Nell’ambito del diritto penale, il concetto di possesso non deve essere assunto secondo la nozione civilistica, che esige il concorso dell’elemento materiale (corpus, cioè disponibilità e potere fisico sulla cosa e elemento spirituale (animus, cioè proposito di comportarsi come titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale), ma in un senso più ampio e comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo (ad esempio locazione, comodato, deposito, mandato ecc) esplicantesi al di fuori della diretta vigilanza del possessore (in senso civilistico) e di altri che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore.

(Cass. penale, sez. II, sentenza 26 gennaio – 23 febbraio 2001, n. 6937)

Corte Suprema di Cassazione
Seconda Sezione Penale
Sentenza 26 gennaio – 23 febbraio 2011, n. 6937
[OMISSIS]
La Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 7 aprile 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Brescia in data 9/11/2006, impugnata da [OMISSIS], ritenuto colpevole di rapina impropria e lesioni aggravate nei confronti di [OMISSIS], a cui veniva sottratto un telefono cellulare e condannato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, con la continuazione, alla pena di anni tre, mesi tre di reclusione e € 600 di multa, dichiarando condonata la pena detentiva nella misura di anni tre e interamente la pena pecuniaria.
Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato lamentando la violazione dell’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, stante la diversità tra il fatto ascritto all’imputato e quello riportato nel capo di imputazione.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Nella fattispecie non si è verificata alcuna immutazione della correlazione fra la imputazione originariamente contestata (che descrive una condotta sviluppatasi in un ben determinato arco temporale, qualificabile quale furto) ed il fatto ritenuto in sentenza (rapina impropria per avere usato violenza nei confronti del proprietario del bene, dopo l’impossessamento, al fine di assicurarsi il possesso del telefonino).
Nell’ambito del diritto penale, il concetto di possesso non deve essere assunto secondo la nozione civilistica, che esige il concorso dell’elemento materiale (corpus, cioè disponibilità e potere fisico sulla cosa e elemento spirituale (animus, cioè proposito di comportarsi come titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale), ma in un senso più ampio e comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo (ad esempio locazione, comodato, deposito, mandato ecc) esplicantesi al di fuori della diretta vigilanza del possessore (in senso civilistico) e di altri che abbia sulla cosa un potere giuridico maggiore.
Configura, quindi, il delitto di furto e non quello di appropriazione indebita appropriarsi di un telefono appena ricevuto al solo scopo di effettuare una telefonata, alla presenza del proprietario del telefono, in quanto non conferiscono al detentore del bene affidatogli quell’effettivo potere di autonoma disponibilità, che è invece presupposto necessario della fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen. (cfr, sia pure per altra fattispecie, relativa a un dipendente di una ditta di trasporti che sottragga la merce a lui affidata (Sez. 4, Sentenza n. 23091 del 14/03/2008 Cc. (dep. 10/06/2008) Rv. 240295).
È assolutamente pacifico alla luce della giurisprudenza di questa Corte che per aversi violazione del principio di correlazione fra l’imputazione e la sentenza occorre che si verifichi una trasformazione del fatto nei suoi elementi essenziali, tale da pregiudicare, in concreto, il diritto alla difesa.
Hanno osservato, infatti, le Sezioni Unite che: “Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”. (Sez. Unite, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc. (dep. 22/10/1996) Rv. 205619).
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 23.02.2011

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