Le decisioni della magistratura di sorveglianza, rese su reclami proposti dai detenuti a tutela dei propri diritti e secondo la procedura contenziosa di cui all’art. 14-ter della legge 26 luglio 1974 n. 354 (Ordinamento penitenziario), devono ricevere concreta esecuzione e non possono essere private di effetti pratici dal Ministro della Giustizia né di alcuna altra autorità.
(Corte Costituzionale, sentenza 3- 7 giugno 2013, n. 135)
Corte Costituzionale
Sentenza 3 – 7 giugno 2013, n. 135
[OMISSIS]nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento del Ministro della giustizia del 14 luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011, con il quale è stato disposto di non dare esecuzione all’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma del 9 maggio 2011, n. 3031, promosso dallo stesso Magistrato di sorveglianza di Roma con ricorso notificato il 3 aprile 2012, depositato in cancelleria il 23 aprile 2012 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di merito.
Udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Presidente Franco Gallo, in luogo e con l’assenso del Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Roma, con ricorso dell’11 novembre 2011, depositato il 14 novembre successivo, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Governo della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia», al fine di sentir dichiarare che – ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113 della Costituzione – non spetta al Ministro della giustizia e ad alcun organo di Governo disporre che non venga data esecuzione ad un provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli artt. 14-ter, 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), con il quale sia stato dichiarato, in via definitiva, che un determinato comportamento dell’Amministrazione penitenziaria è lesivo di un diritto in danno del detenuto reclamante.
1.1.– Il ricorrente premette in fatto che, con provvedimento del 29 ottobre 2010, il competente Direttore generale del Ministero della giustizia aveva disposto che venisse preclusa nella Casa circondariale Rebibbia di Roma, per tutti i detenuti sottoposti a regime di sospensione delle regole trattamentali (art. 41-bis ord. pen.), la visione dei programmi irradiati dalle emittenti «Rai Sport» e «Rai Storia». Al provvedimento era stata data immediata esecuzione.
Uno dei detenuti interessati aveva proposto, a norma degli artt. 35 e 69 ord. pen., un reclamo innanzi al magistrato di sorveglianza, prospettando l’intervenuta lesione del proprio diritto soggettivo all’informazione. Il giudice investito del reclamo, dopo aver condotto il procedimento regolato dall’art. 14-ter ord. pen., aveva provveduto con ordinanza del 9 maggio 2011, stabilendo che l’oscuramento delle emissioni di «Rai Sport» e di «Rai Storia» aveva leso, in effetti, un diritto soggettivo del detenuto reclamante. Lo stesso giudice, di conseguenza, aveva annullato il provvedimento assunto dall’Amministrazione penitenziaria, ordinando il ripristino della possibilità, per l’interessato, di assistere ai programmi trasmessi dalle emittenti indicate.
In particolare, il Magistrato di sorveglianza aveva affermato sussistere uno specifico diritto soggettivo dei detenuti ad essere informati, promanante dall’art. 21 Cost. ed esplicitamente tutelato dagli artt. 18 e 18-ter ord. pen. L’esercizio di tale diritto potrebbe essere oggetto di particolari restrizioni, nei confronti dei detenuti sottoposti a sospensione delle regole trattamentali, solo nei limiti fissati al comma 2-quater, lettera a), dell’art. 41-bis ord. pen., cioè allo scopo di prevenire contatti tra il detenuto ed i membri delle organizzazioni criminali di riferimento. Nel caso di specie, il giudice del reclamo non aveva accertato alcun nesso concreto tra l’oscuramento del segnale delle due emittenti Rai e l’esigenza di impedire che, attraverso la trasmissione in video di brevi messaggi scritti provenienti dagli spettatori, giungessero ai detenuti indebite comunicazioni. Ciò anche in considerazione del fatto che era rimasta libera, comunque, la ricezione dei programmi di altre sette reti nazionali, mentre le trasmissioni di una ulteriore emittente, effettivamente adusa alla riproduzione in video dei messaggi inviati dal pubblico televisivo, erano già state «oscurate» con un precedente provvedimento, ritenuto legittimo dall’autorità giudiziaria.
Il ricorrente aggiunge che l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza era stata comunicata ritualmente all’Amministrazione penitenziaria, la quale non aveva proposto la pur consentita impugnazione.
1.2.– Il Magistrato di sorveglianza di Roma prosegue informando d’essere stato investito, in data 1° luglio 2011, di un ulteriore reclamo del detenuto che aveva promosso il precedente procedimento, dal quale si apprendeva che l’Amministrazione penitenziaria non aveva riattivato il segnale di «Rai Sport» e di «Rai Storia».
La conseguente istruttoria ha posto in luce come il Ministro della giustizia, su proposta del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, avesse disposto, con decreto del 14 luglio 2011, la «non esecuzione» del provvedimento giudiziale adottato in esito al primo reclamo.
In queste condizioni il Magistrato di sorveglianza non sarebbe in grado di assicurare effettiva tutela al diritto soggettivo la cui lesione è già stata accertata e dichiarata con l’ordinanza che il Ministro della giustizia ha espressamente disposto di non eseguire.
Sarebbe dunque inevitabile, secondo il ricorrente, che venga dichiarato che non spetta al Ministro e ad alcun organo del Governo di stabilire se debba o non essere data esecuzione ad un provvedimento assunto dal magistrato di sorveglianza, quale giudice della tutela dei diritti soggettivi dei detenuti. Ciò anche al fine di procedere, da parte della Corte costituzionale, all’annullamento del citato provvedimento ministeriale del 14 luglio 2011.
1.3.– Il ricorrente, in particolare, prospetta una lesione per menomazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute al potere giudiziario, avuto riguardo alla magistratura di sorveglianza quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti e di eventuali loro violazioni ad opera dell’Amministrazione penitenziaria.
La rilevanza costituzionale della specifica attribuzione sarebbe dimostrata, con immediatezza, dal fatto che la tutela in questione non è regolata da norme positive, ma costituisce il frutto di una «necessità» individuata dalla Corte costituzionale, sul piano generale, con la sentenza n. 26 del 1999, e poi specificamente assicurata, mediante il procedimento per reclamo, in seguito ad una decisione delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione (sentenza n. 25079 del 2003) e ad una successiva pronuncia della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 266 del 2009).
L’indicata attribuzione, che si connette al disposto degli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost., sarebbe pregiudicata dal provvedimento ministeriale di «non esecuzione» del deliberato del Magistrato di sorveglianza di Roma, che pure espressamente accerta la lesione di un diritto soggettivo in capo al detenuto reclamante. La tutela giurisdizionale dei diritti delle persone ristrette in carcere, costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettività, ove si riconoscesse all’Amministrazione la possibilità di decidere discrezionalmente se dare esecuzione o non ai provvedimenti del magistrato. Dunque il decreto del Ministro della giustizia, implicando un’omissione tale da menomare le attribuzioni del potere confliggente, dovrebbe essere annullato (sono citate le ordinanze n. 228 e n. 229 del 1975, n. 354 del 2005, e la sentenza n. 132 del 1993).
In sostanza, secondo il ricorrente, l’atto impugnato implica una situazione ordinamentale, dal punto di vista della giurisdizione di tutela dei diritti dei detenuti, equivalente a quella in essere prima della pronuncia della Corte costituzionale n. 26 del 1999. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza sarebbe degradato a mera sollecitazione rivolta verso l’Amministrazione, in specifico contrasto con gli approdi più recenti della stessa giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe accreditato un’interpretazione del comma 5 dell’art. 69 ord. pen. nel senso che i provvedimenti giudiziali devono essere eseguiti dall’Autorità penitenziaria (è citata la sentenza n. 266 del 2009).
1.4.– Il Magistrato di sorveglianza considera anche, nel proprio ricorso, il supporto motivazionale del provvedimento impugnato (costituito da un atto del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, asseverato dal Ministro), ove si assume: che l’Autorità penitenziaria potrebbe limitare i diritti dei detenuti sottoposti allo speciale regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., compreso il diritto all’informazione; che l’oscuramento del segnale di alcune emittenti televisive era stato disposto dopo aver riscontrato che, nel corso delle relative trasmissioni, «venivano trasmessi sms del pubblico»; che, d’altra parte, l’ottemperanza al provvedimento del magistrato avrebbe implicato l’accesso illimitato a qualunque canale digitale per tutti i detenuti della Casa circondariale.
Il ricorrente osserva, in primo luogo, che gli argomenti evocati nell’atto erano già stati valutati e respinti nel procedimento poi concluso con l’ordine di ripristinare la visione dei canali «Rai Sport» e «Rai Storia», sulla considerazione, tra l’altro, che nessuna prova era emersa circa la trasmissione di messaggi provenienti dal pubblico ad opera delle emittenti indicate (e che la circostanza era stata verificata, semmai, quanto ai programmi di «Rai Due», mai «filtrati» dall’Amministrazione).
Le difficoltà tecniche genericamente addotte per l’esecuzione del provvedimento non sussisterebbero, e sarebbe d’altra parte inaccettabile, a parere del ricorrente, l’argomento per il quale il reclamante avrebbe ottenuto, in caso di adempimento, un trattamento migliore di quello riservato agli altri detenuti in analoga condizione: una pari situazione di offesa per i diritti fondamentali non può legittimare il protrarsi della lesione nei confronti dei singoli che la facciano valere, e spetta semmai all’Amministrazione riconoscere l’illegittimità del proprio agire con un provvedimento a carattere generale.
Il rimettente ricorda, anche in questo passaggio, che l’Amministrazione non si era avvalsa, al momento opportuno, della possibilità di impugnare l’ordinanza giudiziale mediante ricorso per cassazione, determinandone così il carattere di pronuncia definitiva sulla regiudicanda. Il carattere reiterativo, incongruo e infondato delle argomentazioni mirate a giustificare l’inottemperanza darebbe conferma della mera volontà dell’Amministrazione di disconoscere la forza cogente dei provvedimenti assunti dalla magistratura di sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti.
1.5.– Tutto ciò premesso, il giudice ricorrente chiede sia dichiarato che non spetta al Ministro della giustizia non ottemperare ad un provvedimento dato dall’Autorità giudiziaria competente, posta la pertinenza di questo ad un procedimento giurisdizionale, deputato alla difesa di diritti soggettivi della persona, affidato in primo grado al magistrato di sorveglianza ed in grado di legittimità alla Corte di cassazione. Chiede di conseguenza l’annullamento del decreto ministeriale posto ad oggetto del ricorso.
2.– Con ordinanza n. 46 del 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il presente conflitto di attribuzione tra poteri, riconoscendo la legittimazione passiva del solo Ministro della giustizia. Hanno fatto seguito la rituale notifica del provvedimento e del ricorso al citato Ministro, ed il tempestivo deposito degli atti, presso la cancelleria della stessa Corte, a cura del Magistrato ricorrente.
Il Ministro della giustizia non si è costituito nel giudizio.
3.– Il ricorrente ha depositato, in data 27 marzo 2013, una memoria illustrativa con allegata copia di due atti, pertinenti alla vicenda dalla quale è scaturito il conflitto.
3.1.– Si tratta, in primo luogo, della circolare del 31 gennaio 2012 con la quale il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha disposto che fosse assicurata, per tutti i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., la visione dei programmi irradiati con segnale digitale da una serie di emittenti televisive, tra le quali «Rai Sport» e «Rai Storia».
In secondo luogo, è prodotta la nota dell’11 giugno 2012 con la quale la Direzione della Casa circondariale Rebibbia N.C. ha comunicato al Magistrato di sorveglianza di Roma d’avere dato esecuzione alle nuove disposizioni ministeriali, includendo le emittenti citate tra quelle i cui programmi sono fruibili dai detenuti in regime di sospensione delle regole trattamentali.
3.2.– Ciò premesso, il Magistrato di sorveglianza di Roma insiste per l’accoglimento del proprio ricorso, escludendo in particolare che possa considerarsi cessata la materia del contendere.
Secondo il ricorrente, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che l’indicata cessazione si verifica solo quando l’atto impugnato perda la propria efficacia ex tunc, e non resti controvertibile l’appartenenza del potere contestato (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 74 del 1960, n. 3 del 1962, n. 150 del 1981 e n. 49 del 1998). In particolare – si osserva – la cessazione è stata dichiarata quando lo stesso potere confliggente ha riconosciuto la spettanza alla controparte del potere contestato (sentenza n. 469 del 1999), o quando è venuta meno la prerogativa sul cui esercizio era fondata la materia del contendere (sentenze nn. 462 e 463 del 1993, relative all’intervenuta modifica, nelle more dei giudizi, dell’art. 68 Cost., nella parte relativa alla prescritta autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari).
Nel caso di specie, l’Amministrazione si sarebbe limitata a modificare un proprio precedente provvedimento, non intervenendo in alcun modo sul decreto del Ministro posto ad oggetto dell’impugnazione, e senza alcuna ammissione, neppure implicita, che non spettava al Ministro medesimo disporre che non fosse data esecuzione al provvedimento giudiziale. D’altra parte, gli effetti dell’atto lesivo si sarebbero esauriti, ma non con efficacia ex tunc, essendo rimasta lungamente preclusa, per il detenuto interessato, la visione dei programmi televisivi di suo interesse.
3.3.– Ribadendo i propri argomenti circa il merito del conflitto, il Magistrato di sorveglianza di Roma segnala la recente pronuncia resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in data 8 gennaio 2013, nella procedura Torreggiani v. Italia.
Si osserva, in primo luogo, come il Governo italiano, nell’intento di documentare l’esistenza nell’ordinamento interno di uno strumento efficace di tutela dei diritti dei detenuti, abbia sostenuto innanzi alla Corte europea che la procedura di reclamo disciplinata dagli artt. 35 e 69 ord. pen. consentirebbe di ottenere «decisioni vincolanti e suscettibili di riparare eventuali violazioni dei diritti dei detenuti». In particolare la Corte, motivando il proprio provvedimento, ha rilevato che «secondo il Governo, il procedimento davanti al magistrato di sorveglianza costituisce un rimedio pienamente giudiziario, all’esito del quale l’autorità adita può prescrivere all’amministrazione penitenziaria misure obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona interessata».
Per un verso, dunque, lo stesso potere confliggente avrebbe (altrove) riconosciuto il fondamento della pretesa fatta valere nel presente giudizio. Per altro verso, la Corte europea avrebbe constatato che il carattere di effettività della procedura di reclamo è pregiudicato da inottemperanze dell’Autorità amministrativa, la quale, nel caso sottoposto al suo giudizio, non ha dato esecuzione al provvedimento del Magistrato di sorveglianza concernente il ricorrente, tanto che sarebbe stato ingiunto allo Stato italiano di apprestare «senza indugio un ricorso che abbia effetti preventivi e compensativi, volti a garantire una effettiva riparazione delle violazioni della Convenzione».
Considerato in diritto
1.– Il Magistrato di sorveglianza di Roma ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Governo della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia», al fine di sentir dichiarare che – ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113 della Costituzione – non spetta al Ministro della giustizia e ad alcun organo di Governo disporre che non venga data esecuzione ad un provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli artt. 14-ter, 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), con il quale sia stato dichiarato, in via definitiva, che un determinato comportamento dell’Amministrazione penitenziaria è lesivo di un diritto in danno del detenuto reclamante.
Oggetto del ricorso è un provvedimento assunto dal Ministro della giustizia, in data 14 luglio 2011, con il quale era stato disposto che non fosse data esecuzione ad una ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma deliberata il 9 maggio 2011, e non impugnata dall’Amministrazione penitenziaria.
La decisione giudiziale aveva accolto il reclamo di un detenuto, con cui si denunciava l’asserita illegittimità di un provvedimento che aveva precluso, riguardo alle persone soggette al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., la possibilità di assistere a programmi televisivi trasmessi dalle emittenti «Rai Sport» e «Rai Storia». Il Magistrato di sorveglianza, con riferimento alle due emittenti in questione, aveva ritenuto ingiustificato il provvedimento assunto dall’Amministrazione, mancando la prova dell’esigenza di cautela che avrebbe dovuto giustificarlo (cioè la trasmissione, nel corso dei programmi televisivi, di messaggi scritti inviati dal pubblico, con la possibilità che si trattasse di comunicazioni dirette ai detenuti in regime speciale di reclusione). Per altro verso, il giudice del reclamo aveva ritenuto che il provvedimento implicasse una compressione – illegittima per le ragioni appena indicate – del pieno esercizio di un diritto soggettivo, cioè quello all’informazione, presidiato dall’art. 21 Cost. e ribadito dagli artt. 18 e 18-bis ord. pen.
Per quanto non avesse impugnato l’ordinanza giudiziale, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aveva proposto al Ministro di non dare esecuzione all’ordine di ripristinare il segnale televisivo fruibile dal reclamante, sulla base di argomenti critici circa il merito della decisione, ed in tal senso il Ministro aveva disposto.
Secondo il ricorrente, il decreto impugnato postula in capo al Ministro della giustizia ed all’Amministrazione penitenziaria il potere di non dare corso alla decisioni assunte dal magistrato di sorveglianza a tutela dei diritti soggettivi dei detenuti. L’attribuzione di tale potere, tuttavia, priverebbe la tutela giudiziale dei diritti di ogni effettività, in contrasto con i parametri costituzionali sopra indicati. Questa Corte viene dunque richiesta di dichiarare che l’inottemperanza dei provvedimenti giudiziali concernenti i diritti dei detenuti menoma le attribuzioni costituzionali del potere giudiziario, e di annullare, per l’effetto, il decreto ministeriale in questione.
2.– Il presente conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 46 del 2012, individuando il soggetto passivo nel solo Ministro della Giustizia. Tale giudizio va integralmente confermato in questa sede, sussistendo in particolare la legittimazione passiva del citato Ministro in forza delle attribuzioni direttamente conferitegli dall’art. 110 Cost. in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i quali sono compresi i servizi pertinenti all’esecuzione delle misure e delle pene detentive (tra le altre, sentenza n. 383 del 1993). Proprio in rapporto all’indicata e diretta legittimazione del Ministro della giustizia, d’altra parte, questa Corte ha ritenuto insussistente la legittimazione, prospettata dal ricorrente in via di subordine, del Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo deputato ad esprimere la volontà dell’intero Governo, relativamente ad attribuzioni non altrimenti assegnate in via esclusiva (sentenza n. 379 del 1992).
3.– Per iniziativa dello stesso ricorrente, che ha prodotto la relativa documentazione con una memoria depositata il 27 marzo 2013, si è appreso che il competente Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha revocato, in data 31 gennaio 2012, la disposizione che imponeva l’oscuramento del segnale irradiato dalle emittenti «Rai Storia» e «Rai Sport», e che la Direzione della Casa circondariale Rebibbia di Roma ha dato notizia al Magistrato di sorveglianza, l’11 giugno successivo, dell’intervenuta esecuzione del provvedimento. Può quindi presumersi che il detenuto il quale aveva promosso il procedimento per reclamo, poi definito con l’ordinanza giudiziale cui si riferisce il provvedimento impugnato, abbia recuperato, di fatto, la possibilità di esercitare pienamente il suo diritto.
Deve escludersi, nondimeno, che sia cessata la materia del contendere.
La revoca del provvedimento oggetto del reclamo proposto dal detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41-bis ord. pen. non ha efficacia ex tunc e non è stata neppure accompagnata da una dichiarazione, del Ministro della giustizia, di riconoscimento dell’efficacia vincolante dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza, che decide sui reclami proposti dai detenuti per asserite violazioni dei loro diritti da parte dell’Amministrazione penitenziaria.
Dalle suddette circostanze si deve dedurre la conseguenza che sussiste ancora «un interesse all’accertamento, il quale trae origine dall’esigenza di porre fine […] ad una situazione di incertezza in ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni» (ex plurimis, sentenza n. 9 del 2013, in conformità al costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte).
4.– Nel merito, il ricorso è fondato.
4.1.– L’art. 35 ord. pen. disciplina in generale il diritto dei detenuti e degli internati di proporre reclamo ad una serie di autorità, tra cui il magistrato di sorveglianza (n. 2); l’art. 69, comma 6, ord. pen. stabilisce che sui reclami il suddetto magistrato «decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all’art. 14-ter»; quest’ultima disposizione (comma 3) prescrive che il procedimento si svolga con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero, mentre l’interessato e l’amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.
Questa Corte si è ripetutamente pronunciata sulla necessità, costituzionalmente garantita, che vi sia una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’Amministrazione penitenziaria ritenuti lesivi dei diritti dei detenuti (sentenze n. 26 del 1999 e n. 526 del 2000). Quando il reclamo diretto al magistrato di sorveglianza riguarda la pretesa lesione di un diritto, e non si risolve in una semplice doglianza su aspetti generali o particolari dell’organizzazione e del funzionamento dell’istituto penitenziario, il procedimento che si instaura davanti al suddetto magistrato assume natura giurisdizionale, giacché «non v’è posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere» (sentenza n. 212 del 1997).
Se il procedimento e la conseguente decisione del magistrato di sorveglianza si configurano come esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto destinati ad assicurare la tutela di diritti, si impone la conclusione che quest’ultima sia effettiva e non condizionata a valutazioni discrezionali di alcuna autorità. In tal senso si è espressa la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha censurato la prassi italiana di non rendere «effettivo nella pratica» il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza, ai sensi degli artt. 35 e 69 ord. pen. (sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani v. Italia). Del resto, anche il Governo italiano ha sostenuto, davanti alla Corte di Strasburgo, che «il procedimento davanti al magistrato di sorveglianza costituisce un rimedio pienamente giudiziario, all’esito del quale l’autorità adita può prescrivere all’amministrazione penitenziaria misure obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona interessata» (punto 41 della sentenza sopra citata).
Si deve osservare in proposito che questa Corte aveva già riconosciuto alle «disposizioni» adottate dal magistrato di sorveglianza – in base all’art. 69, comma 5, ord. pen. – la natura di «prescrizioni od ordini, il cui carattere vincolante per l’amministrazione penitenziaria è intrinseco alle finalità di tutela che la norma stessa persegue» (sentenza n. 266 del 2009). Il reclamo assume pertanto «il carattere di rimedio generale», esperibile, anche da detenuti assoggettati a regimi di sorveglianza particolare, «quale strumento di garanzia giurisdizionale» (sentenza n. 190 del 2010).
Solo nel caso di coinvolgimento di terzi estranei all’organizzazione carceraria – quali i datori di lavoro, nell’ipotesi di insorgenza di controversie con detenuti-lavoratori – il rimedio giurisdizionale di cui sopra non risulta idoneo, in quanto estromette indebitamente una delle parti del rapporto sostanziale – il datore di lavoro appunto – dal contraddittorio davanti al magistrato di sorveglianza. Per tale ragione, e considerata l’insussistenza di esigenze di sicurezza che impedissero l’applicazione del rito del lavoro (che presenta specificità e garanzie legate alla particolare natura dei soggetti e dei rapporti coinvolti) anche alle controversie di cui sono parte i detenuti, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, sesto comma, lettera a), dell’ord. pen. (sentenza n. 341 del 2006).
4.2.– Alla luce delle norme e della giurisprudenza prima ricordate, si deve trarre la conclusione generale che le decisioni del magistrato di sorveglianza, rese su reclami proposti da detenuti a tutela di propri diritti e secondo la procedura contenziosa di cui all’art. 14-ter ord. pen., devono ricevere concreta applicazione e non possono essere private di effetti pratici da provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria o di altre autorità.
5.– Nel caso oggetto del presente conflitto, il Magistrato di sorveglianza di Roma, con ordinanza del 9 maggio 2011, aveva ordinato all’Amministrazione penitenziaria (Casa circondariale Rebibbia di Roma) il ripristino della possibilità per un detenuto – sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. – di assistere ai programmi trasmessi dalle emittenti televisive «Rai Sport» e «Rai Storia», in quanto il relativo «oscuramento» aveva leso il diritto soggettivo all’informazione del detenuto medesimo. Non solo l’Amministrazione penitenziaria non aveva provveduto di fatto alla riattivazione dei segnali provenienti dalle suddette emittenti televisive, ma era intervenuto successivamente, in data 14 luglio 2011, un provvedimento del Ministro della giustizia – adottato su conforme proposta del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – con cui si manifestava formalmente la volontà di «non ottemperare» alla decisione del Magistrato di sorveglianza.
6. – Il confronto tra le conclusioni ricavabili dalle norme e dalla giurisprudenza costituzionale prima richiamate e gli atti che hanno dato origine al presente conflitto non può che avere l’esito di una dichiarazione di non spettanza al Ministro della giustizia del potere di non dare esecuzione all’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma del 9 maggio 2011. Nel caso di specie, infatti, non viene in rilievo una doglianza su aspetti generali o particolari dell’organizzazione penitenziaria, ma la lesione del diritto fondamentale all’informazione, tutelato dall’art. 21 Cost., che il giudice competente ha ritenuto ingiustificatamente compresso da un provvedimento limitativo dell’Amministrazione penitenziaria. L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può infatti subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze di sicurezza inerenti alla custodia in carcere. In assenza di tali esigenze, la limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27, terzo comma, Cost.
Il Magistrato ha adottato la sua decisione dopo aver accertato che non ricorrevano, nella fattispecie, le ragioni giustificative delle speciali restrizioni previste dall’art. 41-bis, mirate a non consentire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento. L’Amministrazione penitenziaria non ha impugnato per cassazione l’ordinanza del giudice – come ad essa era consentito dall’art. 69, comma 1, ord. pen. – ma ha preferito la via della non applicazione ed ha proposto un diniego esplicito di ottemperanza al Ministro della giustizia, ottenendo il suo assenso. Essa ha conseguentemente vanificato un provvedimento di un giudice, adottato nei limiti e con le forme previsti dall’ordinamento. La menomazione delle attribuzioni di un organo appartenente al potere giudiziario ha avuto il risultato di rendere ineffettiva una tutela giurisdizionale esplicitamente prevista dalle leggi vigenti e costituzionalmente necessaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte.
P.Q.M.
dichiara che non spettava al Ministro della giustizia disporre, su conforme proposta del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che non fosse data esecuzione all’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma n. 3031 del 9 maggio 2011;
annulla, di conseguenza, il provvedimento del suddetto Ministro in data 14 luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.
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