Ai fini dell’attribuzione della penale responsabilità per infortunio sul lavoro, non hanno alcun rilevo né la posizione del lavoratore vittima dell’incidente (nel caso di specie dipendente di una ditta appaltatrice e non della ditta dell’imputato), nè le mansioni svolte da tale dipendente posto che l’osservanza degli obblighi di sicurezza imposti normativamente prescinde dalla qualità di lavoratore subordinato dell’infortunato, potendo la parte lesa essere anche del tutto estranea al ciclo produttivo o dal mondo imprenditoriale, purchè frequenti l’azienda per motivi collegati in qualunque modo all’attività della stessa.
(Cass. Sezione IV Penale, 15 novembre 2017, n. 52129)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente –
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. TANGA Antonio L. – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. C.G.;
2. B.S.;
3. SOCIETA’ T. S.P.A. (responsabile per l’illecito amministrativo dipendente dal reato);
avverso la sentenza n. 4966 del giorno 20/09/2016 della Corte di Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Tanga Antonio Leonardo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Zacco Franca, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udite le richieste del difensore di B.S. e della Società S.P.A. che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
udite le richieste del difensore di C.G. che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
1. Con sentenza del Tribunale di Pinerolo del 27/06/2013, C.G., B.S., venivano dichiarati colpevoli del reato loro ascritto, e, concesse le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, prevalenti sulle contestate aggravanti, condannati alla pena di giorni 15 di reclusione ciascuno; la Società S.P.A. veniva dichiarata responsabile dell’illecito amministrativo ascrittole e, riconosciuta la diminuente di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 12, comma 2, lett. a, condannata alla sanzione pecuniaria di Euro 40.000,00.
1.1. I ricorrenti era stati rinviati a giudizio per rispondere della seguente imputazione:
C.G. e B.S. (con Be.Da. coimputato assolto, non appellante) in ordine al reato di cui all’art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, art. 583 c.p., comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. a), art. 63, comma 1, art. 64, comma 1, lett. a), art. 71, comma 8, perchè, in cooperazione colposa fra loro, il C. quale datore di lavoro delegato della OMISSIS S.p.A., il B. quale procuratore speciale ed amministratore delegato ed in tale veste datore di lavoro della T. S.p.A., il Be. quale Amministratore delegato e in tale veste datore di lavoro della OMISSIS2 S.p.A., per colpa, consistita:
– per il C. nella mancata indicazione, nel documento di valutazione dei rischi, dei pericoli conseguenti alla attività di carico e scarico di cassoni metallici vuoti per mezzo di carrelli elevatori e delle necessarie misure di prevenzione protezione da adottarsi per proteggersi dal rischio di caduta dei cassoni durante le operazioni di movimentazione degli stessi, nonchè nell’omessa adozione di adeguate misure organizzative atte ad evitare che i lavoratori a piedi si trovassero nella zona di attività di attrezzature di lavoro semoventi (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. a), art. 71, comma 3);
– per il B. nell’utilizzo, nella attività imprenditoriale dell’azienda da lui gestita, di cassoni metallici in cattivo stato di manutenzione, non provvedendo a controllare gli stessi e consentendo l’utilizzo di cassoni metallici la cui superficie di appoggio del profilato era priva delle caratteristiche di planarità che contribuisce alla stabilità dei cassoni medesimi quando vengono sovrapposti l’uno sull’altro nella fase di sovrapposizione (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 8);
– per il Be. nel far svolgere attività lavorativa su un piazzale che presentava una pavimentazione con numerose buche, sporgenze pericolose ed avvallamenti, così da non rendere sicuro il movimento ed il transito dei mezzi di trasporto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63, comma 1, art. 64, comma 1, lett. a) avendo omesso di organizzare correttamente le operazioni di carico e scarico svolte per conto e su incarico della OMISSIS S.p.A. dei cassoni vuoti di proprietà della ditta T. S.p.A. all’interno del piazzale di proprietà della OMISSIS2 S.p.A.; – cagionavano a Ba.Ma. – autotrasportatore titolare di ditta individuale cui era stato affidato il trasporto dei cassoni medesimi – lesioni consistenti in consistenti in frattura del piatto tibiale destro, frattura del perone destro, frattura tibiale esterno del ginocchio sinistro, con conseguente impossibilità di attendere alle normali occupazioni per 250 giorni. In particolare, il Ba., mentre stazionava sul piazzale della OMISSIS2 S.p.A dopo aver effettuato un trasporto per conto della T. S.p.A., veniva investito dalla caduta di un cassone che era coinvolto in una operazione di carico condotta da A.S., dipendente della OMISSIS S.p.A., caduta cagionata dalle pessime condizioni dei cassoni e della pavimentazione del piazzale come sopra indicato.
Nonchè: T. S.p.A. (e OMISSIS2 S.p.A.) in ordine all’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-septies, art. 113 c.p., art. 90 c.p., commi 1, 2 e 3, art. 583 c.p., comma 1, n. 1, in concorso di cooperazione colposa fra loro.
1.1. Con la sentenza n. 4966 del giorno 20/09/2016, la Corte di Appello di Torino, adita dagli imputati, in parziale riforma della sentenza appellata, sostituiva la pena detentiva inflitta a ciascuno degli imputati nella pena pecuniaria corrispondente pari ad Euro 3.750,00 di multa, confermando il resto.
2. Avverso tale sentenza d’appello, propongono ricorso percassazione C.G., B.S. e la Società T. S.P.A., a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):
C.G.:
I) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza in relazione alle sentenze di merito con riferimento alla violazione dell’art. 191 c.p.p.. Deduce che la Corte d’appello, nel pronunciarsi sull’eccezione di validità del procedimento di primo grado, svolta dalle parti appellanti anche nella prospettiva della nullità dell’istruttoria e della conseguente sentenza, in relazione all’audizione dell’inizialmente querelato carrellista A. senza l’assistenza di un difensore, ha inevitabilmente utilizzato la documentazione consistente nel verbale di sommarie informazioni del carrellista A. nonchè la querela presentata nei suoi confronti. Sostiene che l’utilizzabilità del predetto verbale di sommarie informazioni e, conseguentemente la testimonianza dell’ A., è tale da comportare la nullità assoluta dell’intero procedimento;
II) mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., per carenze ed omissioni nell’esposizione delle risultanze processuali. Deduce che erroneamente la Corte torinese ha basato la propria motivazione sulla considerazione che la condotta del Ba. (p.o.) – costituita dalla violazione di qualsivoglia norma prudenziale, come il sostare nell’area di manovra del “muletto”, per di più essendo al corrente delle condizioni dei cassoni da lui stesso caricati sul mezzo di trasporto – non potesse essere considerata fattore di interruzione del nesso causale. Sostiene che la Corte Territoriale equipara l’obbligo di controllo e di intervento che il datore di lavoro deve esercitare nei confronti dei propri dipendenti, alla situazione in cui vi sia un libero lavoratore autonomo non soggetto al potere gerarchico/disciplinare di alcuno e normalmente autoregolato.
B.S. e la Società T. S.P.A.:
III) violazione di legge e vizi motivazionali concretati nella mancata valutazione (o dalla illogica o contraddittoria delibazione) di un elemento tanto pregiudizialmente in diritto che concretamente fattuale rilevanti ai fini del decidere nonchè nella interpretazione analogica di norma “in bianco” (anche extra penale), ma costitutiva di fattispecie penale, con la conseguente violazione del principio di stretta legalità. Deduce che il ragionamento sviluppato dalla Corte Territoriale si fonda, a ben guardare, su di un unico, effettivo argomento: ovvero che la condotta del Ba. non potesse ritenersi imprevedibile e quindi in concreto imprevista, in ragione di una abitudinarietà di comportamento, se non in casi siffatti, almeno analoghi: onde la fattispecie avrebbe dovuto e dovrebbe essere ricondotta nell’alveo delle conseguenze delle omissioni di controllo. Sostiene che la Corte Territoriale, in modo incongruo, confonde la valenza dell’obbligo di controllo e di intervento che il datore di lavoro deve esercitare nei confronti dei propri dipendenti, nei confronti di un libero lavoratore autonomo, piccolo imprenditore, quindi non soggetto al potere gerarchico/disciplinare di chicchessia, così realizzando una indebita estensione della norma penale, attraverso una interpretazione che più che estensiva verrebbe ad essere concretamente analogica, violando il principio di stretta legalità.
3. I ricorsi non meritano accoglimento.
3.1. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
3.2. Occorre, inoltre, evidenziare che i ricorrenti ignorano le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
3.3. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
3.4. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
3.5. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata purchè -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
3.6. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, il controllo di legittimità della motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
3.7. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c’è, in altri termini, come richiesto nei ricorsi in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
3.8. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
4. Alla luce dei surriportati principi vanno scrutinati gli odierni ricorsi. 4.1. Per maggiore chiarezza occorre riportare la sintesi la dinamica dell’infortunio così come ritenuta dai Giudici del Merito. La azienda T. s.p.a. si avvaleva per i trasporti -da e per la sede di OMISSIS2 s.p.a.- della ditta di Ce.An., che subappaltava la commessa a piccole imprese, quale quella della persona offesa del presente procedimento, Ba.Ma. (autotrasportatore titolare di ditta individuale), che faceva la spola fra le due aziende con i cassoni in ferro a forma di parallelepipedo destinati ad essere riempiti con particolari lavorati da OMPV da consegnare a T. S.p.A.. Per le movimentazioni di tali contenitori, OMISSIS2 si avvaleva della ditta OMISSIS, alle cui dipendenze lavorava il carrellista A., che, al memento dell’infortunio, stava procedendo alle operazioni di scarico, eseguite inforcando una pila di contenitori alla volta e, quindi, arretrando a bassa velocità con il carrello elevatore prima di ruotare per posizionarsi in parallelo al camion a forche abbassate in modo da consentire ad altro carrellista di prelevare il carico e portarlo alla sua destinazione finale. L’infortunio si è verificato durante lo spostamento di tre cassoni vuoti, che erano scivolati dalle forcole del carrello elevatore colpendo l’autista del camion il quale aveva riportato le lesioni di cui alla documentazione medica in atti: l’inchiesta infortuni su cui ha riferito in dibattimento l’ispettore R., ha evidenziato le pessime condizioni dei contenitori collocati sul camion di Ba. da personale T. a pile di tre alla volta, che ha determinato l’instabilità del carico e la sua caduta. Il Ba., escusso, ha ammesso di essersi avvicinato alla sponda del camion per rimettere a posto un piantone e togliere quello successivo, in modo tale che lo scarico delle pile di cassoni potesse proseguire senza soluzione di continuità e ciò, senza attendere la conclusione della manovra che A. stava compiendo.
5. Ciò posto, in ordine alla censura sub I), relativa al ricorso di C.G., basterà ribadire che il divieto di utilizzazione nei confronti di terzi di dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato, non attiene alle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria da soggetto che mai abbia assunto la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, considerato che, a differenza del P.M., il giudice del merito che le utilizza non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, dovendo solo verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sussistendo in tal caso l’incompatibilità con l’ufficio di testimone (cfr. Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015).
5.1. L’ A., che ha reso le sommarie informazioni testimoniali e poi è stato escusso quale teste a dibattimento, non ha mai assunto la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini nel procedimento penale a carico dei ricorrenti.
5.2. Ne segue l’infondatezza della censura in parola.
6. In ordine alla censura sub I), relativa al ricorso di C.G., si osserva:
6.1. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la disciplina dei contratti di appalto, come quella dei contratti di opera e di subappalto (cfr. D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26), è molto rigorosa, dimostrando con chiarezza l’intendimento del legislatore di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale. Tale normativa costituisce, del resto coerente sviluppo del principio (di cui al generalissimo disposto dell’art. 2087 c.c., comportante l’obbligo a carico del datare di lavoro di garantire le migliori condizioni di sicurezza dell’ambente di lavoro), in forza del quale il destinatario degli obblighi di prevenzione è costituito garante non solo dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro ma anche di persona estranea all’ambito imprenditoriale, purchè sia ravvisabile il nesso causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza (cfr. Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009). In altri termini, non hanno alcun rilevo sia ai fini della regolarità della contestazione che dell’affermazione di responsabilità, la posizione del lavoratore vittima dell’incidente dipendente di una ditta appaltatrice e non della ditta dell’imputato, nè le mansioni svolte da tale dipendente posto che l’osservanza degli obblighi di sicurezza imposti normativamente prescinde dalla qualità di lavoratore subordinato dell’infortunato, potendo la parte lesa essere anche del tutto estranea al ciclo produttivo o dal mondo imprenditoriale, purchè frequenti l’azienda per motivi collegati in qualunque modo all’attività della stessa (cfr. Sez. 4, n. 32302 del 02/07/2009).
6.2. Nella specie appare immune dalla denunciata censura la impugnata sentenza laddove ha affermato la responsabilità del ricorrente C. poichè questi, amministratore della OMISSIS S.P.A., non aveva effettuato la valutazione dei rischi connessi alle operazioni di carico/scarico dei cassoni con carrelli elevatori. L’analisi dei rischi (effettuata dai responsabili della OMISSIS S.P.A. con apposito documento di valutazione) risultava, invero, riguardare l’uso delle sole gru (in alcun modo impiegate in OMISSIS), il che, come correttamente rilevato dal Giudice del merito, “evidenzia la poca diligenza con cui ha operato il professionista sul quale è caduta la scelta del datore di lavoro, che, a sua volta, non si è peritato di verificare l’appropriatezza dell’elaborato” nè ha “adottato le conseguenti misure di prevenzione per evitare la possibile caduta dei carichi, impartendo precise direttive agli addetti alla movimentazione circa la necessità di inforcare i contenitori solo dal lato che presentava le bandelle antiribaltamento, di movimentare un contenitore alla volta e non a pile di tre o, qualora ciò non fosse possibile, di scaricare con attenzione le singole pile, metterle a terra e quindi spostando ciascun cassone singolarmente” nè, ancora e soprattutto, ha “preso efficaci misure per impedire che persone potessero venire a trovarsi a transitare e ad interferire nella zona di manovra pericolosa durante le suddette operazioni), tali non potendosi ritenere le formali prescrizioni contenute nello stampato fornito agli autisti all’ingresso nell’insediamento produttivo”.
6.4. Circa la rilevanza delle eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al lavoratore infortunato, occorre, ancora, osservare che, nell’ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante è il soggetto che gestisce il rischio” e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell’ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
6.5. Nel caso che occupa l’imputato (quale onerato della “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale, come spiegato al punto 6.1. che precede) era il gestore del rischio e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del Ba. (come pure quella dell’ A.) non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poichè essa non si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini là complessiva condotta del Ba. e dell’ A. non furono eccentriche rispetto al rischio lavorativo che il garante (il ricorrente) era chiamato a governare (Cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108).
6.6. Nulla, poi, è emerso che possa lasci presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dal ricorrente, nelle condizioni date.
6.7. Ne segue l’infondatezza della doglianza in questione.
7. Le medesime considerazioni sopra svolte valgono per replicare, in virtù dei principi richiamati ed esposti, alla censura sub III), relativa al ricorso di B.S. e della Società T. S.P.A. 7.1. In vero, come correttamente evidenziato dai Giudici del merito, se il ” B. amministratore delegato della T. dal OMISSIS ed esclusivo titolare della posizione di garanzia, si fosse premurato di effettuare periodici e seri controlli sullo stato dei contenitori metallici utilizzati per i rifornimenti di particolari lavorati da OMISSIS2 come prescritto dal D.lgs. n. 81 del 2008, art. 71 comma 8, avrebbe dovuto da tempo rottamarne gran parte, come effettuato in ottemperanza alle prescrizioni dello S.Pre.S.A.L. (cfr. pagg. 13 e ss della sentenza appellata). La responsabilità omissiva dell’imputato appare evidente, tenuto conto della frequenza delle movimentazioni di predetti cassoni che facevano continuamente la spola fra lo stabilimento T. e OMISSIS2, delle ripetute segnalazioni di non conformità effettuate dal responsabile della logistica, alle analoghe segnalazioni della OMISSIS, e non potendosi ritenere surrogato il doveroso controllo ai fini della Sicurezza il monitoraggio dei contenitori in funzione del Sistema Qualità”.
7.2. Per completezza mette conto precisare che, come esattamente affermato nella sentenza impugnata quanto alla posizione di T. s.p.a., la condanna di B. per il reato contestatogli costituisce il presupposto per la dichiarazione di responsabilità dell’ente, posto che non si versa nell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 2, trattandosi di condotta tenuta nell’interesse della società, che avrebbe dovuto affrontare oneri e costi aggiuntivi per adeguare i cassoni, nè ricorrono le condizioni di esonero di responsabilità previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, dato che non era stato adottato alcun modello organizzativo idoneo a prevenire reati come quello oggetto del presente procedimento, in ossequio al disposto di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 71, comma 8.
7.3. Ne segue l’infondatezza anche della doglianza in questione.
8. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti processuali.al pagamento delle spese.