In tema di rilevanza della colpa del lavoratore, ai fini e per gli effetti di escludere o no l’addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro, vale il principio in forza del quale, di norma, la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio.
Per l’effetto, la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l’evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell’equivalenza delle cause vigente nel sistema penale.
Per mitigare gli effetti del richiamato principio, vale peraltro il concorrente principio dell’interruzione del nesso causale, esplicitato normativamente dall’articolo 41 c.p., comma 2, in forza del quale, facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell’equivalenza delle cause, quella sopravvenuta del tutto eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l’hanno preceduta, finisce con l’assurgere a causa esclusiva di verificazione dell’evento.
In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell’evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore, finisce con l’essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento, che, per l’effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore.
Per interrompere il nesso causale occorre, comunque, un comportamento del lavoratore che sia “anomalo” ed “imprevedibile” e, come tale, “inevitabile”; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro.
(Cass. Sezione IV Penale, 14 febbraio – 19 marzo 2012, n. 10712)
Suprema Corte di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 14 febbraio – 19 marzo 2013, n. 10712
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco – Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino – Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS)
avverso la sentenza n. 7950/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 19/03/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore di (OMISSIS) il quale conclude per l’accoglimento del ricorso.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, fermo restando il giudizio di responsabilità per il reato di lesioni colpose gravi aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena all’appellante OMISSIS .
Trattavasi di un infortunio sul lavoro occorso in data (Omissis) al lavoratore OMISSIS , dipendente della ditta OMISSIS, esecutrice dei lavori di realizzazione di una pensilina presso l’entrata principale del Policlinico (Omissis), il quale, mentre era intento ad installare un ponteggio di tubi e giunti, perdeva l’equilibrio e precipitava al suolo riportando lesioni che comportavano una inabilità al lavoro per un tempo superiore ai 40 giorni.
Il OMISSIS era stato chiamato a risponderne quale titolare della Ditta OMISSIS, essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa specifica, fondata sulla inosservanza del obbligo di dotare il dipendente di una cintura di sicurezza con dissipatore di energia.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione OMOSSIS articolando sei motivi.
Con il primo motivo lamenta che la Corte di merito, pur rilevando che il OMISSIS aveva conferita delega scritta, ritualmente accettata, per la sicurezza sul lavoro in riferimento ai lavoratori della OMISSIS, aveva ritenuto la persistenza della posizione di garanzia in capo al ricorrente.
Con lo stesso motivo censura la decisione anche nella parte in cui afferma che l’osservanza delle norme di sicurezza ricadeva in capo all’imputato, in quanto era presente nel cantiere, mentre il responsabile della sicurezza era assente.
Ciò alla luce del principio che il legale rappresentante della società aveva l’obbligo di accertarsi della presenza in cantiere dell’addetto alla sicurezza. Sul punto il ricorrente contesta innanzitutto la sua presenza nel cantiere al momento dell’incidente ed in secondo luogo l’assenza dal cantiere del responsabile della sicurezza, emergente dalla documentazione in atti.
Lamenta altresì la infondatezza dell’affermazione sul rilievo che la temporanea presenza del datore di lavoro, qualora esista una delega valida per la sicurezza, non ha alcun effetto giuridico.
Con il secondo motivo lamenta che illogicamente la Corte di merito aveva ritenuto che l’evento fosse riconducibile alla condotta colposa dell’imputato, pur essendo stato il medesimo assolto dalla contravvenzione di non aver fornito una cintura di sicurezza idonea e pur avendo la parte offesa chiarito di avere ottenuto adeguata formazione e tutti i dispositivi di sicurezza.
La sentenza, inoltre, aveva trascurato di considerare che la stessa parte offesa aveva dichiarato che al momento del sinistro era legata al ponteggio con un cordino d’acciaio lungo m. 1,50 e che l’incidente era dipeso esclusivamente da un malore e da una sua dimenticanza nella operazione di imbracatura.
Si sostiene, inoltre, che tutta la manovra di aggancio era un’attività demandata esclusivamente all’operaio, anche perchè solo questi poteva salire sul ponteggio e che nel caso di un ponteggio alto solo due metri il dissipatore d’energia ( cioè un sistema di sicurezza che attutisce la caduta come un elastico non avrebbe funzionato perchè il ponteggio era troppo basso).
Sempre in tema di causazione del fatto, si rileva che la sentenza aveva specificato che il lavoratore aveva subito le lesioni descritte nel capo di imputazione a seguito dell’impatto con il terreno, mentre dalle risultanze processuali (v. in particolare le dichiarazioni rese dal capocantiere) sarebbe emerso che il OMISSIS aveva subito le lesioni a seguito dell’urto con la impalcatura.
Con il terzo motivo si ripropone la questione dell’abnormità del comportamento del lavoratore, sostenendo che una pronuncia di condanna significherebbe configurare un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro in quanto: se l’evento si fosse verificato a causa del cordino “lasco” tale errore nella procedura di aggancio non poteva in alcun modo essere controllato dal Ma.; se l’evento si fosse verificato a causa dell’urto contro la impalcatura il riferimento al cordino “lasco” sarebbe inesatto.
Con il quarto motivo si prospetta la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità, tenuto conto che il Ma. era stato assolto dalla contravvenzione di non aver fornito adeguata attrezzatura al lavoratore e che, in ogni caso, la negligenza del lavoratore nell’effettuare la manovra di aggancio del cordino al ponteggio escludeva il nesso di causalità.
Con il quinto e sesto motivo, strettamente connessi, si duole della contraddittorietà della motivazione laddove aveva affermato la penale responsabilità del datore di lavoro pur dando atto detta esistenza di una specifica e valida delega conferita dal medesimo in materia di sicurezza del lavoro.
Si sottolinea che l’eventuale temporanea assenza del delegato, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non giustifica l’affermazione di responsabilità del datore di lavoro. Si denuncia altresì il travisamento del fatto nella parte in cui il giudicante aveva affermato l’assenza del delegato nel cantiere al momento dell’incidente, sostenendosi che la stessa persona offesa aveva affermato che il capocantiere era presente.
Il ricorso è fondato.
E’ nota la giurisprudenza di rigore della Corte di legittimità in tema di rilevanza della colpa del lavoratore ai fini e per gli effetti di escludere o no l’addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro.
Vale il principio in forza del quale, di norma, la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio.
Ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicchè il datore di lavoro è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore.
Per l’effetto, la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l’evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell’equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (articolo 41 c.p., comma 1).
Per mitigare gli effetti del richiamato principio, vale peraltro il concorrente principio dell’interruzione del nesso causale, esplicitato normativamente dall’articolo 41 c.p., comma 2, in forza del quale, facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell’equivalenza delle cause, quella sopravvenuta del tutto eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l’hanno preceduta, finisce con l’assurgere a causa esclusiva di verificazione dell’evento.
In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell’evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore, finisce con l’essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento, che, per l’effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore.
Per interrompere il nesso causale occorre, comunque, un comportamento del lavoratore che sia “anomalo” ed “imprevedibile” e, come tale, “inevitabile”; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Sezione 4, 4 luglio 2003, Valduga; nonchè, Sezione 4, 12 febbraio 2008, Trivisonno).
Nella vicenda esaminata, la ricostruzione operata dal giudice di merito depone per la non riconducibilità dell’evento lesivo alla condotta colpevole del datore di lavoro: la dimenticanza del lavoratore – pur debitamente formato e fornito dello strumentario di sicurezza – che non ha provveduto ad allacciare in modo adeguato il cordino di sicurezza, è stata la causa assorbente che ha determinato l’evento lesivo, non impedendo di arrestare la caduta provocata dal malore.
Trattasi di causa non solo imprevedibile, ma anche inevitabile, giacchè il contesto della prestazione del lavoro non poteva certo consentire al titolare della posizione di garanzia una persistente attività di costante verifica dell’utilizzo dello strumentario di sicurezza.
Ma a ben vedere, qui si pone, proprio alla luce della ricostruzione della vicenda operata in sede di merito, un ulteriore profilo per addivenire ad una soluzione liberatoria.
Infatti, la descrizione della vicenda incriminata non consente di apprezzare finanche la “colpa” del datore di lavoro che è pur sempre come ovvio il presupposto dell’addebito, anche nella concorrente presenza della colpa del lavoratore infortunato.
La colpa va accertata, nel senso che va individuata la regola di condotta generica o specifica che si assume violata e, rispetto a tale norma, in ossequio ai principi generali vigenti in materia, va verificata la sussistenza dei presupposti della prevedibilità e della evitabilità del fatto dannoso verificatosi.
Qui non risulta individuata – nè individuabile- una regola cautelare in ipotesi violata che possa ricollegarsi all’evento, essendo stato accertato in sede di merito vi è stata assoluzione per l’addebito contravvenzionale che il datore di lavoro aveva assolto ai propri obblighi cautelari, dotando il lavoratore del necessario presidio di sicurezza e informandolo/formandolo al riguardo in maniera adeguata.
Gli argomenti come sopra sviluppati escludono alcun rilievo di possibile segno contrario all’affermazione contenuta in sentenza circa la sussistenza/persistenza della posizione di garanzia in capo al prevenuto in ragione dell’assenza del capo cantiere: i rilievi sviluppati in punto di nesso causale e di colpa elidono persistente rilevanza a tali considerazioni.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.