Il difensore d’ufficio dell’indagato, dell’imputato e del condannato irreperibile è retribuito secondo le norme relative al patrocinio a spese dello Stato, ma, qualora l’irreperibilità non sia stata dichiarata con provvedimento formale, la corresponsione del compenso è sottoposta alla condizione che egli dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero del credito professionale.
Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quarta Penale
Sentenza 28 gennaio – 30 marzo 2009, n. 13816
[OMISSIS]
L’avv. G.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Giudice monocratico del Tribunale di Trento in data 4.6.2007, con la quale era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto del 13.2.2007 dello stesso Tribunale che aveva respinto l’istanza di liquidazione del compenso per le difese di ufficio di M.N. e M.D., entrambi in Italia senza fissa dimora.
Il giudice di merito ha ritenuto non solo che non era stato emesso alcun decreto di irreperibilità degli imputati, ma che neppure erano state esperite procedure per il recupero del credito professionale.
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 117, 1° comma, D.P.R. 115 del 2002 e per difetto di motivazione, assumendo la rilevanza anche dell’irreperibilità di fatto, ai fini della liquidazione dei compensi, e non necessitando una formale dichiarazione di irreperibilità.
Il ricorso va rigettato, perché infondato.
Ritiene il Collegio di aderire alla giurisprudenza secondo la quale il difensore d’ufficio dell’indagato, dell’imputato e del condannato irreperibile è retribuito secondo le norme relative al patrocinio a spese dello Stato; ciò presuppone un previo provvedimento di irreperibilità reso dall’autorità giudiziaria nella fase delle indagini preliminari, del giudizio o, in sede di esecuzione, dopo la condanna.
Ne consegue che in assenza di detto provvedimento, la mera irreperibilità di fatto del difeso-debitore può dar luogo alla corresponsione del compenso al professionista che abbia prestato la sua opera solo alla condizione che quest’ultimo dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero del relativo credito, che non possono consistere solo nelle previe informative assunte circa l’individuazione del reale domicilio dell’obbligato (Cass. 20.12.2002 n. 10804 riv. 224011; conformi Cass. 3.7.2003 n. 32284 riv. 225117; Cass. 17.10.2007 n. 4153 riv. 238665).
Tale interpretazione deriva dal combinato disposto degli artt. 116, comma 1, e 117, comma 1, D.P.R. 115 del 2002. Tale ultima norma riconosce al difensore di ufficio dell’imputato irreperibile il diritto di ottenere la liquidazione dell’onorario e della spese, mentre la norma precedente riconosce al difensore di ufficio dell’imputato il diritto di ottenere la liquidazione dell’onorario e delle spese, “quando il difensore dimostra di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali”.
È quindi evidente che l’art. 117 si riferisce unicamente all’imputato dichiarato irreperibile in modo “formale”, non essendo in tal caso necessaria alcuna ricerca, mentre la situazione di irreperibilità “di fatto” va inquadrata nel paradigma dell’art. 116 e quindi presuppone l’attivazione, seppure vana, delle procedure per il recupero dei crediti professionali.
In altre parole, l’irreperibilità di fatto ha un suo valore e significato e può legittimare il diritto del difensore di ufficio ad ottenere il pagamento degli onorari e delle spese, ma presuppone una condotta dell’avvocato tale da supplire alla mancanza di un provvedimento formale, dimostrando la impossibilità di ottenere nell’immediato il pagamento del proprio credito professionale.
Nella specie, come risulta dalla chiara motivazione del provvedimento impugnato, non solo gli imputati difesi dall’avv. B. non risultano mai formalmente dichiarati irreperibili, ma il ricorrente non ha mai attivato le procedure per il recupero dei crediti direttamente nei loro confronti, per cui ineccepibilmente il giudice di merito ha rigettato l’opposizione, e confermato il provvedimento del giudice di prime cure.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.