giustificazione razionale della decisione.
5.2. Costituisce ulteriore corollario del principio sopra affermato l’assunto per il quale, nelle ipotesi in cui l’ordinamento prevede che sia lo stesso giudice del dibattimento, prima che questo sia dichiarato aperto, a delibare per la prima volta la richiesta dell’imputato “condizionata” ad una integrazione probatoria ed a celebrare il giudizio abbreviato (nelle ipotesi di giudizio direttissimo e di citazione diretta a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratico, a norma degli articoli 452.2 e 555.2 Cpp), le ragioni dell’eventuale provvedimento negativo, siccome incidente sulle condizioni di legalità della pena da irrogare, non possano sottrarsi al riesame di merito, anche alla stregua dei risultati della svolta istruzione probatoria, da parte dello stesso giudice e all’esito del dibattimento di primo grado ovvero, in forza di specifico motivo di gravame, del giudice dell’impugnazione, circa la oggettiva necessità dell’integrazione probatoria. E ciò al limitato fine, ovviamente, non di rendere possibile un ormai non più consentito recupero del rito speciale, bensì di applicare, in caso di condanna dell’imputato, la diminuente di cui all’articolo 442.2 Cpp.
6. Le coordinate fin qui tracciate consentono di trarre le conclusioni anche in ordine alla questione controversa riguardante i processi ‑ come quello in esame ‑ nei quali alla data di pubblicazione (in Gu 28 maggio 2003) della sentenza costituzionale 169/03 sia stato già dichiarato aperto il dibattimento e per i quali pertanto, attesa l’irreversibilità delle forme del giudizio ordinario, non sia più percorribile il “virtuoso” ed “economico” paradigma procedimentale indicato dalla Consulta per assicurare, mediante la tempestiva, rinnovazione da parte dell’imputato della richiesta precedentemente respinta dal giudice preliminare, la convergenza biunivoca fra trattamento premiale e deflazione del dibattimento.
Orbene, se resta valida e immanente al sistema la forza cogente del nucleo centrale delle «ragioni che avevano indotto con la sentenza 23/1992 a dichiarare illegittima la mancata previsione di un sindacato giurisdizionale sul rigetto della richiesta del rito abbreviato» per la sua pertinenza al trattamento sanzionatorio dell’imputato, non appare giustificata, nonostante le profonde modifiche dell’impianto normativo dell’istituto, la tesi che ritiene definitivamente sottratta al riesame critico la decisione negativa del giudice sulla richiesta dell’imputato subordinata ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, laddove la soluzione di tipo additivo indicata dalla sentenza costituzionale 169/03 non possa in concreto funzionare per l’orinai avvenuto superamento della fase degli atti preliminari al dibattimento.
Anche per questa, pur residuale e per così dire “transitoria” dimensione del fenomeno, il provvedimento negativo del giudice, siccome incidente sostanzialmente sulla legalità della pena da irrogare in caso di condanna, deve ritenersi sindacabile, non ex officio ma su esplicita e documentata sollecitazione dell’imputato nel corso del dibattimento di primo grado, da parte del giudice e all’esito dello stesso, ovvero, in forza di specifico motivo di gravame, da parte del giudice dell’impugnazione. Entrambi i giudici sono infatti chiamati dall’imputato a valutare (presa visione degli atti contenuti nel fascicolo del Pm, acquisiti in applicazione analogica dell’articolo 135 n. att. Cpp, ed alla luce altresì del più ampio orizzonte cognitivo frutto della espletata istruzione dibattimentale) il parametro della oggettiva ed effettiva necessità dell’integrazione probatoria richiesta, al limitato fine non di consentire un ormai impossibile regresso nelle forme del rito alternativo, bensì di applicare, in caso di condanna, lo sconto di pena previsto dall’articolo 442.2 Cpp.
Attesi i riflessi sul piano sostanziale dell’ingiustificata o erronea determinazione in senso negativo del giudice preliminare e l’irragionevolezza di una compressione sul punto del diritto di difesa, la netta divaricazione fra la mancata semplificazione delle forme processuali ‑ essendosi celebrato in concreto il rito ordinario ‑ e il trattamento premiale a favore dell’imputato, che ha legittimamente richiesto ma non ottenuto il rito speciale, risulta dunque giustificata, ancora una volta, dalla ineludibilità delle garanzie previste dagli articoli 3, 24 comma 2 e 25 comma 2 della Costituzione.
7. Ed è proprio questa la soluzione interpretativa che, in relazione alla particolare tipologia dei processi in esame, è stata recepita dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezione prima, 12 giugno 2003, Gravante, rv 225986; Sezione terza, 8 gennaio 2004, Vata, rv 228003; Sezione sesta, 18 marzo 2004, Gabrielli), secondo un indirizzo coerente e uniforme che le SS.UU. condividono.
Né costituisce espressione di un opposto orientamento (contrariamente a quanto sembra ritenere la Sezione rimettente) la citata pronunzia della prima Sezione, 13 gennaio 2004, Larocca, che riguarda un’ipotesi in cui la richiesta condizionata di giudizio abbreviato, ai fini del riconoscimento della diminuente, non era stata affatto reiterata dall’imputato nel corso del giudizio di primo grado, essendo stato sollecitato il sindacato sul diniego del Gup solo nel corso del giudizio di appello. Ha osservato in proposito la Corte che l’inerzia della parte ‑ in assenza di un corrispondente obbligo del giudice del dibattimento di primo grado di attivarsi d’ufficio ‑ ha efficacia preclusiva in merito alta formulazione della richiesta, per la prima volta, nel giudizio di appello, poiché, da un lato, deve intendersi ormai definitivamente dissolta la funzione deflativa del rito speciale per causa imputabile all’acquiescenza dell’interessato e, dall’altro, l’assunto contrario rimetterebbe irragionevolmente all’insindacabile opzione dell’imputato il momento di attivazione del meccanismo di controllo giurisdizionale per il recupero dello sconto sanzionatorio.
Soluzione preclusiva, questa, che appare coerente sia con l’intervento additivo, effettuato sul tessuto normativo dell’articolo 438.6 Cpp dalla Corte costituzionale con la sentenza 169/03, che con l’articolata sequenza procedimentale sopra delineata.
Nel senso che, in tanto può porsi, all’esito del dibattimento di primo grado e a fortiori nel giudizio di appello, una questione di legalità della pena, con l’eventuale riconoscimento del diritto alla diminuente a causa dell’ingiustificato o erroneo diniego del rito abbreviato condizionato, in quanto non si sia verificata alcuna preclusione, e cioè sempre che la richiesta sia stata tempestivamente e inutilmente formulata per la prima volta (nei giudizi direttissimi o a citazione diretta) o rinnovata (se già avanzata e disattesa dal giudice preliminare) in limine litis, ovvero e in via residuale, se tale fase sia ormai esaurita alla data di pubblicazione della citata sentenza costituzionale, nel corso del dibattimento di primo grado: conseguendone, come logico corollario, la decadenza e l’inammissibilità di ogni richiesta “tardiva”.
In ordine al quesito interpretativo riportato in premessa e sottoposto all’esame delle Su, devono essere pertanto enunciati, ai sensi dell’articolo 173.3 n. att. Cpp, i seguenti principi di diritto:
a) nel caso di rigetto della richiesta condizionata di rito abbreviato, già respinta dal giudice dell’udienza preliminare o per le indagini preliminari e rinnovata dall’imputato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ovvero formulata per la prima volta in quella fase nelle ipotesi di giudizio direttissimo e di citazione diretta a giudizio, il giudice del dibattimento, all’esito dello stesso, se accerta l’erroneità del provvedimento reiettivo in punto di necessità ai fini della decisione dell’integrazione probatoria richiesta, applica in caso di condanna la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato;
b) per i processi nei quali alla data di pubblicazione (in Gu 28 maggio 2003) della sentenza costituzionale 169/03 sia già stato dichiarato aperto il dibattimento, il giudice del dibattimento, all’esito dello stesso e su specifica istanza dell’imputato, se accerta l’erroneità del provvedimento reiettivo del giudice dell’udienza preliminare o per le indagini preliminari in punto di necessità ai fini della decisione dell’integrazione probatoria richiesta, applica in caso di condanna la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato.
In conclusione, ritiene il Collegio che l’impugnata sentenza del giudice di merito sia coerente con i principi di diritto suenunciati e che il ricorso per cassazione del Pg presso la Corte d’appello di Milano, risultando infondato, debba essere respinto.
PQM
La Corte suprema di cassazione a Sezioni Unite rigetta il ricorso.