E’ sempre acquisibile ed utilizzabile il verbale di un incidente probatorio formato in un altro procedimento a carico del medesimo imputato con la partecipazione del suo difensore anche se, all’epoca dell’assunzione, l’indagato non era stato raggiunto da indizi di colpevolezza per il diverso reato per cui si procede.
(Cass Sezione V Penale, 17 gennaio – 21 marzo 2013, n. 13277)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARASCA Gennaro – Presidente –
Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere –
Dott. SETTEMBRE A. – rel. Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 50/2010 CORTE APPELLO di GENOVA, del 19/05/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
– Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr. Aurelio Galasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per l’imputato che ha chiesto l’annullamento della sentenza.
1. Con sentenza in data 19-5-2011 la Corte d’Appello di Genova, confermando la decisione assunta dal locate Tribunale, ha riconosciuto OMISSIS responsabile, in concorso con OMISSIS (giudicato separatamente), del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento, dichiarato il , della OMISSIS srl, della quale il OMISSIS era stato amministratore di fatto dall’estate del 1998 al febbraio del 1999 e di diritto dal febbraio all’ottobre del 1999.
La qualità di amministratore di fatto è stata attribuita all’imputato sulla base delle risultanze testimoniali, donde era emerso che il OMISSIS si era intromesso nella gestione societaria fin dal mese di settembre/ottobre del 1998, mentre la qualifica di amministratore di diritto è stata desunta dalla documentazione societaria (non contestata).
La condotta distrattiva è stata accertata in via di prova logica, non essendosi rinvenuta all’atto dell’inventario parte della merce acquistata presso i fornitori e non pagata.
2. Ha proposto ricorso per cassazione, nell’interesse dell’imputato deducendo, con unico motivo, la mancata assunzione di prove decisive; la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; l’inosservanza di svariate norme penali e processuali stabilite a pena di nullità e/o inutilizzabilità.
In primo luogo, contesta la decisione della Corte d’appello di revocare la propria precedente ordinanza, con cui aveva disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per procedere a nuovo esame di OMISSIS, imputato in procedimento connesso.
Contestualmente, deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’ OMISSIS nell’incidente probatorio effettuato nell’ambito di un diverso procedimento penale (per appropriazione indebita e falso), poichè “l’incidente” era stato richiesto dal Pubblico ministero il 12-6-2000 e celebrato il 25-9-2000; vale a dire oltre l’anno dall’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro (avvenuta il 15-5-1999) e senza che fosse stata richiesta la proroga delle indagini. La mancata assunzione di una prova decisiva riguarda, secondo il ricorrente, anche la decisione della Corte d’appello di non disporre l’acquisizione della documentazione bancaria della società fallita, che avrebbe provato l’estraneità dell’imputato agli acquisti della merce distratta.
In secondo luogo contesta la qualità di amministratore di fatto attribuita al OMISSIS sulla base di elementi, a suo giudizio, illogici e non qualificanti, provenienti da soggetti non informati (il curatore) o interessati (OMISSISS) o diversamente informati (il contabile OMISSIS) e comunque non significativi (il fornitore OMISSIS).
In terzo luogo contesta la sussistenza del dolo di bancarotta documentale, dal momento che, nel periodo in cui il OMISSIS fu formale amministratore, la società era dotata di un contabile (OMISSIS) deputato alla tenuta delle scritture contabili.
Infine, lamenta la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., non essendo mai stata contestata al OMISSIS l’aggravante di cui all’art. 219, u.c., L. Fall., nonchè la violazione di legge per mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
1. Infondata è la doglianza relativa alla revoca, da parte della Corte d’appello, della precedente ordinanza, con cui era stata disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per procedere a nuovo esame di OMISSIS, imputato in procedimento connesso. Ed invero il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti (Cassazione penale, sez. 2, 21/01/2009, n. 9056: affermando il principio la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice che nel corso del dibattimento ha escluso, ritenutane la irrilevanza, la deposizione di un teste già citato). Tale principio, ripetutamente affermato per il giudizio di primo grado, vale anche per il secondo grado, essendo sorretto dalla medesima ratio: è il giudice che decide quando l’istruttoria debba ritenersi esaustiva, conservando in ogni momento il potere di revocare i testi già ammessi, purchè dia conto, con logica motivazione, della decisione assunta.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha revocato la testimonianza di OMISSIS dopo nuovo esame, su richiesta del difensore di OMISSIS, del curatore fallimentare, ritenendo che i chiarimenti forniti da quest’ultimo avessero fatto sufficiente luce sulla posizione dell’imputato. E tanto basta per ritenere assolto l’obbligo motivazionale, dovendo, per il resto, valutarsi la decisione sulla responsabilità alla luce delle prove che lo riguardano e degli argomenti spesi sul suo conto.
2. Considerazioni analoghe sono da svolgere in ordine alla decisione della Corte d’appello di non accogliere la richiesta, formulata dal difensore di OMISSIS, di disporre accertamenti bancari sui conti correnti della società fallita, per individuare “il titolare dei conti correnti bancari sui quali sono stati tratti gli assegni bancari impiegati per l’acquisto dei beni che si assumono essere stati distratti”, stante l’irrilevanza, nel giudizio della Corte territoriale, delle indagini richieste e la completezza del quadro risultante dall’istruttoria espletata.
Sul punto v’è solo da ribadire che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4, 10 giugno 2003, Vassallo). E la Corte di merito – come si è detto – ha spiegato perchè si sia convinta della superfluità della assunzione della prova richiesta dalla difesa, rilevando che essa era rivolta ad individuare il titolare del conto corrente e non chi aveva emesso gli assegni ed evidenziando la ricchezza dei dati dimostrativi della responsabilità dell’imputato, secondo un itinerario logico che non presenta smagliature o contraddizioni interne e che, in quanto tale, non può essere messo in discussione in questa sede.
A ciò si aggiunga che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in c. Fachini).
3. Infondata è anche la doglianza concernente l’utilizzazione delle dichiarazioni di OMISSIS, assunte nell’incidente probatorio. Dalla lettura della sentenza d’appello si evince che l’incidente probatorio era stato effettuato nell’ambito di un procedimento per appropriazione indebita (del contenuto di 34 containers di proprietà della società OMISSIS) e per falso, che vedeva coinvolti sia l’ OMISSIS che il OMISSIS quali soggetti legati alla OMISSIS srl (pag. 10). All’incidente probatorio partecipò anche il difensore del OMISSIS. Successivamente, dichiarato il fallimento, fu aperto altro procedimento penale a carico di OMISSIS e OMISSIS, poi riunito al precedente. Quindi, il procedimento risultante dalla riunione vide il rinvio a giudizio degli imputati sia per appropriazione indebita e falso che per i reati fallimentari. All’udienza del 7-5-2008 fu disposto lo stralcio per i reati di appropriazione e falso ed iscritto autonomo procedimento (poi archiviato per prescrizione), mentre rimase in vita il procedimento per bancarotta.
Tanto premesso, appare evidente che nessuna violazione di legge si sarebbe consumata con l’utilizzo delle dichiarazioni dell’ OMISSIS, giacchè, ai sensi dell’art. 238 cod. proc. pen., è ammessa l’acquisizione di prove di altro procedimento penale, se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio. E tali prove possono essere utilizzate contro l’imputato, se il difensore – com’è avvenuto nella specie – ha partecipato alla loro assunzione, indipendentemente dal fatto che, all’epoca dell’assunzione, l’indagato fosse già raggiunto da indizi di colpevolezza per altro reato (o non lo fosse affatto).
E’ stato infatti precisato che la regola della partecipazione del difensore dell’indagato all’assunzione della prova in sede di incidente probatorio, con la conseguente sanzione di inutilizzabilità soggettiva della prova formatasi senza la partecipazione dei difensori dei soggetti ad essa interessati – oltre a non riguardare quei soggetti che solo successivamente all’assunzione della prova, o addirittura proprio sulla base di essa, siano stati raggiunti da indizi di colpevolezza – non è applicabile nell’ipotesi in cui il difensore abbia partecipato all’assunzione dell’atto, anche se all’epoca l’imputato era raggiunto da indizi di colpevolezza in ordine ad una contestazione diversa rispetto a quella, poi, definitivamente formulata in sede di rinvio a giudizio (Cassazione penale, sez. 6, 12/04/2002, n. 28845).
Quanto, poi, all’espletamento dell’incidente dopo la scadenza del termine delle indagini, corretto appare il rilievo della Corte territoriale, secondo cui l’inutilizzabilità doveva essere eccepita entro i termini di cui all’art. 491 cod. proc. pen.. Ed invero, l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine ordinario o prorogato fissato dalla legge per la chiusura delle indagini preliminari non è assimilabile alla inutilizzabilità delle prove vietate, ex art. 191 c.p.p., e non è, pertanto, rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte; ciò significa che essa è sostanzialmente assimilabile ad una nullità a regime intermedio, soggetta, in quanto tale, alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182 c.p.p., con la conseguenza che, quando la parte assiste all’atto che si assume viziato, la relativa nullità deve essere dedotta prima che il predetto atto sia compiuto ovvero, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo (Cassazione penale, sez. 2, 07/06/2011, n. 25001). Ciò non è avvenuto nel caso di specie, con conseguente sanatoria della nullità.
Occorre peraltro rilevare che la questione è priva di rilievo pratico nel presente giudizio, giacchè, contrariamente all’assunto del ricorrente, la responsabilità del OMISSIS non è affatto ancorata alle dichiarazioni di OMISSIS, ma ne prescinde del tutto, come meglio si vedrà al punto successivo. Qui basti rilevare che la sentenza di primo grado non nomina mai l’ OMISSIS, mentre quella di secondo grado lo fa solo per commentare la posizione del coimputato OMISSIS e per dire, quanto alla posizione di OMISSIS che “le dichiarazioni rese dal coimputato OMISSIS sono sostanzialmente irrilevanti” (pag. 19).
4. Nel merito il ricorso è infondato e ai limiti dell’ammissibilità, in quanto rivolto a sollecitare una nuova e più favorevole valutazione del compendio probatorio da parte di questo giudice di legittimità, su cui la Corte territoriale si è espressa con valutazioni logiche e pertinenti, all’esito di una completa disamina delle prove. Ed invero, all’affermazione della responsabilità del OMISSIS per i fatti distrattivi i giudici di primo e secondo grado sono pervenuti sulla base della sua qualità di amministratore di fatto rivestita fino al febbraio del 1999 e, poi, di diritto fino al fallimento, nonchè in base a precise risultanze di carattere documentale e testimoniale, dalle quali è risultato che la maggior parte degli acquisti (telefoni cellulari, apparecchiature elettroniche, autoveicoli), anche relativi a beni estranei alle necessità della società, furono effettuati direttamente dal OMISSIS a partire da novembre del 1998 e, in misura decisamente maggiore, dopo il febbraio del 1999: vale a dire, quando egli era già amministratore di diritto della società ed occorreva il suo consenso per la stipula dei contratti. Sono state infatti riportate in sentenza le dichiarazioni del curatore e di soggetti che entrarono, per loro sfortuna, in contatto con la società, che hanno chiaramente affermato di aver trattato direttamente con OMISSIS, ovvero di aver ricevuto il suo preventivo consenso sulla compravendita dei beni, ovvero promesse successive di pagamento, non mantenute (vedi, a titolo di esempio, le dichiarazioni dei rivenditori, che rimandano tutti, direttamente o indirettamente, a OMISSIS), nonchè dell’ex dipendente OMISSIS, che ha parlato del OMISSIS come del “responsabile operativo”, in quanto impartiva le concrete disposizioni ai dipendenti.
Da tali elementi fattuali il giudice di merito ha tratto la prova logica, per quanto riguarda l’assunzione della qualità di amministratore di fatto fino a febbraio del 1999, nonchè la prova documentale e testimoniale per la qualità di amministratore di diritto, con il seguito di azioni distrattive descritte in imputazione. Il percorso argomentativo seguito nella sentenza è pienamente osservante dei criteri di valutazione della prova dettati dall’art. 192 c.p.p. e si sottrae alle censure mosse dal ricorrente.
Ciò vale anche per le contestate ipotesi distrattive, risultando correttamente applicata la regula iuris in base alla quale il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni o valori societari che siano stati a disposizione degli amministratori costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, quando non ne sia dimostrata la destinazione agli scopi della società (oltre alla giurisprudenza citata dalla Corte d’Appello, v. Cass. 27 novembre 2008 n. 7048; Cass. 15 dicembre 2004 n. 3400; Cass. 18 febbraio 1999 n. 854).
Quanto alla bancarotta documentale, del tutto inconferenti sono le deduzioni difensive circa l’affidamento della contabilità ad un dipendente, posto che questo fatto non esonerava l’amministratore dall’esercitare il dovuto controllo sulla tenuta della contabilità (e senza contare che il dipendente eseguiva le appostazioni richieste dall’amministratore, o le effettuava, comunque, in base alla documentazione che lui gli forniva, o non gli forniva).
5. Destituita di fondamento è anche la doglianza relativa alla mancata corrispondenza tra imputazione e sentenza, giacchè al OMISSIS è stata applicata la pena di anni quattro di reclusione, senza procedere ad aumenti per l’art. 219, L. Fall., nè sotto il profilo della gravità del danno nè sotto quello della pluralità dei fatti di bancarotta, pure contestati in fatto. Evidentemente, il giudicante, del tutto correttamente, ha tenuto conto della pluralità dei fatti e della entità del danno solo per attestarsi su di un livello di pena leggermente superiore al minimo edittale.
6. Infine, nessuna violazione di legge può dirsi consumata per il diniego delle attenuanti generiche, ampiamente motivato col riferimento alla gravità della condotta, ai precedenti penali e all’assenza di una valida collaborazione col curatore nella ricostruzione dei movimenti contabili della società. Per altro verso, la Corte territoriale non ha mancato di prendere in considerazione ed esaminare le deduzioni difensive (centrate sulla partecipazione dell’imputato al processo e sulla collaborazione prestata nel recupero di alcuni veicoli), giudicando che tali comportamenti, alcuni dei quali tenuti nell’esclusivo interesse dell’imputato, non fossero sufficienti a mutare il giudizio negativo espresso dal primo giudice, nel prudente apprezzamento degli elementi favorevoli e contrari.
La suddetta motivazione, deve ritenersi ampia, congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di legittimità, essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio.
In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avvocato cassazionista, svolge attività stragiudiziale e giudiziale in materia di diritto penale, con particolare riferimento al diritto penale dell’impresa e dell’economia, nonché in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. Ha maturato una significativa esperienza in materia di responsabilità da colpa medica. È Presidente e componente di Organismi di Vigilanza previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 anche di società multinazionali.

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