In presenza delle condizioni e dei presupposti previsti dai primi tre commi dell’art. 453 cod. proc. pen., il termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato.
Giudizio immediato, natura ordinatoria del termine indicato per la richiesta
Corte di Cassazione Cassazione
Sezione VI
26 ottobre 2009, n. 41038
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lecce richiese il rinvio a giudizio di 20 imputati, tra cui Francesco Marco Amato, per delitti di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90.
All’udienza preliminare del 20 marzo 2009, il giudice per le indagini preliminari dispose tale rinvio per tutti gli imputati, ad eccezione dell’Amato, la cui posizione fu stralciata, con trasmissione degli atti al P.M., per nullità ex art. 416.1 cod. proc. pen., determinata dalla mancata notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari al difensore.
Il successivo 26.3.2009, accogliendo la richiesta del P.M., il giudice per le indagini preliminari dispose il rinvio al giudizio immediato del tribunale di Lecce di Francesco Marco Amato per delitti previsto dal d.P.R. 309/90.
Contro il predetto decreto di giudizio immediato ricorre per cassazione – ex artt. 606.1 lett. c) in relazione all’art. 453.1-bis cod. proc. pen., il difensore dell’imputato, deducendo violazione del termine di 180 giorni dall’applicazione della misura cautelare carceraria applicata all’Amato e abnormità dell’atto, “in contrasto con la lettera, la ratio dell’istituto e la finalità della riforma” introdotta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, conv. in L. 24 luglio 2008.
Come da richiesta del Procuratore generale, il ricorso va dichiarato inammissibile, non essendo prevista l’impugnabilità del decreto che dispone il giudizio immediato e dovendosi escludere in tale provvedimento ogni profilo di abnormità.
Il ricorrente fonda le sue censure sul compiuto decorso del termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura cautelare, previsto dall’art. 453, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 del D.L. n. 92/2008 cit., e sulla considerazione che il P.M. aveva omesso di richiedere una nuova udienza preliminare e si era determinato alla richiesta di giudizio immediato al fine di scongiurare la scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini di custodia cautelare di fase ai sensi dell’art. 303.1 lett. c cod. proc. pen.
Per quanto concerne il primo profilo, osserva il Collegio che anche per i termini stabiliti dal nuovo comma 1-bis dell’art. 453 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 del D.L. n. 92/2008, va fatta applicazione, per identità di ratio e di scopo, del principio di diritto già affermato da questa Corte a proposito del termine di 90 giorni di cui all’art. 454 cod. proc. pen. (Cass. n. 41579/2007, Cerami; n. 26305/2004, Dentici).
Ne consegue che, in presenza delle condizioni e dei presupposti previsti dai primi tre commi dell’art. 453 cod. proc. pen., il termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato.
Nel caso in esame legittimamente il giudice per le indagini preliminari, in accoglimento della richiesta del P.M., ha disposto il giudizio immediato, avendo ritenuto l’evidenza della prova, la perdurante sussistenza della misura cautelare carceraria, l’avvenuta definizione del procedimento incidentale di riesame di cui all’art. 309 cod. proc. pen., l’espletato interrogatorio dell’imputato e la mancanza di ogni attività di indagine successiva alla scadenza del predetto termine di 180 giorni.
Va aggiunto che il procedimento utilizzato è pienamente conforme alla lettera, alla ratio e allo spirito e alla finalità dell’istituto, riformato con la novella del 2008, che ha reso obbligatorio il giudizio immediato, sussistendone presupposti e condizioni, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.
In presenza di un rilevante numero di indagati, imputati di reati in concorso necessario od eventuale, in diverso status custodiae et libertatis, legittimamente il P.M. richiese il rinvio a giudizio ordinario per tutti gli imputati.
Separata la posizione dell’imputato Amato per nullità ex art. 416.1 cod. proc. pen. e trasmessi i relativi atti al P.M., nella ricorrenza di tutti i presupposti e le condizioni di cui all’art. 453 cod. proc. pen., diveniva doveroso – attesa l’obbligatorietà del giudizio immediato introdotta dall’art. 2 D.L. cit. – per il PM richiedere e per il G.i.p. disporre tale giudizio. Siffatto esito non soltanto non poteva più in alcun modo pregiudicare le indagini, ma era all’evidenza funzionale alla più celere definizione di tutte le posizioni processuali coinvolte nell’originaria indagine.
All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, che si ritiene adeguato determinare nella somma di 500 euro, in relazione alla natura delle questioni dedotte.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di 500 euro in favore della cassa delle ammende.