Gratuito patrocinio ed elezione di domicilio
(Cass. Sezione III Penale, 19 febbraio – 27 marzo 2013, n. 14416)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente –
Dott. GENTILE Mario – Consigliere –
Dott. FRANCO Amedeo – est. Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza emessa il 12 aprile 2012 dalla Corte d’Appello di Palermo;
udita nella pubblica udienza del 19 febbraio 2013 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D’Ambrosio Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza emessa il 6.11.2009 dal giudice del Tribunale di Palermo, che aveva dichiarato OMISSIS colpevole dei reati di cui A): alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. b), per avere detenuto per la vendita supporti contenenti musiche, programmi per videogiochi e film abusivamente duplicati; B) alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), per avere detenuto detti supporti privi del marchio SIAE; C) ricettazione in relazione ai supporti stessi, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
L’imputato, a mezzo dell’avv. OMISSIS, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado perchè l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione a giudizio non sono stati notificati al domicilio eletto ai sensi dell’art. 161 c.p.p. bensì presso il difensore di fiducia. Osserva che la successiva elezione di domicilio era avvenuta esclusivamente ai fini della procedura incidentale di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e quindi non faceva venir meno la precedente elezione.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei delitti contestati, in quanto mancava la prova della provenienza illecita dei supporti e della loro illecita duplicazione, nonchè la prova che contenessero effettivamente opere coperte dal diritto di autore.
3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Il primo motivo è infondato. Esattamente, infatti, la corte d’appello ha ritenuto che la notifica degli avvisi in questione fosse stata regolarmente effettuata, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., presso lo studio del difensore di fiducia, dove l’imputato aveva eletto domicilio, modificando quello precedente, in occasione della presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Gli effetti della elezione di domicilio durano in ogni stato e grado del procedimento, salve le eventuali notificazioni al detenuto ovvero nel procedimento davanti alla cassazione; deve escludersi pertanto che al negozio processuale di elezione possano essere apposte clausole, che ne limitino “ab origine” gli effetti nel tempo, in modo che, alla prevista scadenza, la elezione medesima venga a cessare e si veri fichi il ripristino di pregressa situazione, rilevante ai fini dell’art. 157 c.p.p., e disposizioni successive. Del resto, la irrilevanza di siffatta eventuale limitazione temporale della elezione di domicilio risulta confermata, implicitamente, dalla disciplina prevista dall’art. 162 c.p.p., che alla revoca espressa della elezione di domicilio attribuisce efficacia a condizione che sia effettuata indicazione del luogo ove si vuole che le successive notificazioni siano eseguite, in difetto restando all’uopo fissato il domicilio precedentemente eletto” (Sez. 6, 3.7.1997, n. 8818, Floris, m. 205912). Pertanto, l’elezione di domicilio effettuata nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato esplicava i suoi effetti nell’ambito del procedimento penale, senza che avessero rilievo eventuali clausole di limitazione degli effetti ai solo fini dell’istanza.
E’ invece fondato il secondo motivo.
Preliminarmente, deve osservarsi che il capo di imputazione riportato dalla sentenza impugnata e la stessa sentenza contengono un evidente errore nella indicazione delle ipotesi di reato contestate e ritenute. Tale errore può essere corretto in questa sede precisando che, con il capo A), relativo alla messa in commercio di supporti abusivamente duplicati, è contestato il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), (e non già quello di cui alla lett. b), mentre con il capo B), relativo alla messa in commercio di supporti sprovvisti del contrassegno Siae, è contestato il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), (e non già quello di cui alla lett. c).
Ciò posto, deve ricordarsi che, la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa l’8 novembre 2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert, sulla questione relativa alla compatibilità della normativa italiana che prevede l’apposizione del contrassegno Siae con la direttiva europea 83/189/CEE del 28 marzo 1983, la quale aveva istituito una procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e delle regole tecniche – ha statuito che l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno Siae in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, rientra nel novero delle “regole tecniche”, ai sensi della suddetta normativa, che devono essere notificate dallo Stato alla commissione delle Comunità europea, la quale deve poter disporre di informazioni complete al fine di verificare la compatibilità dell’obbligo con il principio di libera circolazione delle merci, con la conseguenza che qualora tali regole tecniche non siano state notificate alla Commissione non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e devono essere disapplicate dal giudice nazionale.
La costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la sentenza Schwibbert stabilisce un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione di contrassegno Siae successiva alla direttiva 83/189/CEE per supporti di qualsiasi genere (cartaceo, magnetico, plastico, ecc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario, figurativo, ecc), rende inapplicabile l’obbligo del contrassegno stesso nei confronti dei privati (ex plurimis, Sez. 3, 12.2.2008, n. 13816, Valentino; Sez. 7, 6 marzo 2008, Boujlaib e tutte le altre successive).
Nell’ordinamento italiano l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae per i supporti non cartacei è posteriore alla istituzione, con la direttiva 83/189/CEE, della procedura di comunicazione. Lo Stato italiano aveva comunque un obbligo di nuova notifica, ai sensi dell’art. 8 della direttiva 98/34/CEE, a seguito della modifica apportata al progetto di regola tecnica ed alla inclusione di nuovi supporti nell’ambito dell’obbligo originario di apposizione del contrassegno. Conseguentemente, in quanto disciplinato da norme comunque successive al 31 marzo 1983, l’obbligo del contrassegno Siae doveva essere previamente notificato alla Commissione europea, il che invece all’epoca dei fatti contestati notoriamente non era avvenuto.
L’obbligo di apposizione del contrassegno Siae, pertanto, non poteva essere fatto valere nei confronti dei privati e deve perciò essere disapplicato dal giudice nazionale. Deve quindi ritenersi che, non essendo in vigore un obbligo di apporre sui supporti il contrassegno Siae, la detenzione, commercializzazione, noleggio, ecc. di supporti privi di detto contrassegno non costituiva illecito e non aveva rilevanza penale.
In particolare, la giurisprudenza ritiene che dalla imputazione di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), per fatti commessi prima della notifica della regola tecnica alla commissione europea (avvenuta nel 2009) l’imputato deve essere assolto perchè il fatto non sussiste.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio con questa formula in ordine al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), di cui al capo B) della imputazione.
La corte d’appello ha poi confermato la condanna anche per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) avendo ritenuto (nonostante il motivo di appello che eccepiva la mancanza di prova sulla sussistenza del fatto) che la duplicazione abusiva dei supporti fosse provata sulla base della mancanza del contrassegno Siae (“per l’assenza del marchio Siae”). La corte d’appello ha anche fatto genericamente riferimento alla presenza di fotocopie di locandine senza però spiegare perchè dalla sola presenza di fotocopie di locandine pubblicitarie (non meglio precisate) si dovesse con certezza desumere anche la prova della illecita duplicazione dei supporti e che questi riguardassero opere non di pubblico dominio. Non sono stati indicati altri elementi di prova, nè risulta essere stata effettuata una qualche perizia o accertamento tecnico, anche solo a campione.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di diritto d’autore, relativamente ai reati aventi ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, la sola mancanza del contrassegno Siae, che non sia stato comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione Europea in adempimento della normativa comunitaria relativa alle “regole tecniche”, nel senso affermato dalla Corte di giustizia CE, non può valere neppure come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, essendo l’inopponibilità ai privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno sino ad avvenuta comunicazione tale da privare il contrassegno del valore, ordinariamente attribuibile, di garanzia della originalità dell’opera” (Sez. 3, 28.5.2008, n. 27109, Fall, m. 240267; conf. Sez. 7, 6.3,2008, n. 21579, Boujlaib, m. 239959, e numerosissime successive).
Non può invero attribuirsi (contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata che le ha addirittura attribuito valore di prova decisiva) neppure valore indiziario alla mancanza del contrassegno.
Ed infatti, dall’obbligo per il giudice di disapplicazione deriva necessariamente che egli non può più considerare la mancanza di contrassegno Siae come indizio della abusiva duplicazione o riproduzione dei supporti, giacchè altrimenti si continuerebbe a dare al contrassegno quel suo valore essenziale di garanzia della originalità e autenticità dell’opera, che invece non ha acquisito nei confronti dei soggetti privati per effetto della mancata comunicazione alla Commissione europea. Il giudice nazionale non può quindi continuare ad applicare indirettamente le norme sul contrassegno Siae per qualificare, ora per allora, come dovuta l’apposizione del contrassegno stesso e considerare quindi come sintomo di un illecito la sua mancanza.
Nel caso in esame si tratta di comportamento tenuto nel 2006, e quindi prima che la regola tecnica in questione sia stata comunicata (nel 2009) alla commissione europea. Deve quindi trovare applicazione il ricordato principio di diritto.
Pertanto, non potendosi attribuire valore probatorio e nemmeno indiziario alla mancanza del contrassegno Siae, la sentenza impugnata risulta affetta da mancanza di motivazione sulla illecita duplicazione dei supporti e quindi sulla sussistenza del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), contestato con il capo A). In ordine a questo reato, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame.
Infine, anche per quanto concerne il reato di ricettazione, manca la prova sulla sua configurabilità, in mancanza di prova sulla provenienza illecita dei supporti in questione, essendo all’epoca pienamente lecita la detenzione, la vendita e quindi la ricezione da terzi di supporti privi del contrassegno Siae. Nella specie, invece, la prova della provenienza illecita dei supporti è stata desunta sostanzialmente proprio dalla mancanza del contrassegno Siae.
Inoltre, trattandosi di soli 18 CD musicali, 17 DVD per play station e 18 DVD film, e quindi di un numero limitato di supporti, deve rilevarsi che attualmente, stante l’ampia disponibilità a prezzi contenuti di masterizzatori ed altri apparecchi che consentono di duplicare facilmente ed anche contemporaneamente in numero elevato il contenuto di supporti digitali, non può più senz’altro privilegiarsi, in qualsiasi caso e in mancanza di altri elementi probatori, la presunzione che il venditore di supporti abusivamente duplicati li abbia acquistati o ricevuti da un terzo piuttosto che la presunzione che abbia provveduto personalmente alla duplicazione (cfr. Sez. 3, 10.1.2012, Fuschi). In questo caso, pertanto, non sarebbe configurabile il reato di ricettazione ma quello di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. a).
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B) (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d) perchè il fatto non sussiste e con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Palermo relativamente ai reati di cui ai capi A) (L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e C) (art. 648 c.p.) per nuovo giudizio.