Le “condizioni di abbandono materiale e morale” in presenza delle quali può rendersi configurabile, in luogo del comune reato di omicidio, la meno grave ipotesi di reato di cui all’art. 578 c.p., non possono essere ravvisate quando sia stato lo stesso soggetto agente a porsi volontariamente in condizioni di isolamento, rinunciando a priori ad ogni forma di aiuto e sostegno che potesse venire anche dalle apposite strutture socio-sanitarie esistenti sul territorio

Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Penale
Sentenza 7 ottobre – 30 ottobre 2009, n. 41889
[OMISSIS]
Con sentenza 27 gennaio 2009 la Corte di Assise di Appello di Roma confermava la sentenza 30 novembre 2007 del GUP del Tribunale di Latina che con le genriche, la continuazione e la diminuente del rito abbreviato, condannava [OMISSIS] alla pena di anni sedici di reclusione per i reati di omicidio, in danno del proprio figlio neonato che uccideva con modalità efferate, e di occultamento di cadavere.
L’imputata, una giovane polacca venuta in Italia per raggiungere la sorella che già viveva a [OMISSIS] con marito e figlia, trovato un lavoro in città come badante, a seguito di una relazione avuta col marito della predetta sorella, rimaneva incinta. Dopo aver nascosto a tutti la gravidanza, subito dopo il parto (avuto nella stanza da bagno della casa della famiglia per cui lavorava, composta da madre e figlia) uccideva il neonato con un colpo alla testa con un corpo contundente (forse l’erogatore della doccia) e tredici colpi di forbice in profondità alla schiena e, avvolto in un asciugamano, ne nascondeva il cadavere sotto il letto della propria camera.
Pacifici gli accadimenti, il giudice d’appello, nel riportarsi alla condivisa sentenza di primo grado, prendeva specificamente in esame, rigettandoli, due riproposti temi difensivi: la richiesta di qualificare il reato ai sensi dell’art. 578 c.p. (infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale) e di ritenere la seminfermità mentale dell’imputata. Sotto il primo aspetto escludeva che ricorressero per la giovane donna, parte di un normale contesto familiare (presente in Italia anche il padre), condizioni di abbandono materiale (che comunque devono concorrere con quelle, in ipotesi, di abbandono morale) e sotto il secondo aspetto escludeva che le condizioni psichiche e fisiche riscontrate nel soggetto, che in primo grado avevano indotto il perito nominato dal GUP (con parere peraltro non condiviso da quello stesso giudice) a concludere per la seminfermità di mente, fossero diverse da quelle che normalmente caratterizzano una gestante.
Ricorreva per cassazione l’imputata con distinti atti di due difensori.
[OMISSIS]
Il ricorso è infondato. Le principali questioni poste nei rispettivi atti da entrambi i difensori sono due: la qualificazione del reato e la capacità di intendere e di volere del soggetto agente.
In ordine alla qualificazione del reato la giurisprudenza di legittimità è costante: la fattispecie criminosa delineata dall’art. 578 c.p. (v. Cass. pen., sez. I, 25 novembre 1999, n. 1387, RV 215225) postula uno stato di abbandono della madre inteso non come fatto contingente legato al momento culminante della gravidanza, bensì come condizione di vita, che si sostanzia nell’isolamento materiale e morale della donna dal contesto familiare e sociale (situazione d’indigenza e difetto di assistenza pubblica e privata, solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e conseguente allontanamento, spontaneo o coatto, dal nucleo originario di appartenenza e così via) produttivo di un profondo turbamento spirituale, che si aggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della coscienza, in molte partorienti immuni da processi morbosi mentali e tuttavia coinvolte psichicamente al punto da smarrire almeno in parte il lume della ragione.
Nel caso in esame, come ben evidenziato dai giudici di merito, lo stato di isolamento (non di abbandono) in cui versava la partoriente era stato voluto dalla donna stessa, cui non sarebbe mancata la possibilità di chiedere e di ottenere aiuto.
Peraltro le condizioni di abbandono materiale e morale (v. Cass. pen., sez. V, 26 maggio 1993, n. 7756, RV 194870), se ipotizzabili, devono sussistere (contrariamente a quanto si asserisce nel secondo ricorso) congiuntamente, cioè le une e le altre; devono esistere oggettivamente e non essere solamente supposte; infine devono essere connesse al parto, nel senso che, in conseguenza della loro oggettiva esistenza, la madre ritenga di non poter assicurare la sopravvivenza del figlio dopo il parto.
[OMISSIS]

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