In attuazione del principio stabilito dall’art. 656, comma 6, c.p.p. rimane ferma la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta della misura alternativa.

(Cass. 1^ Sez. Pen. – 24/11/2009-13/01/2010, n. 1137)

Anche qualora, dopo la presentazione, da parte del condannato, dell’istanza di accesso ad una misura alternativa alla detenzione in riferimento alla pena inflitta con una o più sentenze definitive, sopraggiungano altre decisioni irrevocabili di condanna emesse da giudici di diversi distretti di corte d’appello e tali sentenze siano assorbite in apposito provvedimento di cumulo adottato dal pubblico ministero territorialmente competente ai sensi dell’art. 663 c.p.p.

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[OMISSIS]
Il 3 maggio 2004 il Tribunale di Sorveglianza di Napoli dichiarava la propria incompetenza territoriale a provvedere sull’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da S.A. in relazione alla pena residua di due mesi e due giorni di reclusione, oggetto del cumulo emesso dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata il 28 novembre 2006, in quanto, nel frattemopo,  la Procura della Repubblica di Bari aveva adottato, il 9 dicembre 2003, un nuovo provvedimento di unificazione di pene concorrenti.
Il 22 novembre 2007 il Tribunale di Sorveglianza di Bari sollevava d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 6, c.p.p. con riferimento agli artt. 25, comma 1, 111, comma 2, 97, comma 1, Cost. nella parte in cui non prevede che, nelle more della decisione sull’istanza di concessione di misura alternativa alla detenzione, qualora sopravvengano altre sentenze pronunciate da giudici di diversi distretti di corte d’appello nei confronti della stessa persona e il pubblico ministero determini la pena ai sensi dell’art. 663 c.p.p., la competenza a decidere rimanga ferma in favore del Tribunale di Sorveglianza del luogo in cui ha sede l’ufficio di Procura che, al momento della presentazione dell’istanza da parte del libero sospeso ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p., era competente per l’esecuzione.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 10-12 giugno 2009, n. 178 dichiarava inammissibile la questione di legittimità.
Il 23 luglio 2009 il Tribunale di Sorveglianza di Bari, in applicazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella predetta sentenza, declinava la propria competenza territoriale e disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione del conflitto, osservando che, nelle more della decisione, la Procura della Repubblica di Torre Annunziata aveva emesso, il 28 novembre 2006, un ulteriore provvedimento di cumulo nel quale era assorbito il precedente provvedimento della Procura della Repubblica di Bari e che il 13 febbraio 2007 il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva concesso a S.A., in relazione alla pena residua oggetto del cumulo emesso dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata il 28 novembre 2006, l’indulto nella misura di tre anni di reclusione ai sensi della L. 241/2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il conflitto sussiste, in quanto due giudici contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo a quella situazione di stallo processuale, prevista dall’art. 28 c.p.p., la cui risoluzione è demandata a questa Corte dalle norme successive.
Il conflitto, ammissibile in rito, deve essere risolto mediante la dichiarazione di competenza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli per le ragioni di seguito illustrate.
La competenza per territorio della magistratura di sorveglianza è disciplinata dall’art. 677 c.p.p. in relazione alla condizione in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio d’ufficio del relativo procedimento.
Nel caso in esame assume rilevanza il disposto di cui al secondo comma dell’art. 677 c.p.p., in base al quale “quando l’interessato non è detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente, appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Se la competenza non può essere determinata secondo il criterio sopra citato, essa appartiene o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere e, nel caso di più sentenze di condanna o proscioglimento, al tribunale o al magistato di sorveglianza del luogo in fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima”.
Come si ricava dall’interpretazione letterale della norma, essa si applica “se la legge non dispone diversamente”, sicché quelli previsti dalla citata disposizione assumono il rango di criteri generali di competenza, ai quali, peraltro, la legge può apportare deroghe.
Come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Cass., sentenze n. 38171 del 2008, n. 38047 del 2005 e n. 47881 del 2004), una di tali deroghe è costituita dalla previsione contenuta nell’art. 656, comma 6, c.p.p., secondo cui l’istanza va trasmessa al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha promosso la sospensione del’esecuzione. Viene così stabilito un criterio specifico che determina la competenza del tribunale di sorveglianza in base ad un parametro diversodal luogo di residenza o di domicilio.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza, radicatasi ai sensi della norma ora citata, rimane ferma anche qualora sopravvengano altri titoli esecutivi sulla base di sentenze definitive di condanna promunciate da giudici di diverso distretto di corte d’appello. In tal caso è applicabile il principio della perpetuatio jurisdictionis, secondo il quale, una volta radicatasi la competenza per territorio con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta di una misura alternativa alla detenzione, tale competenza resta insensibile agli eventuali mutamenti che tale situazione può subire in virtù di altri successivi provvediementi (Cass. Penale Sez. I, n. 198 del 2004; Cass. Pen. Sez. I, n. 3084 del 1993).
Si tratta di un criterio di orientamento certo ed obiettivo, che, in presenza della stessa domanda di concessione di una misura alternativa alla detenzione, consente di evitare il trasferimento del procedimento di sorveglianza davanti a giudici di volta in volta diversi, in relazione al continuo aggiornamento della posizione esecutiva di un condannato.
La ratio di tale criterio risiede nell’esigenza di garantire, una volta intervenuta la sospensione dell’esecuzione, la celerità del procedimento ed il collegamento con il pubblico ministero che ha disposto la sospensione (cfr. Corte Cost., sentenza n. 178 del 2009).
Sulla base di queste considerazioni è possibile affermare che, qualora, dopo la presentazione, da parte del condannato, dell’istanza di accesso ad una misura alternativa alla detenzione in riferimento alla pena inflitta con una o più sentenze definitive, sopraggiungano altre decisioni irrevocabili di condanna emesse da giudici di diversi distretti di corte d’appello e tali sentenze siano assorbite in apposito provvedimento di cumulo adottato dal pubblico ministero territorialmente competente ai sensi dell’art. 663 c.p.p., rimane ferma, in attuazione del principio stabilito dall’art. 656, comma 6, c.p.p., la competenza per territorio del tribunale di sorveglianza radicatasi con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta della misura alternativa.
In attuazione di tali principi, nel caso di specie deve essere dichiarata la competenza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, cui S.A. aveva avanzato istanza di affidamento in prova al servizio sociale all’esito del provvedimento di sospensione dell’ordine di carcerazione, emesso, ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p., dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli.
[OMISSIS]

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