Il delitto di inquinamento ambientale ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 240 ss..
La “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.
(Cass. Sezione III Penale, 19 settembre – 6 novembre 2018, n. 50018)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente –
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere –
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere –
Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
avverso l’ordinanza del 28/05/2018 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
1. Con ordinanza del 28 maggio 2018, la sezione per il riesame del Tribunale di Napoli, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, ha applicato a OMISSIS la misura cautelare del divieto di dimora nella regione Campania in relazione al reato di cui all’art. 452 bis c.p..
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato deducendo i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e). Lamenta, in particolare, il ricorrente che il Tribunale lo abbia ritenuto concorrente nel delitto di inquinamento ambientale in realtà ascrivibile a tale OMISSIS2, che sarebbe proprietario della particella catastale n. del N.C.T.F. del comune di (OMISSIS), l’unico terreno sul quale il c.t. del pubblico ministero avrebbe rilevato la compromissione o il deterioramento che costituisce evento del reato ipotizzato. Con riguardo alla particella – quella di cui il ricorrente sarebbe usufruttuario – il consulente avrebbe invece rilevato soltanto una “potenziale contaminazione” che non varrebbe ad integrare gli estremi del reato ipotizzato.
Si deduce, inoltre, che, in violazione di legge e con motivazione illogica e contraddittoria, riconoscendo valore a quanto riferito dalla Guardia di Finanza e mai riscontrato dalla consulenza tecnica, il Tribunale avrebbe valorizzato una pretesa continuazione tra condotte recenti di contaminazione del suolo e condotte già esaminate in una sentenza emessa a carico del ricorrente e passata in giudicato.
Si darebbe inoltre rilievo ai fini del riconoscimento delle esigenze cautelari a fatti commessi da OMISSIS2, persona diversa dal ricorrente ed estranea alla sua società OMISSIS Srl.
1. Con riguardo alle doglianze relative ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza dell’odierno ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 452 bis c.p., il ricorso è infondato, posto che l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione delle norme di legge e la motivazione non presta il fianco a censure.
2. Ed invero, contrariamente a quanto si allega in ricorso, l’ordinanza impugnata dà atto che OMISSIS, sin dal 1995, è proprietario di una cava insistente sulle particelle del foglio del N.C.T.F. del comune di e aveva la piena disponibilità di quell’area, sede operativa della OMISSIS Srl da lui amministrata, i cui operai – i quali dichiararono di lavorare agli ordini dell’odierno ricorrente – furono, il 20 giugno 2016, ivi sorpresi a scaricare e movimentare, con mezzi della società, rifiuti speciali colà illecitamente depositati senza autorizzazione ed in ingenti quantità (si accertò l’abusivo sversamento in un’area di cava dismessa di centinaia di migliaia di metri cubi di rifiuti speciali di svariata origine, pericolosi e non, provenienti dalle operazioni di selezione e cernita effettuate dalla OMISSIS Srl e la maggior parte del materiale rinvenuto in superficie appariva depositato di recente, per assenza di vegetazione o altri segni lasciati da eventi atmosferici).
L’ordinanza impugnata riferisce essere stati riscontrati nell’intera area della cava in questione (senza distinguere tra particella una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili delle matrici ambientali suolo e sottosuolo (terreno in posto e da riporto), determinati dall’interramento dei rifiuti sino a sostanzialmente riempire il sito per diversi metri (al massimo otto in profondità) e dal deposito in superficie. In particolare si dà atto che il c.t. del pubblico ministero, concludendo che il sito è “potenzialmente contaminato” – ciò che lo stesso ricorrente riconosce – ha rilevato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale in relazione a numerose sostanze chimiche inquinanti di cui alla Tab. 1, All. 5, Titolo 5, Parte 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006, tra cui, oltre al Berillio (naturalmente presente trattandosi di terreno di origine vulcanico/piroclastica), altri Metalli pesanti, Idrocarburi pesanti, PCB, derivanti dai rifiuti interrati.
I risultati di tali indagine hanno trovato conferma – rileva l’ordinanza impugnata – negli accertamenti effettuati dall’A.R.P.A.C. di Napoli.
2.1. Benchè in tali accertamenti – richiamati nell’ordinanza – si dia atto che i sondaggi non sono stati estesi sino a raggiungere, in profondità, la formazione di tufo grigio che rappresenta il livello base di pregressa lavorazione della ex cava e tantomeno le falde acquifere sottostanti, verosimilmente collocate ad oltre 50 metri di profondità (donde la qualificazione del sito come “potenzialmente contaminato”, con l’evidente utilizzoo della definizione di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 240, dipendente dal superamento delle CSC), l’ordinanza dà conto in modo logico ed adeguato, attesa anche la natura sommaria dell’accertamento cautelare, della sussistenza di gravi indizi circa la configurabilità dell’evento di compromissione o deterioramento significativi e misurabili di una vasta porzione di suolo e sottosuolo (l’area riferibile all’attività di gestione di rifiuti abusivamente svolta dal ricorrente per mezzo della OMISSIS Srl è estesa – si legge nell’ordinanza – per circa 18.000 mq.) e la sua attribuibilità alla condotta tenuta dall’indagato. Diversamente da quanto si sostiene in ricorso, il riferimento alla definizione di sito “potenzialmente contaminato” non vale certo ad escludere, con riguardo al suggestivo potere evocativo dell’avverbio, la prova indiziaria della contaminazione e, in ogni caso, quest’ultima condizione non è richiesta per affermare la compromissione della matrice ambientale.
Sotto il primo profilo, va ribadito che l’accertamento indiziario finalizzato all’applicazione di una misura cautelare personale non ha le caratteristiche che si richiedono per la pronuncia di penale responsabilità, posto che – secondo il maggioritario e preferibile orientamento di legittimità – ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perchè i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quali elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 c.p.p., comma 2, – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, (Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, Carrubba, Rv. 270172; Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Pugiotto, Rv. 269179; Sez. 4, Sentenza n. 53369 del 09/11/2016, Jovanovic, Rv. 268683). Il superamento della CSC – per diverse e significative sostanze inquinanti – è grave indizio di effettiva contaminazione rispetto al superamento delle CSR (Concentrazioni Soglia di Rischio), tanto che impone la messa in sicurezza e la bonifica del sito e l’espletamento delle operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica (cfr. D.Lgs. 152 del 2006, art. 240, comma 1, lett. c e d e art. 242).
In secondo luogo, come si accennava, sarebbe errato ritenere che potersi affermare la sussistenza del reato previsto dall’art. 452 bis c.p. si debba necessariamente accertare che ci si trovi di fronte ad un sito contaminato, secondo la definizione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 240, lett. e), testo normativo i cui concetti, elaborati in un differente contesto e a diversi fini, in assenza di specifica previsione, non possono essere richiamati per definire gli elementi costitutivi del delitto introdotto dalla successiva L. 22 maggio 2015, n. 68, come questa Corte ha già riconosciuto nelle decisioni in fra immediatamente citate. Quanto al particolare profilo qui esaminato, deve osservarsi che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 240 e le definizioni in esso contenute valgono a disciplinare l’attività di bonifica dei siti quale prevista dal Titolo 5 del decreto, in relazione ai profili di rischio sanitario e ambientale sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali contaminate. Con riguardo al reato di inquinamento ambientale, deve invece affermarsi il principio secondo cui il delitto di danno previsto dall’art. 452-bis c.p. (al quale è tendenzialmente estranea la protezione della salute pubblica) ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 240 ss..
2.1.1. Sotto quest’ultimo angolo visuale, va rilevato come, sin dalle prime applicazioni giurisprudenziali della fattispecie, questa Corte abbia riconosciuto che la “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268059). Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274), essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489).
Del resto, proprio perchè è necessaria la tendenziale irreversibilità del danno – che, se sussistente e concernente l’equilibrio di un ecosistema, integra il più grave reato di disastro ambientale punito dall’art. 452 quater c.p. – fino a che tale irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere successivamente all’iniziale “deterioramento” o “compromissione” del bene non costituiscono post factum non punibile, ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269490), sicchè – indipendentemente dal fatto che l’inquinamento del sito sia dipeso anche da comportamenti precedenti all’introduzione nell’ordinamento della fattispecie di reato – la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno da parte del ricorrente nel periodo successivo al 29 maggio 2015 quale accertata nel sopralluogo del 20 giugno 2016 rileva ai fini della sussistenza del reato ipotizzato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata – che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto ipotizzato ha fatto corretta applicazione di tali principi – è dunque incensurabile in questa sede e l’infondatezza della doglianza sul punto, considerata l’inammissibilità dell’ulteriore motivo d’impugnazione di seguito immediatamente esaminato, impone il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
3. Quanto alle esigenze cautelari, la doglianza del ricorso è invece assolutamente generica, avendo l’ordinanza impugnata evidenziato – con motivazione non illogica e non specificamente contestata – il concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato, desunto, oltre che dai precedenti specifici (e da alcune condanne per contravvenzioni in materia di rifiuti pronunciate in primo grado e non confermate in appello per sopravvenuta prescrizione), da ulteriori recenti denunce effettuate a carico del ricorrente, per fatti successivi al giugno 2016, in ordine a contravvenzioni in materia di rifiuti, l’ultima delle quali effettuata il 14 aprile 2018. E ciò anche a prescindere dal rilievo – che è dunque superfluo ai fini della giustificazione delle esigenze cautelari ed evidentemente aggiunto ad colorandum nella motivazione dell’ordinanza impugnata – circa un ulteriore fatto di illecito trasporto di rifiuti e violazione di sigilli addebitato al figlio del ricorrente OMISSIS e ai due operai della OMISSIS Srl già sorpresi dalla polizia nel sopralluogo del giugno 2016.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.