Percosse e ingiurie al superiore in presenza di militari durante il pasto alla mensa di servizio: non sussiste  il reato di insubordinazione.
La frequenza della mensa in una caserma costituisce mera facoltà personale, non obbligo di servizio; la presenza di militari a mensa non concretizza una riunione per motivi di servizio; essa soltanto non è idonea a qualificare fatti di lesione o percosse in danno di inferiore o superiore – che in tale contesto abbiano luogo – come reati contro la disciplina militare.

Corte di Cassazione
Sez. I, ud. 18 marzo 2003
Pres. Fazzioli – Rel – Riggio – P.M.(diff.) – Ric. Serra
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE – Con sentenza del 23 maggio 2002 la Corte Militare di Appello- sez. di Verona- confermava la sentenza del 22 marzo 2001, con cui il tribunale Militare di Torino aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.P. per mancanza della richiesta di procedimento, in ordine ai reati di lesioni personali ed ingiurie, così modificata l’originaria imputazione di insubordinazione con violenza ed ingiurie.
Risultava in punto di fatto che la sera del 17 dicembre 1997 nei locali della m.o.s. della stazione dei carabinieri di Alba, in presenza di altri militari, l’appuntato S. aveva rivolto espressioni ingiuriose al maresciallo P.R. e lo aveva, inoltre, strattonato e fatto cadere in terra, cagionandogli lievi lesioni al collo e alla mano.
L’alterco tra i due era avvenuto perché il P. portandosi sul balcone per rispondere ad una telefonata, si era rifiutato di chiudere la finestra, rispondendo con tono indispettito alle insistite richieste del S., che aveva reagito aggredendolo verbalmente e fsicamente.
La corte territoriale, premesso che né l’imputato, né la persona offesa né gli astanti (ad eccezione dell’addetto alla mensa) si trovavano in servizio, osservava che l’art. 199 c.p.m.p. nel testo modificato dalla l. n. 689/85, ha dato una diversa dimensione ai reati contro il rapporto gerarchico, considerato non più immanente in qualsiasi situazione, al di fuori di ogni collegamento con il servizio, bensì come rapporto funzionale, che deve riflettersi direttamente sul fatto-reato, restando esclusa dalla tutela speciale ogni causa non in rapporto di derivazione immediata e diretta con il servizio e la disciplina militare.
Nel caso in esame, secondo il giudice di  appello, era isussistente tale requisito, come pure quello della presenza di militari riuniti per servizio, previsto dallo stesso art. 199 c.p.m.p.
Ha proposto ricorso il Proc. gen., denunciando erronea applicazione degli artt. 186,189 co.2 e 199 c.p.m.p..
Deduce che la decisione impugnata non è condivisibile nella parte in cui esclude la sussistenza della condizione della riunione di militari per servizio, dovendo considerarsi tale la presenza nella mensa obbligatoria di servizio, che configura un contesto non meramente privato, bensì riconducibile al servizio, inteso in senso ampio ed attuale.
Rileva la corte che strettamente correlato ale norme incriminatrici contestate originariamente nel presente procedimento è il contenuto dell’art. 199 c.p.m.p., nel testo novellato dall’art. 9 l. 26.11. 1985 n.689, secondo il quale “ le disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori della presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare e di un aereomobile militare o in luoghi militari”.
Questa Corte ha reiteratamente affermato (Cass. Sez. I, 31.05.94;Cass. Sez. I 30.06.99) che la disposizione citata ha profondamente innovato l’essenza stessa e la funzione giuridica “delle cause estranee al servizio” trasformandole da circostanze attenuanti dei reati contro la disciplina militare a limite negativo della relativa fattispecie, nel senso che la presenza di dette cause rende inapplicabile la normativa speciale contenuta nei capi terzo e quarto del titolo terzo del codice, allorquando il fatto non si trovi in rapporto di derivazione immediata e diretta con il servizio e la disciplina militare, che ne costituiscono la ragione determinante.
Ne consegue che i fatti di violenza, minaccia ed ingiuria, commessi tra militari, non integrano i reati di cui all’art. 186 e 189 c.p.m.p., allorchè risultano collegati in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità.
Né, ove venga esclusa ogni correlazione funzionale, può attribuirsi rilevanza al “locus commissi delicti”, per essere stato commesso il fatto all’interno di una struttura militare, poiché tale argomentazione si risolverebbe in una indebita valorizzazione di una mera coincidenza topografica, avendo la Corte Costituzionale, con la sentenza n.22 del 17 gennaio 1991, dichiarato illegittimo l’art. 199 sopra riportato, limitatamente alle parole “o in luoghi militari”.
Nella specie, il fatto, consistito in un diverbio, con atti di violenza, epilogo di un dialogo di carattere privato è, per suoi intrinseci contenuti, sicuramente estraneo all’ambito del servizio e del rapporto gerarchico, come riconosce lo stesso ricorrente.
Inoltre, non ricorre la condizione della presenza di militari riuniti per servizio, alternativamente prevista dall’art. 199 c.p.m.p. per la configurabilità dei reati originariamente contestati.
Invero, la frequenza della mensa all’interno di una caserma dei carabinieri, sia relativamente all’ “an” che al “quantum”, ha carattere occasionale e non vincolante per i militari, i quali possono anche non fruirne, senza che ciò comporti alcuna violazione di comportamenti doverosi o trasgressione delle regole di servizio, sicchè a quest’ultimo non è riconducibile la presenza contestuale, ma contingente, di una pluralità di militari.
Risulta dunque corretta la qualificazione giuridica data al fatto dai giudici di merito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.