IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente –
Dott. FUMO Maurizi – Consigliere –
Dott. VESSICHELLI M. – rel. Consigliere –
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI SASSARI;
nei confronti di:
OMISSIS;
inoltre:
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 6/2011 CORTE APP. SEZ. MINORENNI di SASSARI, del 27/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VESSICHELLI MARIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.
Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale di Sassari è l’imputato OMISSIS – minorenne all’epoca dei fatti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata minorenni di Sassari – in data 27 aprile 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa all’esito di giudizio abbreviato, di condanna in ordine al reato di furto aggravato ai sensi dell’ art. 625 c.p., n. 2, in concorso con altro soggetto maggiorenne.
L’imputato minorenne, di nazionalità rumena, è stato ritenuto colpevole di essersi impossessato, come detto in concorso con un maggiorenne, di merce sottratta dai banchi di vendita del grande magazzino Auchan di OMISSIS: merce che aveva un valore complessivo di Euro 31,42.
Il mezzo fraudolento era stato individuato nel fatto che l’imputato era entrato nell’esercizio commerciale portando a tracolla una borsa la quale, all’interno, recava una fodera di carta stagnola, idonea ad evitare il sistema antitaccheggio.
In effetti, il servizio di sorveglianza aveva potuto verificare ed anche video-filmare il fatto che il ragazzo riponeva gli oggetti trafugati nella borsa mentre altri venivano tenuti in mano dal complice che poi provvedeva a pagarli alla cassa.
Deducono, con argomenti analoghi, sia il Procuratore generale che il difensore dell’imputato, 1) la violazione del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 27.
Era stata negata dal giudice dell’appello l’applicazione dell’istituto di cui alla norma citata che prevede la richiesta del pubblico ministero di emissione di sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne e sempre che ricorra il presupposto della gravità del fatto e l’occasionalità del comportamento.
La difesa, in particolare, sottolinea come la giurisprudenza della Corte di legittimità (rv 250734) non ritenga incompatibile il riconoscimento dell’istituto anche nel caso di esistenza di pregresse condotte illecite.
Ed invece la Corte d’appello aveva ritenuto ostativi i precedenti dell’imputato e la mancanza del suo consenso, senza valorizzare il fatto che il maggiorenne aveva coinvolto il minorenne all’ultimo momento e che la merce sottratta era di infimo valore.
D’altra parte il consenso espresso dell’imputato non era necessario, soprattutto in un caso, come quello di specie, nel quale , con procura speciale, il difensore aveva optato per la celebrazione del processo con rito abbreviato e deve ritenersi che la procura e la richiesta fossero inclusivi sia dell’assoggettamento ad una condanna con concessione del perdono giudiziale che, a maggior ragione, di una sentenza di non doversi procedere per irrilevanza del fatto.
Ciò che la giurisprudenza di legittimità richiede (rv 243687), invero, è soltanto che il minore esprima il proprio consenso alla definizione del giudizio quando la questione si pone in sede di udienza preliminare.
Infine il Pm impugnante rileva la mancanza di motivazione a proposito delle requisito rappresentato dal pregiudizio, per il minore, derivante da un ulteriore corso del procedimento: e ciò nell’ottica del riconoscimento di un beneficio che, anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 149 del 2003, ha ritenuto irragionevole non poter essere concesso in fasi diverse da quella dell’udienza preliminare;
2) l’erronea applicazione dell’art. 169 c.p., essendo stato disposto, nel caso di specie, il beneficio della sospensione condizionale della pena anzichè quello, speciale, del perdono giudiziale basato sugli identici presupposti;
3) il vizio della motivazione in ordine a tutte le relazioni predisposte dai servizi sociali e versate in atti, dai quali desumere i requisiti della tenuità del fatto e del pregiudizio derivante dall’iter processuale: la Corte territoriale infatti aveva totalmente ignorato gli elementi favorevoli derivanti dalle suddette relazioni, dei quali l’impugnante denuncia pertanto il travisamento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), sostenendo che la Corte d’appello ha deciso come se si trovasse di fronte al un imputato maggiorenne.
Ha ritenuto il Collegio che gli argomenti posti a fondamento del ricorso, tanto del PG quanto dell’imputato, non siano, complessivamente, fondati.
Invero, occorre preliminarmente dare atto che le osservazioni del Procuratore Generale in tema di configurabilità del consenso richiesto dalla norma citata in premessa, sono da condividere.
E’ da osservare , come già posto in evidenza da Cass. Sez. 1^, 2 ottobre 2003, rv 227033, che il consenso del minore alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, non è espressamente previsto dall’articolo 27, norma che disciplina, ai commi 1 ed 2, il caso in cui, durante le indagini preliminari, il pubblico ministero richieda al giudice, di pronunciare la predetta sentenza, quando risulti la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, nonchè il pregiudizio, per le esigenze educative del minorenne, che possa derivare dall’ulteriore corso del procedimento.
In tale ipotesi, in cui cioè si tratta di non procedere alle ulteriori indagini preliminari, con l’eventualità di inibire anche quelle che potrebbero risultare ad esito favorevole per l’indagato, è previsto che il giudice semplicemente “sente il minorenne” e sente altresì l’esercente la potestà dei genitori, oltre alla persona offesa.
E’ invece previsto, dal successivo art. 32 dello stesso D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, che il giudice, nella udienza preliminare, richieda – dunque anche di ufficio, come del resto ribadito anche dall’art. 27 comma 4 – all’imputato, il consenso alla definizione del processo in quella stessa fase. Con possibilità aperta di definizione tanto nel senso del proscioglimento nel merito, o del riconoscimento del perdono giudiziale o della irrilevanza del fatto ovvero, della condanna prevista in tale articolo.
La giurisprudenza osserva che il consenso serve e deve essere espresso o dall’imputato minorenne o dal difensore di fiducia munito di procura speciale perchè la decisione che il giudice deve adottare può presupporre il riconoscimento di responsabilità.
E’ stato affermato, così, il principio secondo cui “è illegittima la decisione con cui il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale dei minori dichiari, previa acquisizione del consenso del difensore d’ufficio, non luogo a procedere per irrilevanza del fatto nei confronti dell’imputato contumace, in quanto il consenso alla definizione del processo in sede di udienza preliminare per irrilevanza del fatto – che presuppone l’affermazione di responsabilità dell’imputato – deve, D.P.R. n. 448 del 1988, ex art. 32, essere prestato dal minore e non dal difensore d’ufficio, non munito di procura speciale, trattandosi di un diritto personalissimo dell’imputato che può prestare detto consenso personalmente o a mezzo di procuratore speciale (Sez. 5^, Sentenza n. 6374 del 14/01/2010 Cc. (dep. 16/02/2010) Rv. 246156).
Il punto critico evidenziato dagli impugnanti è, però, se il consenso in questione possa ritenersi implicitamente acquisito al momento della manifestazione nel consenso dato (dal difensore di fiducia munito di procura speciale) alla celebrazione, dinanzi al gup, del processo con rito abbreviato.
Ritiene questo Collegio che sia possibile giungere a tale conclusione.
La fattispecie normativa sopra menzionata dell’art. 27, comma 4 (come ampliata con sentenza della C. Cost. n. 149 del 2003) e quella dell’art. 32 regolano il caso in cui la richiesta di definizione del processo per irrilevanza del fatto risulti formulata non nella fase delle indagini preliminari come richiesto dall’art. 27, comma 1, ma successivamente, ovvero, come è accaduto nella specie, per la prima volta, dal Pg, nella fase della discussione in appello.
L’art. 32 regola infatti la fase successiva all’esercizio della azione penale, prevedendo, a differenza dell’art. 27, commi 1 e 2, la figura dell’imputato e richiede il suo consenso espresso che è funzionale ad accettare i diversi epiloghi, anche sfavorevoli, raggiungibili con la regola processuale della “prova contratta”.
Ha osservato, sul tema, la giurisprudenza che ha già esaminato la fattispecie, che il giudice preliminare presso il Tribunale per i minorenni può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto solo quando il minore, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, abbia espresso il proprio consenso alla definizione del giudizio in sede di udienza preliminare (Sez. 6^, Sentenza n. 14173 del 19/02/2009 Cc. (dep. 31/03/2009) Rv. 243687).
In tale sentenza , emessa con riferimento alla decisione del processo nella udienza preliminare ai sensi del D.P.R. n. 448 del 1988, art. 32, è stata sottolineata, appunto, la necessità dell’adesione dell’imputato al procedimento “a prova contratta”, quale è quello che si instaura e che può definirsi, ai sensi dell’art. 32, nella udienza preliminare, con uno dei possibili epiloghi rappresentati dal proscioglimento ex art. 425 c.p.p., dal non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto o infine, dalla condanna.
Si è riconosciuto che l’adesione dell’imputato è resa necessaria dal rispetto del novellato art. 111 Cost., comma 5, e quindi del principio generale del contraddittorio nella formazione della prova – nonchè dall’osservanza della L. n. 63 del 2001, sul giusto processo, che ha introdotto la previsione del necessario consenso dell’imputato alla definizione anticipata del processo nel corso dell’udienza preliminare,modificando l’art. 32.
Per tale ragione, la sentenza citata prevede la necessità del consenso dell’imputato che “costituisce a un tempo condizione dell’utilizzazione in malam partem degli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari e di ammissibilità della definizione anticipata del processo con la formula adottata, atteso che la concessione del perdono o dell’irrilevanza del fatto presuppongono l’affermazione della penale responsabilità”.
Può quindi affermarsi che, anche secondo tale decisione, il consenso dell’imputato alla definizione del processo con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto è della stessa natura e mira alla tutela degli stessi interessi sottesi alla previsione della necessità di espressa richiesta personale con procura speciale, del rito abbreviato, sicchè può dirsi che la formulazione di quest’ultima include la prima.
Ciò posto, la decisione contenuta nella sentenza di impugnata, sebbene non condivisibile, per le ragioni dette, con riferimento alla affermazione della assenza del consenso esplicito dell’interessato alla speciale procedura, non è tuttavia censurabile sotto l’ulteriore e fondante profilo della assenza di altro presupposto: quello costituito dalla valutazione negativa sulla “occasionante del comportamento” del minore.
Infatti la Corte territoriale, investita dal PG di una richiesta nella discussione orale che, quantomeno a verbale, non risulta registrata con motivi concreti e specifici a sostegno, ha opposto la presenza di “procedimenti penali pendenti” considerandoli indicativi di una personalità del minore non compatibile con la ratio dell’istituto.
La motivazione non può dirsi, dunque, alla luce delle modalità e del contenuto della richiesta, in sè del tutto generica, palesemente manchevole su uno o più punti decisivi, avendo fatto riferimento a circostanze rilevanti per la definizione della domanda.
Analoga considerazione deve essere formulata con riferimento al tema dei benefici, deducendosi un vizio della motivazione senza la contemporanea dimostrazione o allegazione delle ragioni positive, utili per l’accoglimento della domanda, portate a conoscenza del giudice nei modi previsti dall’art. 581 c.p.p. e cioè non solo attraverso la eventuale produzione di documenti, ma con la illustrazione del loro contenuto e della specifica rilevanza in relazione alla doglianza formulata.
rigetta i ricorsi.