Costituisce reato, ai sensi del combinato dispsto degli artt. 17 del T.U.L.P.S. e 7 del D.L. n. 144/2005, conv. con modif. in legge n. 155/2005, il mettere a disposizione della clientela di un “phone center” apparecchi terminali idonei all’accesso diretto alla rete pubblica senza la prescritta acquisizione dei dati indicati dell’identità degli utenti.
(Cass. penale sez. I, sentenza 16 novembre – 23 dicembre 2010, n. 45102)

 
 
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Penale
Sentenza 16 novembre – 23 dicembre 2010, n. 45102
 
[OMISSIS]
Con sentenza del 26 maggio 2009 il Tribunale di Macerata, nella sezione distaccata di Civitanova Marche, condannava alla pena di euro 120,00 di ammenda [OMISSIS], imputato del reato di cui all’art. 17 T.U.L.P.S. in relazione all’art. 7, commi 1 2 4 D.L. 144/2005, perché, quale titolare di apposita dittà, metteva a disposzione dei clienti apparecchi terminali per le comunicazioni telematiche senza che venissero effettuate le prescritte acquisizioni dei dati anagrafici degli utenti delle relative postazioni, fatto accertato il 20 gennaio 2007.
A sostegno della decisione il giudice a quo osservava che:
– l’Ispettore capo della Questura di Macerata, in seguito ad un accertamento presso il “Phone center” di proprietà e gestito dall’imputato, aveva ivi accertato la collocazione di due postazioni internet e di quattro postazioni telefoniche, di cui due soltanto attive;
– l’imputato era in possesso del registro relativo alle operazioni giornaliere delle sole postazioni internet e non di quelle telefoniche;
– il teste presentato dal P.M. in udienza ha chiarito, anche con memoria allegata agli atti, che dette postazioni telefoniche non erano collegate direttamente alla rete pubblica;
– tanto integra la condotta tipizzata dalla norma incriminatrice contestata.
Avverso detta sentenza ha proposto irritualmente ricorso in appello, con l’assistenza del difensore di fiducia, l’imputato, denunciandone l’illegittimità dappoiché a suo avviso inficiata da violazione di legge secondo moduli argomentativi affidati a due motivi di impugnazione.
La Corte distrettuale adita, ai sensi dell’art. 593, comma 3, c.p.p., vertendosi in ipotesi di sentenza non appellabile dappoiché dispositiva di condanna alla pena dell’ammenda, eppertanto soltanto ricorribile per cassazione, trasmetteva gli atti a questo giudice di legittimità.
Deduce in particolare la difesa ricorrente col primo motivo di ricorso che:
– il decreto del Ministro dell’Interno emesso il 16 agosto 2005 di concerto con quello delle Comunicazioni, attuativo di quanto disposto dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144, art. 7, commi 1 e 4, esplicitamente esclude dall’obbligo di monitoraggio a mezzo di appositi registri le comunicazioni fatte presso esercizi pubblici a mezzo “telefoni pubblici a pagamento abilitati esclusivamente alla telefonia vocale”;
– erroneamente pertanto il giudice a quo, peraltro facendo propria la tesi espressa in dibattimento dal teste Ispettore [OMISSIS] e contenuta in un’anonima memoria da questi depositata, riteneva necessaria la tenuta di pubblici registri di monitoraggio anche per le postazioni telefoniche vocali presenti nell’esercizio gestito dall’imputato;
-la tesi accusatoria è però smentita dal testo del D.M. innanzi riportato e da Cass., sentenza n. 28444 del 2007.
Col secondo motivo di impugnazione chiedeva la difesa ricorrente di applicare al caso di specie la causa di esclusione del reato dato dall’errore scusabile a mente dell’art. 5 c.p.
Il ricorso è infondato.
La circolare ministeriale n. 557/PAS/12982D(22) del 29 agosto 2005 espressamente esclude l’assoggettamento a licenza della mera installazione di telefoni pubblici a pagamento abilitati esclusivamente alla telefonica vocale.
La censura articolata in ricorso non merita pertanto, ad avviso del Collegio, condivisione alcuna, là dove denunzia la violazione di legge commessa dal Tribunale nel deliberare la sussistenza della responsabilità penale a carico dell’imputato.
La norma di cui al D.L. n. 144 del 2005, art. 7, convertito in L. n. 155 del 2005, infatti, sottopone a licenza di P.S. quegli esercizi nei quali venga offerto al pubblico il collegamento in rete attraverso la messa a disposizione di postazioni idonee, il che significa, come recita la disposizione, di apparecchi terminali idonei all’accesso diretto alla rete pubblica, esattamente come quelli detenuti presso il centro del prevenuto.
Orbene, il Tribunale ha applicato correttamente la previsione testé richiamata (e negato l’esclusione) sull’assunto per il quale la disponibilità nelle quattro postazioni telefoniche del Phone Center dell’imputato di possibile connessione in rete, integra l’esistenza degli “apparecchi terminali” di cui alla detta previsione, avvalorando tale conclusione con la testimonianza in tal senso del teste di accusa, Ispettore di P.S.
Non ignora certo il Collegio un diverso precedente giurisprudenziale di questa Corte (Cass. sez. I. 12 giugno 2007, n. 28444) dal quale intende però dissentire, in forza delle esposte argomentazioni, anche per la equivocità del fatto sottoposto in quella sede di legittimità.
Manifestamente infondato è infine il richiamo alla disciplina di cui allart. 5 c.p. e, con esso, dell’errore scusabile di cui alla C. Cost. 24 marzo 1988, n. 364.
La norma incriminatrice con la relativa disciplina di sostegno giustificativa della disposizione violata nel caso in esame, appare di ordinaria comprensibilità, circostanza questa che rende in radice infondata la richiesta difensiva.
L’erronea interpretazione di una norma amministrativa può essere giustificativa della condotta incriminata sotto il profilo dell’errore scusabile, soltanto quando il relativo contenuto di discosti in termini del tutto irragionevoli dal senso giuridico comune, tanto da apparire arbitraria o contraddittoria (Cass. sez. V, 12 febbraio 2009, n. 10636) ipotesi questa, come detto, non ricorrente nella fattispecie concreta all’esame della Corte.
Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va rigettato, con le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alle spese di causa.
[OMISSIS]
 
 

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