Ai fini dell’osservanza dell’art. 299, comma 4 bis, c.p.p. nella parte in cui prescrive che la richiesta, da parte dell’imputato, di revoca o sostituzione della misura cautelare, qualora questa sia stata applicata per taluno dei delitti di cui al precedente comma 2 bis dello stesso art. 299, sia notificata, a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa ovvero direttamente a quest’ultima, salvo il caso di mancata dichiarazione o elezione di domicilio, deve ritenersi consentito che detta notifica venga effettuata a mezzo PEC dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa.
Le disposizioni di legge analizzate dalla Suprema Corte sono l’art. 152 c.p.p., ai sensi del quale “salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall’invio di copia dell’atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, e la normativa introdotta dal D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 48 e successive mod. (c.d. Codice dell’amministrazione Digitale).
Quest’ultimo, come sostituito dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 33 (applicabile, ai sensi dell’art. 2 dello stesso, anche ai processi civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibile e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico), prevede che:
“1. La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito DigitPA. 2. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta. 3. La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 1”.
Sulla base dell’art. 48 dell’anzidetto Codice, pertanto, la notifica a mezzo PEC è equiparata alla notifica per mezzo della posta, salvo che la legge non disponga altrimenti; equivalenza che, come è di facile rilievo, trova la sua ragione nel fatto che la PEC offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione dell’atto (documentabile, in caso della PEC, attraverso la produzione del rapporto di consegna al destinatario e ricevuta di accettazione).
In tale contesto normativo deve allora ritenersi che la lettera raccomandata, di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo PEC, con la conseguenza che, nel caso in esame, la notifica effettuata a mezzo PEC dal difensore dell’imputato al difensore della persona offesa ex art. 299 c.p.p., deve ritenersi validamente effettuata.
Tale conclusione consente di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa, sottese all’art. 299 c.p.p., non essendo dubitabile che la comunicazione a mezzo PEC costituisce uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione.
(Cass. Penale Sez. II^, sentenza 11 gennaio – 10 febbraio 2017)