Le misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 O.P. e quella della detenzione domiciliare “generica” ex art. 47 ter, comma 1-bis O.P. presuppongono entrambe l’idoneità del beneficio ad evitare che il condannato commetta altri reati, cambiando soltanto l’intensità del pericolo di recidiva, che concretamente la misura deve tendere a neutralizzare.
(Tribunale di Sorveglianza di Torino, ordinanza 20 giugno 2012, Pres. COCILOVO, Est. VIGNERA; ric. F.)

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale di Sorveglianza di Torino

composto da:
1) Dott. Giuseppe Cocilovo                Presidente
2) Dott. Giuseppe Vignera                 Giudice rel.
3) Dott. Sabrina Gallo                       Esperto
4) Dott. Margherita Bassini                Esperto
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
nei confronti di F. R., nato a XXXX il XXXX, residente in XXXX, Via XXXX n. 34, difeso dall’Avv. G. Pagano del Foro di Genova, nel procedimento di sorveglianza avente ad oggetto l’applicazione di misura alternativa alla detenzione in relazione alla pena  di cui alla sentenza N. 546/2011 emessa dal GIP presso il Tribunale di XXXX il 19 maggio 2011.
FATTO E DIRITTO
1. – F. R. è stato condannato alla pena di anni 4 di reclusione per concorso in tentato omicidio commesso il 6 luglio 2008 in XXXX.
Il F., in particolare, contattato da un proprio amico-datore di lavoro che “intendeva dare una lezione” al proprio socio (la vittima del reato), procurava all’amico stesso due killers: i quali, presentatisi a casa della vittima, la colpivano all’emitorace sinistro con un colpo di arma da fuoco e con una coltellata.
Nella sentenza di condanna, peraltro, si afferma che la l’attività del F. “non può essere inquadrata in quella di semplice mediatore tra il mandante e gli esecutori materiali” perchè “egli partecipa attivamente a tutti gli incontri avvenuti fra gli odierni imputati ed ha svariati contatti telefonici con gli stessi” (v. pag. 35 della sentenza del GUP del Tribunale di XXXX in data 19 maggio 2011).
Con la stessa sentenza, inoltre, si ridimensiona l’importanza della collaborazione data dal F. alle Forze dell’Ordine, la quale è parsa finalizzata ad ottenere soltanto una riduzione della pena (“Le informazioni fornite dal F., infatti, sono significative, ma non determinanti nè preponderanti. Quanto da lui dichiarato poteva essere desunto dall’evidenza disponibile, nonchè dai tabulati telefonici”).
Il soggetto annovera un’altra condanna per violazione della normativa sugli stupefacenti commessa nel 1995, la cui pena è stata dichiarata estinta per esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale disposto l’11 febbraio 1999 dal Tribunale di Sorveglianza di Genova.
Non risultano procedimenti pendenti.
Poiché al momento dell’emissione dell’ordine di carcerazione il predetto si trovava agli arresti domiciliari in XXXX (AL), il P.M. ha trasmesso gli atti a questo Tribunale ex art. 656, comma 10, c.p.p.
La fine della pena è prevista per il 27 aprile 2014.
L’UEPE di Alessandria riferisce che il soggetto:
–  figlio unico di ragazza madre, è cresciuto nel nucleo formato successivamente  dalla madre stessa con un altro compagno;
–  a 21 anni si è sposato con una coetanea, dalla quale si è separato dopo 6 mesi;
– nel 2006 si è sposato nuovamente con una donna rumena, ma “il rapporto coniugale è andato in crisi a seguito della vicenda reato”;
– convive attualmente con la nonna e gli zii materni (unici suoi parenti dopo la morte della madre avvenuta nel marzo 2012);
– fino al 1990 avrebbe lavorato presso il negozio di articoli musicali della madre, mentre negli anni successivi avrebbe lavorato “come autonomo, nel settore dei trasporti con diverse ditte, tra cui la SDA, Bartolini ed altre ancora, fino al momento dell’arresto”;
– attualmente non svolge  alcuna attività lavorativa, dichiarando di aver reperito informazioni su corsi formativi relativi a nuovi settori produttivi e dicendosi interessato a frequentare uno di codesti corsi (magazziniere, oppure installatore di impianti fotovoltaici, carrellista);
–  è disposto ad impegnarsi pure “nel reperimento di un ente o associazione ove svolgere” attività riparatoria di volontariato;
–  ha ammesso solo parzialmente le sue responsabilità, “minimizzando la portata delle sue azioni rispetto al ruolo attribuitogli in sentenza” perché “si reputa una persona dedita al lavoro e non facente parte di ambienti devianti o malavitosi”.
I Carabinieri di Alessandria hanno comunicato che il soggetto:
– oltre alla condanna in esecuzione ed a quella del 1998 per “detenzione di sostanza stupefacente oltre la modica quantità”, risulta essere stato denunciato il 21 ottobre 2008 dalla Stazione CC di XXXX per furto aggravato (ma l’Ufficio ha accertato che il procedimento è stato archiviato per infondatezza della notizia di reato);
– non ha dato adito a rimarchi di sorta durante gli arresti domiciliari in XXXX.
2. – Nella fattispecie non risulta applicabile alcuna misura alternativa alla detenzione.
Mentre osta alla concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale e della semilibertà la sola inesistenza di una concreta attività lavorativa o di una concreta attività di volontariato da svolgere durante l’esecuzione di codeste misure (che, quindi, non avrebbero uno “strumento” operativo), nel caso sub iudice si considerano insussistenti pure i presupposti della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1-bis, O.P.
2. 1. – A questo proposito va osservato che preliminarmente che:
– “in assenza di indicazioni legislative circa le condizioni cui ancorare il giudizio per la concessione della detenzione domiciliare nelle ipotesi indicate dal comma 1-bis dell’art. 47 ter della legge n. 354 del 1975 (cd. ordinamento penitenziario), salva l’insussistenza di condizioni per l’affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza ha l’obbligo di dare conto delle ragioni che l’hanno indotto a ritenere la presenza di elementi atti a ritenere il beneficio idoneo ad evitare che il condannato commetta altri reati” (così la motivazione di Cass. pen., Sez. 1, sentenza 1° dicembre 1999 n. 6712, P.G. in proc. Marrone);
– il pericolo di recidiva da prevenire non deve essere rapportato soltanto al  periodo di esecuzione della misura, ma deve ovviamente riguardare pure il periodo successivo alla cessazione della stessa (misura);
–  detto altrimenti, ai fini della concessione della detenzione domiciliare non basta la probabilità che il soggetto non commetta altri reati (solo) durante l’esecuzione della misura, ma è necessaria la probabilità che il condannato si asterrà dal farlo anche dopo;
– ciò si desume, oltreché dallo stesso tenore letterale della disposizione (che non contiene limitazioni temporali: “sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati”), anche e soprattutto dal fatto che pure “la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato” (così tra le più recenti Cass. pen., Sez. 1, sentenza 18 giugno 2008 n. 28555, Graziano, in motivazione);
– per stabilire l’idoneità della detenzione domiciliare ad evitare che il condannato commetta altri reati, pertanto, gli elementi di valutazione “possono riguardare sia l’efficacia delle prescrizioni che saranno imposte, sia le caratteristiche di personalità del soggetto o i progressi fatti registrare nel corso dell’eventuale trattamento intramurario, sia infine gli esiti delle indagini svolte sulla condotta mantenuta dal soggetto in ambiente libero” (così Cass. pen., Sez. 1, sentenza 1° dicembre 1999, n. 6712, P.G. in proc. Marrone);
–  oltre all’idoneità della misura a prevenire il pericolo di recidiva, infine, la concessione  della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1-bis, O.P. presuppone pure (sebbene non esplicitamente richiamata dal testo normativo in quanto elemento coessenziale ad ogni beneficio penitenziario) la meritevolezza del beneficio da parte del condannato [cfr. in relazione alla “speculare” disposizione ex art. 47 ter, comma 01, O.P.la parte motiva di Cass. pen., Sez. 1, sentenza 18 giugno 2008 n. 28555, Graziano:  “l’art. 47 ter, comma 01 (‘la pena può essere espiata…’), contenente un univoco riferimento, al pari di quanto previsto da tutte le altre disposizioni in materia di benefici penitenziari, ad un potere discrezionale della magistratura di sorveglianza, cui è riservato il potere di verifica, in ogni caso, della meritevolezza del condannato e della idoneità della misura invocata a facilitarne il reinserimento nella società. Non è, quindi, previsto in tale materia alcun automatismo proprio perché la ratio di tutte le misure alternative alla detenzione – anche quando sono ammissibili perché rientranti negli specifici limiti previsti per ciascuna di esse – è quella di favorire il recupero del condannato e di prevenire la commissione di nuovi reati. Significativa, in tale senso, è la circostanza che il legislatore, anche con riguardo alla detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, non ha dato vita ad un istituto autonomamente e specificamente disciplinato, bensì ha introdotto alcune modifiche nell’art. 47 ter O.P., lasciando quindi sottoposta anche tale misura alla disciplina generale in tema di detenzione domiciliare, alle modalità, alle prescrizioni ed agli interventi del servizio sociale previsti dal comma 4 della medesima disposizione, ai controlli di cui al comma 4-bis ed alla revoca per il caso di evasione o di incompatibilità del comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, con la prosecuzione della misura (commi sesto e seguenti)”; in argomento v. pure la motivazione di Cass. pen., Sez. 1, sentenza 24 ottobre 1996 n. 5523, Chiofalo: “Anche per la detenzione domiciliare la concedibilità del beneficio non si sottrae al criterio della valutazione discrezionale da parte del giudice, che deve riguardare, al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità, l’opportunità del trattamento alternativo che, come per ogni altra misura della stessa categoria, deve concernere le premesse meritorie e l’attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato”].
Se si prescinde, quindi, dalle diverse entità delle pene da espiare e dalle condizioni di ammissibilità specificamente previste per la detenzione domiciliare  dall’art. 47 ter, comma 1-bis, ultima parte, O.P.,  a ben considerare i presupposti dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 O.P. e quelli della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1-bis. O.P. sono sostanzialmente identici e si concretano  in entrambi i casi  i casi nella circostanza che il beneficio risulti idoneo ad evitare che il condannato commetta altri reati [v. in tal senso Cass. pen., Sez. 1, sentenza 9 aprile 2002 n. 21274, nella cui motivazione sta scritto: “La misura alternativa della detenzione domiciliare, nella ipotesi prevista dall’art. 47 ter co. 1-bis O.P., può essere concessa in relazione alla brevità della pena detentiva (non superiore a due anni) da scontare e alla non applicabilità dell’affidamento in prova al servizio sociale, purché il beneficio risulti idoneo ad evitare che il condannato commetta altri reati. Detta misura, dunque, si configura come un minus rispetto all’affidamento in prova, nel senso che, una volta verificata la sussistenza delle due prime condizioni, il presupposto connesso alla formulazione di una prognosi positiva è comune alla misura alternativa di cui all’art. 47 ord. pen. e non comporta un autonomo accertamento, da operare ex novo, ferma restando, comunque, la possibilità per il tribunale di sorveglianza di acquisire ulteriori elementi ad integrazione di quelli già disponibili, utilizzati ai fini dell’esame della istanza di affidamento in prova. Ne consegue che, tenuto conto del particolare rapporto tra le due misure alternative stabilito dalle norme che le disciplinano, la declaratoria di inammissibilità della richiesta di detenzione domiciliare, proposta in udienza in subordine a quella di affidamento, è illegittima, in quanto in contrasto con la specifica funzione e la ratio dell’istituto”; analogamente Cass. pen., Sez. 1, sentenza 10 febbraio 2010 n. 16442, Pennacchio].
Quella che cambia è soltanto l’intensità del pericolo di recidiva, che la misura deve tendere a neutralizzare.
Quando, infatti, risulta che il processo evolutivo della personalità del condannato verso modelli di vita socialmente adeguati è ad uno stadio avanzato e/o prossimo alla meta (id est: alla completa rieducazione del reo), trova giustificazione la concessione della misura dell’affidamento in prova, alla quale è coessenziale un’ampia libertà del beneficiario.
Quando, invece, tale processo è  ad uno stadio iniziale e/o comunque tale da non giustificare ancora il godimento di quell’ampia libertà, la misura più adeguata risulta quella (più “restrittiva”) della detenzione domiciliare.
2. 2. – Orbene!
A prescindere dalla regolarità della condotta mantenuta dal F. durante gli arresti domiciliari, non sussistono altri elementi da cui desumere l’idoneità della detenzione domiciliare ad evitare che il predetto (una volta cessata l’esecuzione della misura) commetta altri reati.
Invero:
–  il ruolo svolto dal soggetto in occasione della consumazione del grave reato de quo (ruolo consistito nel “procacciamento” di due pericolosi killers, che su commissione di un amico-datore di lavoro del F. hanno con una pistola e con un coltello cercato di uccidere un uomo loro sconosciuto, che se ne stava la sera seduto a casa sua a guardare la televisione: v. pag. 5 della sentenza del GUP del Tribunale di XXXX in data 19 maggio 2011) dimostra inequivocabilmente una stretta  contiguità del F. con ambienti criminali altamente pericolosi;
–  negando o ridimensionando tale suo ruolo nel corso dell’indagine dell’UEPE di Alessandria e dichiarandosi in quella stessa sede da sempre estraneo “ad ambienti devianti o malavitosi”, il F. non ha fatto altro che dimostrare la sua intenzione di mantenere relazioni con quegli stessi ambienti, con i quali era in contatto prima della consumazione del reato (ambienti per lui “puliti”, ma verosimilmente assai pericolosi);
–  il soggetto non dispone più di quelle risorse affettive ed economiche, che (a suo dire) aveva prima della commissione del delitto in questione, di guisa che sotto questo profilo il pericolo di recidiva può dirsi “aggravato” rispetto al passato;
–  a prescindere dai suoi dichiarati “buoni propositi”, infine, il F. durante il lungo periodo degli arresti domiciliari (iniziati il 28 febbraio 2011: quindi, da circa 16 mesi) non ha  svolto né attività lavorative né attività di volontariato con finalità riparatorie (queste ultime assai facili da reperire…), così mancando pure sotto questo profilo ogni concreto elemento sintomatico dell’evoluzione della personalità del soggetto verso modelli di vita socialmente adeguati.

P.Q.M.

dichiara che a F. R. non è applicabile alcuna delle misure alternative di cui al comma 5 dell’art. 656 c.p.c.; manda alla Cancelleria di comunicare il presente provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di XXXX per la revoca del provvedimento di sospensione dell’esecuzione emesso in data 16 febbraio 2012 ex art. 656, comma 10, c.p.p.

Torino, 20 giugno 2012

Il Giudice estensore
Dr. Giuseppe Vignera
Il Presidente
Dr. Giuseppe Cocilovo

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