In tema di patrocinio a spese dello Stato, la condizione di irreperibilità del patrocinato, alla quale l’art. 117 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell’Erario, attiene ad una situazione sostanziale e di fatto, indipendente dalla pronuncia processuale di irreperibilità, che, rendendo il debitore non rintracciabile al momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale.
La Corte di legittimità, ribasce implicitamente anche il diritto del difensore ad essere rimborsato per i compensi relativi alla procedura esecutiva inutilmente esperita per la riscossione dell’onorario.
(Cass. Civile Sez. II, sentenza 10 giungo – 20 luglio 2010, n. 17021)
Corte Supreme di Cassazione
Seconda Sezione Civile
Sentenza 10 giugno – 20 luglio 2010, n. 17021
[OMISSIS]
Svolgimento del processo L’avvocato L.C. ha chiesto al Tribunale di Roma la liquidazione dei compensi per l’attività prestata, quale difensore d’ufficio, ex art. 97 cod. proc. pen., di N.J.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, con provvedimento depositato in data 6 aprile 2004, ha rigettato la domanda.
Avverso detto provvedimento l’avvocato C. ha proposto opposizione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).
Il Tribunale di Roma, con ordinanza depositata il 28 giugno 2005, comunicata il 14 luglio 2005, ha rigettato il ricorso.
Il Tribunale di Roma ha, innanzitutto, rilevato che nel corso del procedimento penale cui era stato sottoposto, il N. aveva dichiarato il domicilio in Roma, via Dandolo n. 10, ove peraltro non era stato reperito, sicché tutte le notificazioni del procedimento penale erano state correttamente eseguite presso il suo difensore d’ufficio.
Ha poi osservato che il sistema di liquidazione dei compensi ai professionisti che svolgono attività di difensori d’ufficio, come delineato dal citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116 si basa sul fatto che il professionista svolge una libera attività in favore del suo cliente, che per ciò è tenuto a retribuirlo. A tal fine, la citata disposizione prevede che solo in casi eccezionali lo Stato intervenga per assicurare il pagamento al professionista, e ciò si verifica nel caso in cui il difensore dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali.
Nel caso di specie, ha quindi affermato il Tribunale, ciò non era avvenuto, giacché il difensore si era limitato a notificare al proprio assistito un decreto ingiuntivo, senza svolgere alcuna attività diretta a rintracciarlo e senza neanche considerare che dagli atti emergeva che il suo assistito era stato identificato anche con altri nominativi, in relazione ai quali nessuna ricerca era stata effettuata, così come nessuna ricerca era stata fatta presso l’ambasciata e il consolato di Polonia.
Per la cassazione di detta ordinanza l’avvocato L.C., con atto notificato all’Agenzia delle Entrate di Roma 2, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e a N.J., ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Avviatosi il procedimento ex art. 375 cod. proc. civ., è stata fissata la trattazione del ricorso in camera di consiglio; con ordinanza in data 14 gennaio 2008, n. 632, la Seconda Sezione Civile ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per la sua assegnazione ad una sezione penale; con provvedimento emesso dalla Quarta Sezione Penale in data 13 ottobre 2009, è stata disposta la trasmissione del fascicolo alla Cancelleria civile, che ha provveduto ad una nuova iscrizione del ricorso nel ruolo generale civile, ed è stata quindi fissata la trattazione del ricorso per la pubblica udienza del 10 giugno 2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 116 e 117; inosservanza ed erronea applicazione della legge in ordine al recupero dei crediti professionali; insufficiente, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente osserva come la normativa che disciplina il recupero dei crediti per prestazioni professionali non preveda affatto lo svolgimento degli incombenti che il Tribunale in sede di opposizione ha ritenuto invece necessari. Tanto ciò è vero, osserva il ricorrente, che anche la Procura della Repubblica aveva dovuto fare ricorso per la notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. e del decreto di citazione diretta a giudizio, all’art. 161 c.p.p., comma 4.
Il ricorrente rileva quindi che, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, aveva fatto tutto ciò che era necessario nel caso di specie, ai fini della notificazione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., e cioè con il rito degli irreperibili, cosi come previsto dal codice di rito civile.
In ogni caso, osserva ancora il ricorrente, pretendere per il difensore l’adempimento di attività ulteriori, sarebbe illogico, atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117 non può essere limitato al solo caso della irreperibilità dichiarata formalmente, trovando esso applicazione anche nel caso di irreperibilità presunta ex art. 161 c.p.p., comma 4.
Il ricorso è fondato e va accolto.
La questione del diritto del difensore d’ufficio al compenso a carico dello Stato ha formato oggetto di esame ripetute volte nella giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte.
In particolare, nella sentenza della Quarta Sezione n. 4153 del 2007, si è affermato il principio di diritto per cui «in tema di gratuito patrocinio, la condizione di irreperibilità del patrocinato alla quale il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117 subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell’Erario, afferisce ad una situazione sostanziale e di fatto – indipendente dalla pronunzia processuale di irreperibilità – che, rendendo il debitore non rintracciabile al momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale».
La citata sentenza è pervenuta a tale conclusione sulla base delle seguenti considerazioni. Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116, riguardante la liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore di ufficio, stabilisce il principio generale che essi sono ammessi e liquidati quando “il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero di crediti professionali”.
Il successivo art. 117 stabilisce, poi, che l’onorario e le spese spettanti al difensore di indagato, imputato o condannato irreperibile “sono liquidati… nella misura e con le modalità previste dall’art. 82”: in tale ultimo caso, quindi, non è più necessaria la propedeutica attività per il recupero dei crediti professionali.
L’art. 117 non specifica la significazione del termine “irreperibile”; in particolare non si richiamano espressamente gli artt. 159 e 160 c.p.c., sicché, in sostanza, non si chiarisce se “irreperibile” è solo il soggetto che tale sia stato dichiarato nel corso del procedimento penale con apposito decreto del giudice, ovvero anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità.
Tuttavia, la ratio sottesa al combinato disposto di tali norme appare evidente: il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell’onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell’erario solo per l’assunzione officiosa dell’incarico professionale.
Ma se tali procedure non sono possibili perché il debitore non è rintracciabile, è, appunto, irreperibile, non può esigersi che il difensore esperisca alcuna attività in tal senso, questa essendo del tutto vanificata da tale condizione del debitore medesimo, e le spese, in tal caso, vanno poste a carico dell’erario, che “ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile”.
Appare allora logico ritenere che tale condizione di “irreperibilità” afferisca, in effetti, ad una situazione sostanziale, di fatto, che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare procedura alcuna per il recupero del credito professionale.
A tale conclusione induce anche la considerazione che la irreperibilità deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa, e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso, e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 cod. proc. pen., rimanendo nondimeno che lo stato di irreperibilità sostanziale impedisce radicalmente al difensore ogni attività procedurale per l’adempimento della obbligazione creditoria; la diversa tesi comporterebbe la conclusione, gravemente indiziata di illegittimità costituzionale, che se l’indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale, e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto.
Non si tratta, quindi, di apprezzare la diversità tra gli istituti di cui all’art. 159 c.p.c. e all’art. 161 c.p.p., comma 4, ma, invece di accertare se il debitore fosse sostanzialmente irrintracciabile, anche in mancanza di un formale decreto ex art. 160 cod. proc. pen., sicché non era esigibile da parte del difensore istante alcuna previa procedura intesa al recupero del credito professionale, tenuto conto anche della sostanziale equiparazione quoad effectum tra la irreperibilità formalmente dichiarata ex art. 159 cod. proc. pen. e quella presunta ex lege ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, (Cass. pen, Sez. 1ª, n. 32284 del 2003).
Nel caso di specie, il ricorrente ha innanzitutto premesso che nel corso del procedimento sia l’avviso di cui all’art. 415 bis cod. proc. pen., sia il decreto di citazione diretta a giudizio sono stati notificati nelle forme dell’art. 161 c.p.c., comma 4; ha quindi dedotto e documentato di avere post in essere la procedura finalizzata ad ottenere l’adempimento da parte del soggetto in favore del quale aveva svolto attività di difensore d’ufficio, precisando di essersi rivolto al locale Consiglio dell’Ordine per ottenere il parere sulla parcella, di essersi rivolto al Giudice di pace per ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo, notificato, unitamente al precetto, con il rito di cui all’art. 143 cod. proc. civ. dopo lo svolgimento di ricerche anagrafiche. Ha in sostanza dedotto di avere svolto la normale attività che nel rito civile è propedeutica alla riscossione del credito.
Il Tribunale ha invece rigettato l’opposizione del difensore sul rilievo che egli non si sarebbe attivato presso l’Ambasciata e il Consolato di Polonia e non avrebbe svolto tutte le ricerche in relazione ai vari nominativi con i quali il suo assistito era stato identificato. In tal modo, peraltro, il Tribunale non ha tenuto conto che ha posto a carico del difensore, per poter accedere al pagamento del compenso per la difesa, d’ufficio nei confronti di un imputato di fatto irreperibile – e tale considerato, anche se non formalmente dichiarato, nel corso del procedimento penale – lo svolgimento di attività che se sono senz’altro esperibili dagli organi pubblici, non appaiono certamente esigibili da un normale creditore che pretenda di agire esecutivamente nei confronti del proprio debitore.
Del resto, l’interpretazione in base alla quale il Tribunale ha rigettato l’istanza del difensore finisce con l’addossare al difensore stesso oneri ulteriori che, nella eventualità assai probabile che l’assistito non venga individuato o non abbia beni suscettibili di essere sottoposti ad esecuzione, finirebbero per gravare sullo Stato (Cass. pen., sez. 4ª, n. 27473 del 2009, secondo cui il difensore d’ufficio, che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione dei propri compensi da parte del giudice ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato e con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, il quale procederà a nuovo esame della opposizione alla luce degli enunciati principi di diritto.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato.
Post Views: 760